Un eroe italiano in Argentina, Filippo Di Benedetto e un film per non dimenticarlo

Alto, magro, schivo, ci teneva a passare inosservato, come a dire: “non voglio riconoscimenti”, ma quando una persona lo salutava il viso gli si illuminava con un sorriso, quasi volesse dire: grazie. Allora dimostrava una grande cortesia e affabilità. Pochi se ne ricordano, i giovani non ne hanno mai sentito parlare, le persone grandi quando ascoltano il suo nome sorridono di gioia. Di Benedetto era nato in Calabria, a Saracena, città nella quale è stato sindaco tra il 1947 ed il 1949. Era emigrato In Argentina nel 1952, e si era stabilito a San Justo, nell’hinterland di Buenos Aires, dove ha sempre continuato a svolgere la sua professione di falegname. Povero è nato e povero e onesto, è morto nel 2001, pur avendo sempre svolto un ruolo da protagonista della storia.

Si era iscritto al Partitto Comunista all’epoca del Fascismo e in Argentina era diventato il referente ufficiale del suo partito.

All’epoca della Dittatura, 1976-1983, era responsabile dell’Inca Cgil, presidente della Filef, Federazione Lavoratori Emigranti e Famiglie e era molto conosciuto e stimato per la sua rettitudine. Così quell’uomo umile e deciso è diventato un eroe agendo per ferma convinzione personale, senza voler nulla a cambio nemmeno il riconoscimento di chi ha salvato. E di questo si è trattato, di aver salvato dalla morte centinaia d’italo argentini, i cui familiari correvano da lui per chiedergli aiuto quando si aspettavano che arrivassero i militari per portare via, nel cuore della notte, un congiunto. Aveva messo su con il vice console di Buenos Aires, Enrico Calamai, una rete, un’intelaiatura. Insieme hanno nascosto nella sede del Consolato Generale, in M.T.De Alvear, o nelle loro case personali, centinaia di persone, poi gli facevano i documenti e le facevano partire a salvo. In Italia contavano sulla collaborazione di Enrico Pajetta.

In un primo momento con loro c’è stato anche il giornalista Giangiacomo Foà, inviato del Corriere della Sera, richiamato in Italia, dalla cupola del suo giornale, dopo che si era scontrato con un funzionario dell’ambasciata italiana.

Non si deve dimenticare di sottolineare l’operato dei tre “giusti,” come venivano chiamati. C’è da far notare che Calamai fu l’unico rappresentante del Corpo diplomatico italiano a compiere il suo dovere di salvare i connazionali.

Sarebbe quindi bene, per rendere omaggio a questi benefattori e per offrire alle nuove generazioni dei modelli positivi, un film perché tutti possano conoscerli.

Edda Cinarelli