Monthly archive

October 2024

Il ritorno di Trieste all’Italia, settant’anni fa

I primi bersaglieri e fanti italiani entrarono a Trieste all’alba del 26 ottobre 1954. Nel giro di poche ore migliaia di persone affollarono le strade della città e la centrale piazza dell’Unità, festeggiando le truppe che sfilavano sotto la pioggia accompagnate dalla fanfara. Nel porto della città, intanto, entravano anche le navi militari con la bandiera italiana. L’ingresso dell’esercito italiano in città sancì il ritorno di Trieste all’Italia, ma fu solo l’ultimo passaggio di una lunga controversia diplomatica cominciata dopo la Seconda guerra mondiale, in cui erano contrapposti non solo gli interessi italiani e della Jugoslavia, ma anche quelli degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, che cominciavano a scontrarsi nella Guerra fredda.

La questione dei territori al confine orientale tra l’Italia e le attuali Slovenia e Croazia era una delle più difficili da risolvere nel 1945, anche perché si legava a scontri iniziati più di vent’anni prima e a un territorio molto complesso per le molteplici identità culturali di chi lo abitava. La regione dell’Alto Adriatico, o il cosiddetto confine orientale, è infatti una zona in cui per secoli si sono sovrapposte culture e lingue diverse (germanica, slava e italiana). Per questo le identità delle persone hanno avuto a lungo un’appartenenza locale più che nazionale.

Dopo aver fatto parte dell’Impero austro-ungarico, con il trattato di pace dopo la Prima guerra mondiale buona parte di questi territori – Trieste, l’Istria e una parte di quella che oggi è la Slovenia – passò sotto il dominio italiano. Nel periodo tra le due guerre il regime fascista avviò un processo di “italianizzazione” delle popolazioni slave locali, sottoponendole a dure repressioni. Questa forzata assimilazione culturale si esacerbò durante la Seconda guerra mondiale, in particolare dal 1941, quando l’esercito tedesco e quello italiano invasero la Jugoslavia. Lì si era nel frattempo strutturata la Resistenza guidata dai comunisti del maresciallo Josip Broz, più conosciuto come Tito, che voleva riconquistare i territori occupati dagli italiani e riunire i popoli slavi in un’unica federazione (la futura Repubblica socialista federale di Jugoslavia, appunto, dissolta nel 1992 e di cui Tito fu capo fino alla sua morte nel 1980). Ci furono quindi anni di violenze tra partigiani jugoslavi e occupanti italiani, con persecuzioni, deportazioni e fucilazioni sommarie continue.

Alla fine di aprile del 1945, quando la sconfitta della Germania nazista era ormai vicina, partì una specie di corsa per raggiungere Trieste. L’obiettivo delle truppe alleate anglo-americane da una parte e dell’esercito jugoslavo dall’altra era fondamentalmente lo stesso: muoversi il più velocemente possibile per poter avanzare più pretese sui territori al momento delle trattative.

Le truppe di Tito arrivarono a Trieste il primo maggio, anticipando di un giorno i soldati neozelandesi guidati dal generale Bernard Freyberg. Nella “corsa verso Trieste” l’esercito jugoslavo aveva occupato anche parte delle attuali province di Trieste, Udine e Gorizia, avanzando così rispetto al confine tra Italia e Jugoslavia stabilito alla fine della Prima guerra mondiale con il trattato di Rapallo del 1920. A quel punto i soldati delle truppe alleate anglo-americane e quelli di Tito si trovarono negli stessi territori. Gli Stati Uniti provarono a far retrocedere l’esercito jugoslavo minacciando un nuovo conflitto. La situazione rimase però in stallo per 40 giorni.

Il 9 giugno del 1945 Tito accettò di ritirarsi al di là della cosiddetta “linea Morgan”, che fu stabilita con gli accordi di Belgrado per dividere in due zone la Venezia Giulia: si decise che a ovest della linea (zona A) il territorio fosse amministrato dagli americani e a est della linea (zona B) dagli jugoslavi.

A partire dal 1946 iniziò il percorso diplomatico che avrebbe portato al trattato di pace di Parigi firmato l’anno dopo. Agli incontri partecipavano i ministri degli Esteri con i loro staff e i capi di governo delle principali potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale, cioè Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica. In quel periodo una commissione istituita appositamente visitò più volte la regione in bilico tra Italia e Jugoslavia, dunque le attuali province di Trieste e Gorizia e l’Istria.

Al termine della visita di questa commissione vennero proposti quattro confini diversi. Si decise di mantenere la linea Morgan e il trattato di pace istituzionalizzò inoltre la proposta di istituire un piccolo Stato indipendente con Trieste come capitale, che venne chiamato Territorio Libero di Trieste (TLT). Nelle intenzioni il TLT avrebbe dovuto essere uno Stato neutrale e demilitarizzato sotto la tutela delle Nazioni Unite, con un suo presidente (governatore), che però non fu mai scelto.

Finché durò, quindi fino al 1954, il TLT non fu mai gestito e amministrato come si era pensato inizialmente.

Anche il TLT era diviso in due zone, molto più piccole rispetto a quelle in cui era stata divisa la Venezia Giulia nel 1945: la zona A andava da Duino, una località poco distante da Monfalcone, a Muggia, il comune più a sud prima della linea Morgan; la zona B andava dalla linea Morgan a Novigrad, una città dell’Istria che in italiano è chiamata Cittanova. Si seguì lo schema della divisione precedente: la zona A del TLT fu lasciata all’amministrazione degli anglo-americani e la zona B a quella degli jugoslavi. Queste due zone continuarono di fatto a esistere fino al 1954.

Nel 1948 la cosiddetta “questione triestina” si intrecciò in modo più stretto alla politica italiana, che in quel momento interessava molto sia gli Stati Uniti che l’Unione Sovietica.

Da lì in avanti furono proprio le attività diplomatiche internazionali a dettare gli sviluppi, compreso un lungo stallo, che avrebbero portato al ritorno di Trieste all’Italia. Il 1948 fu l’anno delle elezioni politiche in Italia, le prime dalla nascita della Repubblica italiana, vinte dalla Democrazia Cristiana (DC) di Alcide De Gasperi. «Durante la campagna elettorale gli anglo-americani e i francesi dissero di essere favorevoli al ritorno di tutto il TLT all’Italia per aiutare la DC», dice Federico Tenca Montini, ricercatore al Centro di ricerche scientifiche di Capodistria e autore di un libro dedicato alla “questione triestina”. «Quell’estate però la Jugoslavia venne espulsa dal Cominform, l’organizzazione internazionale che riuniva i partiti comunisti di vari Paesi europei sotto l’influenza dell’Unione Sovietica. Gli Stati Uniti pensarono che potesse essere l’inizio della fine della sfera d’influenza dell’Unione Sovietica e decisero di sostenere la Jugoslavia di Tito, accantonando del tutto Trieste». Da quel momento per qualche anno non ci furono passi in avanti e le trattative, eccetto qualche sporadico tentativo, furono abbandonate.

Ci fu una svolta nel 1953, quando cadde il governo De Gasperi: il nuovo governo, che aveva Giuseppe Pella come presidente del Consiglio, decise di mettere Trieste tra le priorità e mandò truppe dell’esercito italiano al confine. Per reazione anche la Jugoslavia inviò le sue truppe. A quel punto gli americani annunciarono che avrebbero sciolto il TLT e permesso all’Italia di annettere la zona A. Ma, spiega Tenca Montini, fecero un pasticcio: nel comunicato non scrissero chiaramente che la zona B poteva essere considerata parte della Jugoslavia, dandolo per scontato. La Jugoslavia la prese malissimo, a Belgrado vennero danneggiate le ambasciate dei principali paesi occidentali. Si bloccò quindi tutto di nuovo e il guaio comunicativo statunitense provocò una serie di reazioni a catena.

Trieste non venne data all’Italia neanche quella volta e in città aumentarono disordini e scontri diretti con le truppe anglo-americane, che erano rimaste lì dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Gli scontri erano sobillati anche da ambienti nazionalisti, alcuni neofascisti. Bisogna tenere conto che in quegli anni la città aveva subìto molte trasformazioni dovute alla presenza delle truppe alleate: c’erano insegne di negozi in inglese, pub in stile britannico e cinema americani. In più l’industria locale stentava per via della situazione in bilico in cui Trieste si trovava e languiva anche l’attività del porto, che invece fino alla guerra era stato uno dei più importanti dell’Europa centrale. Alcuni avevano quindi sviluppato insofferenza per gli alleati. La stagione degli scontri con l’esercito culminò nella “rivolta di Trieste” dal 3 al 6 novembre novembre 1953: i soldati inglesi uccisero sei persone.

Tutto questo accadeva in un anno in cui ci fu un altro evento cruciale, cioè la morte di Stalin, il dittatore sovietico. Dice Tenca Montini: «Per la Jugoslavia fu una svolta, ma in generale gli anni Cinquanta per la politica internazionale furono un decennio in cui molte cose si stavano ancora definendo e poteva succedere di tutto. La “questione triestina” fu l’evento principale della Guerra fredda in quegli anni, anche se ce lo si ricorda molto meno dei carri armati sovietici a Budapest nel 1956».

Era evidente a quel punto che l’attività diplomatica dovesse essere condotta in modo differente. «I rapporti tra Italia e Jugoslavia erano devastati ma gli Stati Uniti presero in mano la trattativa in modo innovativo, pattuendo una soluzione singolarmente con ciascun paese in modo tale da arrivare a un accordo», racconta Tenca Montini. L’accordo fu ufficializzato nel Regno Unito con il Memorandum di Londra del 5 ottobre del 1954: Trieste sarebbe tornata all’Italia e alla Jugoslavia sarebbe spettata, oltre alla zona B, anche una sottile striscia di territorio della zona A sotto Muggia. In più alla Jugoslavia furono dati molti soldi a fondo perduto affinché potesse costruire un nuovo porto a Capodistria, dal momento che non avrebbe più avuto accesso a quello di Trieste.

Tratto da: Il ritorno di Trieste all’Italia, settant’anni fa – Il Post

La XXIV Settimana della Lingua Italiana nel Mondo a Bahía Blanca

In occasione di questa nuova edizione della Settimana della Lingua Italiana nel Mondo si è tenuto un totale di nove iniziative, promosse in Bahía Blanca, a cui si sono aggiunte altre realizzate assieme alle associazioni italiane della circoscrizione: a Coronel Suárez sono stati proiettati film in lingua originale, tra cui Dante di Pupi Avati; a Carhue’, è stata organizzata la mostra Calvino Qui e Altove, stampata in loco da questa a Sede per la scorsa edizione e fatta circuitare (lo scorso anno fece tappa anche a Punta Alta).

Cinque iniziative hanno avuto direttamente o indirettamente libri e letteratura al centro. Le altre iniziative hanno abbracciato l’italiano nel cinema, nella musica contemporanea, nella riscoperta delle radici, con un forte coinvolgimento delle scuole e con diversi elementi di novità.

E’ stato organizzato assieme al ComItEs, come lo scorso anno, un pomeriggio di lettura di libri in italiano per bambini della scuola d’infanzia dai 2 ai 5 anni, in stile “Nati per leggere” con visione del libro ai bambini e lettura recitata. Abbiamo aggiunto, quest’anno, momenti di gioco manuale con composizione di parole italiane su impasto di acqua e farina. Vi sono margini di crescita: è un’iniziativa tanto gradita quanto ancora poco comune a queste latitudini, che merita di essere rilanciata in future edizioni della SLIM.

Per gli adolescenti, si sono svolte le III Olimpiadi di italiano. Alunni delle cinque scuole di Bahia Blanca (Normal UNS, Agricultura y Granaderia, Victoria Ocampo, Rosario Vera y Peñaloza, Media 3) che offrono corsi di lingua e cultura italiana hanno gareggiato nelle aule
della Società Dante Alighieri su tracce di lingua e cultura ispirate al tema di questo anno, fino al livello A2. Oltre al numero considerevole di partecipanti (circa sessanta), gli insegnati hanno evidenziato l’ottimo livello dei risultati e ancor più l’entusiasmo degli alunni, di cui
sono stato testimone all’apertura e alla chiusura con premiazione (libri italiani) delle “Olimpiadi”.

In questo periodo, il Console Generale Nicola Bazzani ha peraltro ricevuto in Consolato alunni di due scuole medie (Escuela media 12 e la citata Agricultura y Granaderia), e visitato la sede di una (Victoria Ocampo) i cui alunni hanno simulato una lunga trasmissione in streaming con intervista in italiano.

In generale, l’approccio adottato è stato di estendere gli eventi della Settimana al di là del cerchio della collettività tradizionale di riferimento e “portarli alla gente”, per generare (anche solo) curiosità sulle nostre lingua e cultura.

Pertanto, alla tradizionale Maratona di Lettura “Asino chi non legge”, giunta alla undicesima edizione e a cui hanno partecipato, tra Argentina ed Italia (in formato ibrido), circa ottanta lettori in otto ore continuate di lettura di brani in italiano, è stato aggiunto quest’anno l’intervento di un rinomato scrittore, Leonardo Gori, da ultimo finalista del premio letterario Chianti e vincitore del premio Nebbiagialla. Abbiamo peraltro voluto ricordare il collega, ex Console a Bahia Blanca, Marco Nobili, scomparso improvvisamente all’inizio di quest’anno, grazie al quale è stata avviata la Maratona e alla quale ha sempre partecipato.

Inoltre, la collaborazione intensa e rinnovata con la Municipalità di Bahia Blanca ha permesso di organizzare una visita guidata in italiano dei monumenti principali della città, sulla traccia delle radici italiane: dalla Sede del Consolato Generale, ai monumenti a
Pirandello e Garibaldi, passando per le architetture dei Caronti nel centro cittadino, per terminare alla Società italiana dopo ben due ore. Non è la prima volta di un tour alla riscoperta delle radici, ma è la primissima volta che ciò avviene in lingua italiana; con piacevole sorpresa, i cinquanta posti disponibili si sono esauriti in pochi minuti e con la grande maggioranza dei partecipanti che per la prima volta si sono così avvicinati a nostre iniziative in lingua italiana!

L’uso dello streaming sul canale YouTube del Consolato con puntate ad hoc del programma PizzaBirraStream in cui, tra l’altro, sono intervenute la direttrice scolastica della Dante Alighieri e la preside della scuola Victoria Ocampo, ed in cui sono stati letti brani di letteratura italiana.

Una vera e propria scommessa è stato l’evento di chiusura. “Serata Italiana: parole e musica”, nella cornice di uno dei principali edifici storici della città. Spettacolo immersivo, senza divisione tra pubblico e scena, con musica leggera contemporanea italiana con dj set, schermi giganti per proiezione dei testi in italiano, giochi di luce e alternanza di lettura dal vivo di poesia e di testi delle canzoni (tra cui Viva l’Italia di De Gregori), con momenti di danza contemporanea ed interpretazioni musicali. Se l’obiettivo era di esportare l’italiano, nelle sue diverse forme e manifestazioni, agli abitanti di Bahia Blanca generando, soprattutto nei più giovani, curiosità e desiderio di conoscere meglio, credo che sia stato in discreta parte raggiunto (lo spettacolo, a pagamento, e’ andato pressoché esaurito).

Il falsario di Caltagirone. Cento anni fa a Catania si celebrava il processo al “falsario gentiluomo”

La storia di Paolo Ciulla, alla quale il Premio Nobel Dario Fo ha dedicato una pièce teatrale e la grande scrittrice calatina Maria Attanasio un bellissimo romanzo, avrebbe tutti gli ingredienti per diventare un film da Oscar. Nonostante siano trascorsi quasi cento anni dalla sua morte e cento esatti dal processo che lo coinvolse, la vicenda di questo uomo è attualissima per i molteplici aspetti che hanno caratterizzato la sua vita di artista, politico e – appunto – falsario.

Ciulla nasce nel 1867 a Caltagirone, la bellissima cittadina barocca della Sicilia orientale famosa per le sue ceramiche artistiche, da una famiglia benestante. Il suo spirito è curioso e irrequieto e fin da giovane lo porta ad abbracciare la causa dei più umili; anarchico e socialista, parteciperà nel 1889 alla “primavera calatina” dell’amministrazione liberale dell’avvocato Mario Milazzo, una breve parentesi destinata a soccombere a causa dell’accanita opposizione di nobili e ricchi commercianti.

Nella vita, frenetica per quei tempi, del giovane artista omosessuale di Caltagirone vanno ricordati i periodi trascorsi a Roma e Napoli, ma anche le esperienze all’estero a Parigi prima e a Buenos Aires poi, dove arriva dopo un viaggio che da Napoli lo porterà fino in Brasile.

Ma è il suo ultimo periodo “catanese” a consegnare questo personaggio eclettico e geniale alla storia del nostro Paese; Ciulla infatti perfezionerà in maniera esemplare il suo talento nella realizzazione di banconote false, arrivando a stampare almeno centomila biglietti da 500 lire dell’epoca (circa 500 euro di oggi), per un valore complessivo di oltre 50 milioni di euro attuali. Fu scoperto a causa della sua… bontà! Sì, proprio così: la generosità del “falsario gentiluomo” lo portava infatti a trattenere per sé stesso solo una minima parte della sua “produzione”, destinando invece alle persone e famiglie meno abbienti e in palesi difficoltà economiche la grande parte delle banconote false.

Ciò insospettì la polizia che lo fece pedinare, fino all’arresto in flagranza di reato avvenuto il 17 ottobre del 1922. Il processo inizierà a Catania nel novembre del 1923; sarà il primo processo mediatico della storia italiana, con la partecipazione di centinaia di persone e dei corrispondenti dei maggiori giornali italiani e stranieri. La maggiore soddisfazione per Paolo Ciulla arriverà proprio dall’aula del Tribunale, dove i tre esperti della Banca d’Italia dichiareranno che “le 500 lire falsificate sono perfette sotto tutti i punti di vista e sono assai difficilmente riconoscibili come non buone anche da chi, come i cassieri di una banca, sono abituati a maneggiarne da mattina a sera.”

Il processo si concluderà nel 1924 con la condanna di Ciulla, che sarà confermata in maniera definitiva dalla Corte d’Appello nel 1925. Il “falsario gentiluomo”, ormai povero e sempre più solo, verrà liberato per buona condotta e ritornerà nella sua Caltagirone dove morirà il primo aprile del 1931 in un ospizio gestito dalle suore.

In un articolo pubblicato una decina di anni fa su “Huffington Post”, Giuseppe Fantasia esordiva così: “Tutti i più grandi falsari sono spesso dei validi artisti: ciò che vogliono fare è sfidare le istituzioni e l’ordine costituito per dimostrare a sé stessi e agli altri il proprio talento e la propria bravura, come se volessero in qualche modo avere una rivincita nei confronti di quella società che non ne ha saputo riconoscere il valore.” Forse quella rivincita Paolo Ciulla l’ha avuta un secolo dopo, grazie a giornalisti, scrittori e premi Nobel che ne hanno riconosciuto l’originalità geniale e, per quell’epoca, quasi rivoluzionaria.

Viaggi 2025, tra le mete imperdibili secondo Lonely Planet c’è solo una città italiana

Le spiagge incontaminate, i parchi nazionali e l’eccitante vita notturna urbana del Camerun. La scena artistica in rapida espansione, senza tralasciare una indimenticabile passeggiata lungo la Garonna, a Tolosa. E, infine, un lungo on the road nella regione del Lowcountry in South Carolina e sulla costa della Georgia degli Stati Uniti, con la loro atmosfera calda, la vivace scena culinaria e il Museo afroamericano recentemente riaperto.

Eccole le mete scelte per il 2025 dagli esperti di Lonely Planet, i viaggi che guidano le tre classifiche annuali di Best in Travel, la guida più venduta al mondo che questa mattina viene svelata dalla casa editrice australiana fondata più di 50 anni fa da Tony Wheeler e da sua moglie Mauren. Oltre al “dove andare”’, Best in Travel suggerisce quest’anno anche il “cosa fare” nel capitolo dedicato alle tendenze che ispirano il viaggio e che vedono tra i protagonisti i trasferimenti in treno, la vacanza “take it easy”, quella a tempo di musica o all’insegna del birdwatching e dei mercatini spesso sconosciuti.

Ma c’è anche l’Italia, con il quinto posto di Genova nella graduatoria delle città, grazie al suo fascino storico, alla cucina deliziosa e al futuro “elettrico” in arrivo con i nuovi mezzi di trasporto sostenibili. “Come ogni città portuale, Genova è un mondo a sé – suggeriscono i redattori di Lonely Planet – La potente vitalità del capoluogo ligure è racchiusa nella sua costa frastagliata e impervia. Chi conosce Genova la protegge gelosamente, temendo che con la notorietà possa perdere parte del suo fascino. Ma una città capace di allestire una potente flotta, accumulare ricchezze incalcolabili e trasformare il basilico in pesto merita la massima ammirazione. E, se ancora non la conoscete, merita un posto nella lista dei luoghi da scoprire”.

Da non perdere, ovviamente, il Waterfront di Levante, un progetto residenziale e commerciale a impatto zero diretto dal celebre architetto Renzo Piano, i famosi caruggi del centro storico e un acquario che è già un’icona. “Genova è una città che sa mescolare storia e innovazione, ideale per quei viaggiatori che cercano un’esperienza autentica e ricca di significato”, sottolinea Angelo Pittro, direttore di Lonely Planet Italia.

Tra i Paesi, dunque, vince il Camerun che proprio nel 2025 festeggia il 65° anniversario della sua indipendenza. Un Paese in movimento con scenari naturali da favola, dalle spiagge scure alla montagna più alta dell’Africa occidentale, dalle città esuberanti alle vaste aree incontaminate. Sul podio la Lituania e le Isole Fiji, ma tra le mete consigliate ci sono anche il Laos, il Kazakistan e persino un arcipelago di 83 isole poco conosciuto nel Sud Pacifico, Vanuatu, tra magia, misticismo e kastom, ovvero cultura tradizionale.

Nella top ten delle città, dietro Tolosa trovano spazio Puducherry in Indian, Bansko in Bulgaria, Chiang Mai in Thailandia e, come detto, la nostra Genova. La classifica per regioni, dietro le due mete statunitensi in South Carolina e Georgia, vede Terai in Nepal, Chiriquì a Panama, Launceston Tamar Valley in Austrania e il Canton Vallese in Svizzera.

“La nostra guida è una celebrazione del mondo in tutta la sua bellezza e diversità – spiega Nitya Chambers, direttore esecutivo di Lonely Planet. Siamo orgogliosi di condividere con i nostri lettori le destinazioni e le esperienze straordinarie che abbiamo scoperto sul campo”.

“Chi viaggia per il semplice piacere di farlo ha una grande fortuna – aggiunge Tom Hall, che ha curato il volume – La raccolta di idee e suggerimenti si è svolta in un contesto di instabilità e conflitti vecchi e nuovi in molte parti del mondo. Purtroppo restano ancora troppi i Paesi che Lonely non può trattare o consigliare di visitare in modo sicuro e dove, soprattutto, il viaggio è una via di fuga a senso unico per le persone innocenti che vi abitano”.

Le classifiche Best in Travel 2025

Top 10 Paesi

1) Camerun

2) Lituania

3) Fiji

4) Laos

5) Kazakistan

6) Paraguay

7) Trinidad e Tobago

8) Vanuatu

9) Slovacchia

10) Armenia

Top 10 Città

1) Tolosa, Francia

2) Paducherry, India

3) Bansko, Bulgaria

4) Chiang Mai, Thailandia

5) Genova, Italia

6) Pittsburgh, Stati Uniti

7) Osaka, Giappone

8) Curitiba, Brasile

9) Palma, Spagna

10) Edmonton, Canada

Top 10 Regioni

1) LowCountry e Costa Georgia, Stati Uniti

2) Terai, Nepal

3) Chiriquì, Panama

4) Lounceston e Tamar Valley, Australia

5) Canton Vallese, Svizzera

6) Giresun e Ordu, Turchia

7) Baviera, Germania

8) East Anglia, Inghilterra

9) Joprdan Trail, Giordania

10) MNount Hood e Columbia River Gorge, Stati Uniti

Top 10 Tendenze

1) Muoversi su rotaia

2) Take it easy

3) A tempo di musica

4) Le star del birdwatching

5) Mercati straordinari

6) Drag in scena

7) Meno folla al parco

8) Sapori locali

9) Avventure tra gli alberi

10) Paradisi di mare

Lucio Luca (pubblicato da La Repubblica il 23/10/2024)

Tratto da: Viaggi 2025, solo una città italiana tra le mete di Lonely Planet – la Repubblica

A Roma l’omaggio alla madre di Plaza de Mayo, Lita Boitano

Un omaggio alla storia di lotta e dedicazione di Angela ‘Lita’ Boitano, la rappresentante delle Madri di Plaza de Mayo, di origine italiana, deceduta a giugno di quest’anno.

Questo il senso del documentario ‘Il Civico Giusto’, che verrà presentato il 24 ottobre a Roma nella sala Buttinelli della chiesa della Trasfigurazione, a Monteverde.

Si tratta della stessa parrocchia che negli anni ’70 accolse alcune delle ‘madres’ in fuga dall’Argentina, tra queste Boitano, e si adoperò per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sulle tragiche conseguenze della dittatura.

All’evento, si legge in una nota, saranno presenti oltre a Paolo Masini e Maria Grazia Lancellotti, ideatori del progetto, alcuni testimoni di quegli anni.

Argentina, il governo Milei avanza con le privatizzazioni

L’organo regolatore del mercato azionario argentino, la Commissione nazionale valori (Cnv), ha pubblicato una nuova normativa che consente di “flessibilizzare e semplificare” il processo di privatizzazione delle imprese statali avviato dal governo di Javier Milei.

Lo riferisce un comunicato della stessa Cnv dove si informa dell’istituzione di “un apposito regime di informativa contabile, di carattere temporaneo, che agevola l’ingresso al regime di offerta al pubblico di aziioni, tenendo conto delle peculiarità dei soggetti privatizzati sia della normativa vigente”.

Il nuovo regime, prosegue la nota della Cnv, prevede “un periodo temporaneo di due anni per la presentazione dei bilanci” al termine del quale “le entità dovranno entrare in un regime in conformità con gli Standard Internazionali di Informazione Finanziaria (International Financial Reporting Standards – Ifrs) e rispettare integralmente le disposizioni applicabili al regime di offerta pubblica, a seconda del regime richiesto”.

Il presidente della Cnv, Roberto E. Silva, ha affermato che in questo modo si “cerca di rendere più flessibile e semplificato il processo di privatizzazione degli enti pubblici attraverso il mercato dei capitali”.

“Vogliamo facilitare la presentazione dei bilanci, cosa che difficilmente riescono a rispettare le società in mano allo Stato, accompagnando così le misure del governo Nazionale”, ha aggiunto.

Tra le imprese soggette a privatizzazione incluse nella normativa figurano il gigante dell’energia Enarsa, la società Nucleoeléctrica Argentina che controlla le tre centrali nucleari del Paese, e la società di distribuzione dell’acqua nell’area metropolitana di Buenos Aires, Aysa.

Tratto da: Argentina, il governo Milei avanza con le privatizzazioni – America Latina – Ansa.it

Milei, ‘in Argentina il dollaro prenderà il posto del peso’

Il presidente Javier Milei, ha assicurato che l’Argentina si avvia verso “una dollarizzazione endogena” in cui le operazioni in moneta Usa saranno molto maggiori di quelle in pesos.

Lo ha affermato oggi parlando nel foro economico Idea che riunisce i maggiori imprenditori del Paese sottolineando che “quando si verificherà tale condizione saremo in grado di chiudere la Banca centrale”.

Secondo il leader ultraliberista “lo scenario più probabile è quello di un’Argentina con un livello valutario molto più apprezzato grazie agli enormi investimenti in arrivo nel settore Oil & Gas” e grazie alla nuova legge sugli Incentivi ai grandi investimenti (Rigi).

“Preparatevi perché da lì arriva una tremenda ondata di dollari”, ha affermato rivolto alla platea di imprenditori.

Sebbene le dichiarazioni di Milei sono in linea con il programma economico presentato in campagna elettorale, rappresentano una svolta rispetto alle recenti affermazioni dove aveva messo in dubbio una rapida uscita dall’attuale schema monetario che mantiene forti restrizioni alla libera compravendita di divise sul mercato cambiario, il cosiddetto ‘cepo’ fortemente inviso agli investitori esteri.

Tratto da: Milei, ‘in Argentina il dollaro prenderà il posto del peso’ – America Latina – Ansa.it

Farnesina al fianco degli italo-venezuelani arrestati da Maduro

“L’attenzione del Governo sulla crisi in Venezuela continua ad essere altissima. Siamo estremamente preoccupati per la situazione nel Paese e per le violazioni in atto dei diritti umani e delle libertà fondamentali”. Così il sottosegretario agli esteri Giorgio Silli che ieri, in Commissione Affari Esteri alla Camera, ha risposto all’interrogazione della Lega sulla sorte degli italo-venezuelani arrestati per motivi politici in Venezuela.

“Anche in occasione della recente visita in Brasile e Argentina, – ha ricordato Silli – il Ministro Tajani ha ribadito l’intenzione di mantenere una forte pressione sul regime di Maduro a livello internazionale e di offrire sostegno alla coraggiosa opposizione democratica venezuelana. Per monitorare l’evoluzione del quadro politico e di sicurezza nel Paese, abbiamo istituito alla Farnesina una Task Force permanente. In questo contesto affrontiamo soprattutto i temi legati all’emergenza e coordiniamo le iniziative a difesa dei cittadini italiani, inclusi quelli detenuti”.

La tutela degli oltre 160 mila connazionali residenti resta infatti la nostra priorità”, ha rimarcato il sottosegretario, aggiungendo che “l’Ambasciata e il Consolato Generale a Caracas lavorano senza sosta per assistere gli italiani in Venezuela, in particolare coloro che sono stati arrestati in conseguenza delle manifestazioni successive allo svolgimento delle elezioni presidenziali”.
“Sulla base delle richieste di assistenza pervenute dai familiari, risultano attualmente detenuti undici connazionali, tutti doppi cittadini italo-venezuelani”, ha riportato Silli. “Tra questi, vi è il Signor Americo De Grazia, ex deputato di opposizione dell’Assemblea Nazionale, scomparso il 7 agosto dopo essersi recato presso una clinica per accertamenti medici. Secondo quanto riportato dai familiari, egli si trova recluso presso il carcere militare “Helicoide”, con l’accusa di incitamento all’odio. Sin dalla prima segnalazione, abbiamo seguito il caso con la massima attenzione. L’Ambasciata e il Consolato Generale a Caracas mantengono stretti e costanti contatti con i familiari e con i legali del Signor De Grazia”.

“Il Consolato Generale ha ricevuto in quattro occasioni i familiari del Signor De Grazia. Lunedì scorso – ha detto ancora Silli – l’Ambasciatore ha avuto un colloquio telefonico con la figlia per esprimerle vicinanza e solidarietà. Abbiamo chiesto a più riprese l’autorizzazione ad effettuare una visita consolare. Ad oggi, tuttavia, le Autorità venezuelane non hanno ancora fornito un riscontro”.

“In questo contesto, insieme con le Rappresentanze diplomatiche a Caracas dei Paesi europei – ha rilevato il sottosegretario – abbiamo constatato un irrigidimento degli interlocutori locali, sempre meno inclini a garantire accesso e assistenza consolare ai doppi cittadini detenuti in connessione con vicende di natura politica. L’Italia ha condannato fin da subito e con fermezza le misure detentive adottate nei confronti dei cittadini italiani ed espresso forte preoccupazione per la compressione dei loro diritti di difesa. Come noto, ferma condanna in tal senso abbiamo espresso anche in occasione della convocazione alla Farnesina, su indicazione del Ministro Tajani, dell’Incaricata d’affari del Venezuela a Roma”.

“La nostra Ambasciata si è associata al passo promosso dalla Delegazione dell’Unione europea in Venezuela per chiedere l’immediata scarcerazione di tutti i detenuti politici con cittadinanza europea”, ha aggiunto Silli. “Come ribadito martedì dalla Presidente del Consiglio Meloni nelle sue comunicazioni in Aula in vista del Consiglio Europeo, continuiamo a condannare l’inaccettabile repressione del regime in Venezuela e chiediamo la liberazione di tutti i prigionieri politici. Anche come Presidenza del G7 e insieme ai partner europei lavoriamo per la transizione democratica e pacifica nel Paese. Continueremo a monitorare con la massima attenzione la situazione in Venezuela, – ha concluso Silli – compiendo ogni sforzo per prestare la necessaria assistenza al Signor Americo De Grazia e agli altri connazionali e loro familiari coinvolti”.

Nella sua replica, Simona Loizzo (Lega), cofirmataria dell’interrogazione in titolo, si è dichiarata soddisfatta della risposta del Governo, che, ha detto, “conferma il pieno impegno della Farnesina a tutela dei connazionali detenuti in Venezuela. Auspico, tuttavia, ulteriori progressi che consentano ai familiari di verificare le condizioni di salute dei detenuti nel penitenziario El Helicoide, utilizzato come centro di tortura dei prigionieri politici dall’intelligence venezuelana”. (aise) 

Tratto da: Aise.it – Agenzia Internazionale Stampa Estero

I 10 piatti di pasta più ordinati dagli stranieri

Sorpresa: non sono gli spaghetti alla pummarola a guidare la classifica dei dieci piatti di pasta più ordinati dagli stranieri in vacanza in Italia secondo la classifica del Touring Club Italia e Unione Italiana Food presentata ieri sera a Milano in vista del World Pasta Day di settimana prossima (venerdì 25: quest’anno la capitale mondiale dell’evento sarà la città di Philadelphia).

Sorpresa: non sono gli spaghetti alla pummarola a guidare la classifica dei dieci piatti di pasta più ordinati dagli stranieri in vacanza in Italia secondo la classifica del Touring Club Italia e Unione Italiana Food presentata ieri sera a Milano in vista del World Pasta Day di settimana prossima (venerdì 25: quest’anno la capitale mondiale dell’evento sarà la città di Philadelphia).

Da piatto-identitario del tricolore gastronomico per antonomasia, insieme alla pizza, la pasta al pomodoro scivola al terzo posto, sopravanzata dalla carbonara e dalle lasagne alla bolognese: una regionalità italiana che si fa internazionale, quindi, e che si prende la vetta di una classifica che continua di conseguenza su e giù per lo stivale. Con una predominanza assoluta di piatti romani, però: perché se al quarto posto si trovano gli spaghetti alle vongole, di taglio mediterraneo più esteso ed ecumenico, segue dall’Urbe una staffetta tra bucatini all’amatriciana e spaghetti cacio e pepe. A chiudere la top ten, nell’ordine, tortellini in brodo, pasta alla Norma, trofie al pesto e orecchiette con cime di rapa. Pasta lunga, nella maggioranza dei casi (il 46%): per il 38% non fa differenza, solo il 17% preferisce i formati corti. Avanti, ce n’è per tutti.

E non deve stupire troppo il palmares della carbonara se Roma occupa il primo posto tra le città italiane con più transiti nelle strutture ricettivi (seconda è Venezia) e se Milano, in terza posizione, ha visto negli ultimi anni un’espansione più che tangibile di nuovi ristoranti di cucina romana: rassicurante e universale.Scenari certamente mutevoli nel lungo periodo, certamente diversissimi dai tempi in cui si affermò, di fatto, un primordiale turismo (ovviamente elitario) che raggiungeva la penisola a partire dalla seconda metà del Settecento: allora l’incontro dei viaggiatori stranieri con la pasta avveniva per lo più nelle strade di Napoli e il pomodoro ancora non aveva fatto breccia nel matrimonio (gastronomico) perfetto. Johann Wolfgang Goethe ebbe modo di assaggiare i maccheroni nel suo Grand Tour con cui raggiunse la città partenopea descrivendoli come “specie di pasta cotta di farina sottile, morbida e ben lavorata, cotta solito in semplice acqua, e il formaggio grattugiato unge il piatto e nello stesso tempo lo condisce”.

Uno street food, di fatto, preparato e condito per strada anche se non mancavano eccezioni altolocate: Ferdinando IV di Borbone amava consumarli a corte, mangiandoli rigorosamente con le mani e suscitando, di conseguenza, lo sdegno della consorte Maria Carolina d’Asburgo-Lorena. Goethe fece il bis poco più tardi ad Agrigento, coi cavatelli che definì addirittura “squisiti”. Insomma, al di là dei numeri, il dna campano della pasta secca resta preponderante: non a caso, a fare gli onori di cucina ieri sera al vernissage milanese è stato lo chef Gennaro Esposito: “Vince la carbonara sulla pasta al pomodoro? Bè, quando si tratta di piatti di un certo spessore fa sempre piacere” dice a Il Gusto. “Complessità e capacità di appagamento sono forse diverse, la pasta al pomodoro rimane il piatto più semplice ed elegante in assoluto. Cosa avrei votato io? Quesito difficile, anche le lasagne alla bolognese hanno un loro perché: salendo a Milano sono passato da Massimo Spigaroli all’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense: l’abbiamo fatta da lui e poi sono venuto qui”.

Insomma, per Esposito il vero problema è che “alcuni piatti italiani sono vittime della superficialità di chi tante volte li fa: questa indagine deve spronarci a rispettare di più le ricette tradizionali ed eseguirle con la massima serietà e rigore. La pasta al pesto al nono posto? Meriterebbe molta più diffusione, è un gran piatto che sintetizza la semplicità”. Basilico, olio, pinoli, aglio e formaggio Pecorino e Parmigiano.

Buone notizie anche dal resto dell’indagine, che ha coinvolto un panel di 100 ristoratori nelle realtà turistiche del Bel Paese, che assicurano che anche la cultura alimentare degli ospiti stranieri sia cresciuta: meno richieste di improbabili aggiunte o svarioni rispetto alla tradizione. Unico neo è il calo della produzione di pasta che, rispetto al 2022, cala dell’1,9% e si attesta su 3,9 milioni di tonnellate e un fatturato in crescita del 5,4%, pari a 8,1 miliardi di euro, seguita da Stati Uniti, Turchia ed Egitto. La produzione della pasta italiana viene esportata per il 56%, con un piatto di pasta su quattro consumato a livello globale che può dirsi “nato” in un pastificio della madrepatria: di conseguenza, non è nemmeno difficile immaginare che siano proprio gli italiani i principali consumatori di penne, maccheroni & co. (oltre 23 kg annui pro capite), al secondo posto tunisini, venezuelani, greci e peruviani. Fatti i conti, 75 milioni di porzioni di pasta italiana che lo scorso anno sono state proposte nelle case e nei ristoranti di quasi 200 paesi al mondo.

Jacopo Fontnedo (pubblicato da La Repubblica il 09/10/2024)

Tratto da: I 10 piatti di pasta più ordinati dagli stranieri – la Repubblica

Amb.Lucentini, ‘Tajani in Argentina apre nuove partnership’

“Continuità politica” e opportunità di “partnership strategiche”.

E’ il patrimonio che la missione a Buenos Aires del vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha lasciato in dote, dando un nuovo impulso al rilancio dei rapporti bilaterali già avviato tra il governo di Javier Milei e l’esecutivo di Giorgia Meloni.

Lo sottolinea l’ambasciatore d’Italia in Argentina, Fabrizio Lucentini, in una conversazione con l’ANSA, ricordando i vincoli storici, economici e culturali – oltre alla vasta comunità di italo-discendenti – che legano i due Paesi, anche attraverso la diplomazia dello sport. A fare da sfondo poi, le opportunità economiche, soprattutto sul capitolo della transizione verde, e una forte collaborazione nel campo della legalità, con l’Italia a fare da motore per aiutare l’Argentina anche a rientrare nei parametri di trasparenza per l’ingresso nell’Ocse.

“Negli ultimi mesi sono venuti due sottosegretari, due ministri, il vicepresidente del Consiglio e presto dovrebbe arrivare la premier. C’è una dinamica consistente, una continuità che in futuro speriamo possa attivare anche nuovi strumenti. Questo è quanto più era mancato in passato. Basti pensare che l’ultima visita di un ministro degli Esteri risale al 2019”, osserva il diplomatico.

La missione di Tajani, spiega l’ambasciatore, ha offerto spunti “per analizzare a livello di vertice il tema economico-commerciale, approfondire la diplomazia dello sport e spingere quella della legalità”. “Le misure di Milei, per quanto complicate e in alcuni casi anche con ricadute pesanti, soprattutto sulla crescita scesa di quasi il 4%, hanno dato un po’ di certezze – prosegue Lucentini -. Il Paese ha intrapreso un cammino chiaro di coerenza fiscale e una politica monetaria disciplinata. Una direzione che sta cambiando anche la percezione sul rischio Paese, con l’indice prima sopra i 2300 punti dimezzatosi nel 2024, e opportunità di investimento che iniziano a diventare più interessanti per gli italiani. Ne sono una riprova anche le 150 imprese che nei mesi scorsi hanno partecipato agli eventi di Milano e Roma, in occasione della missione della ministra degli Esteri argentina Diana Mondino”.

D’altra parte, “creare le condizioni di affidabilità del mercato non è un processo immediato. Il nostro ruolo è accompagnare le aziende italiane in questo percorso di rinnovato interesse, ma ci vorrà un po’ di tempo. E l’arrivo di Tajani, che ha incontrato Milei e il suo capo di gabinetto Guillermo Francos, ha impresso nuova propulsione”, evidenzia il diplomatico.

Anche la diplomazia dello sport “è stato un aspetto importante toccato nel corso della missione – commenta Lucentini -. Non riguarda solo le grande figure iconiche. Dietro c’è un attività di interscambio sociale forte, e un settore imprenditoriale rilevante, come ha sottolineato Tajani all’evento in ambasciata. E’ uno strumento di cittadinanza attiva che in Argentina, dove la comunità italiana è particolarmente numerosa, è un elemento di coesione cruciale, come dimostra la Maratana (la maratona degli italiani) di Buenos Aires”.

Senza contare poi che l’Italia ha un ruolo trainante per l’Argentina nella lotta alla criminalità transnazionale. “Il Paese prima di altri ha deciso di creare gli strumenti di contrasto e durante la sua visita il vicepremier ha anticipato un nuovo progetto di formazione sviluppato dall’Iila in collaborazione con la Guardia di Finanza e i Carabinieri per gli operatori argentini – spiega l’ambasciatore -. Ma l’Italia collaborerà anche per la messa a terra della nuova normativa antimafia di ispirazione italiana già approvata da uno dei due rami del Congresso, e sta accompagnando il Paese per soddisfare i requisiti di trasparenza per l’ingresso nell’Ocse”.

Tratto da: Amb.Lucentini, ‘Tajani in Argentina apre nuove partnership’ – America Latina – Ansa.it

Ir Arriba