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November 2023

Per chi risuona la motosega di Milei: l’allarme argentino ci riguarda

L’uomo con la motosega minaccia pure noi. Il populismo non è morto né domato; è più vivo che mai, e va al potere nel Paese che ci somiglia di più, che è la nostra immagine riflessa e rovesciata nello specchio: l’Argentina. Il Brasile ha voluto sperimentare Jair Bolsonaro; l’Argentina farà lo stesso con Javier Milei. Uno strano populista che mescola la rivolta contro le élites, l’establishment, le istituzioni, i partiti tradizionali, financo la Banca centrale, con un iper-liberismo economico che potrebbe rilanciare il Paese, ma anche dargli il colpo di grazia.

Il voto a sorpresa di Buenos Aires dice molte cose pure a noi. L’Argentina è l’Italia dell’altro emisfero, e non solo perché nessuno ha mai conosciuto un argentino che non avesse almeno un nonno italiano: neppure Milei fa eccezione (se per questo neppure Bolsonaro, paulista di origini padovane), mentre il suo rivale Sergio Massa è proprio tecnicamente italiano, figlio di Alfonso, siciliano di Salemi, e di Luciana Cherti, triestina. Di tutti i Paesi latinoamericani, l’Argentina è il più europeizzato. Anche se noi europei oggi non abbiamo idea di cosa significhi vivere con un’inflazione al 142%. Significa, appena incassato lo stipendio, doverlo cambiare in dollari (in dollari sono stimati anche i prezzi delle case: la «dollarizzazione» proposta da Milei in fondo fotografa la realtà). Significa non poter importare pressoché nulla. Chi ha soldi li spende, infatti i ristoranti sono pieni; chi non ha soldi, cioè quasi un argentino su due, fa la fame.

Una sorte sinistramente simile a quella che rischierebbe l’Italia, se non avessimo in tasca l’euro, cioè la moneta dei tedeschi, e il nostro crescente debito pubblico non fosse di fatto garantito dalla Bce. L’Argentina non è soltanto la stupenda suggestione letteraria di Francesco Guccini («l’Argentina è solo l’espressione di un’equazione senza risultato/ come i posti in cui non si vivrà, come la gente che non incontreremo/ tutta la gente che non ci amerà, quello che non facciamo e non faremo…»). L’Argentina è un memento anche per noi; altro che «Italexit».

I peronisti, nettamente sconfitti domenica, non sono certo innocenti. Quando l’economia va a rotoli, candidare il ministro dell’Economia — com’era Sergio Massa — non è una grande idea. Il peronismo è un fenomeno complesso, difficile da inquadrare nelle categorie di destra e sinistra. Di sicuro la sorpresa di Buenos Aires rappresenta un problema non solo per la sinistra, che non riesce più a parlare alle classi popolari, ma anche per la destra liberale, moderata, ragionevole. Una destra che in Sud America ha espresso uomini come Fernando Enrique Cardoso, vero artefice del boom economico brasiliano. Come Mario Vargas-Llosa, il più politico tra i grandi Nobel per la letteratura, padre di Álvaro, autore del «Manuale del perfetto idiota latino-americano», la più divertente satira del progressismo. E come lo stesso Mauricio Macri, primo presidente conservatore eletto dagli argentini (nel 2015), che era un imprenditore di successo, storico presidente del Boca Juniors, insomma un esponente dell’establishment; e non ha mai impugnato una motosega.

Ora al fianco di Milei ritorna, con la sua vice — Victoria Villaruel, apologeta della giunta militare —, il fantasma della dittatura, ovviamente non più nelle forme della violenza sanguinaria, ma in quelle non meno dolorose del negazionismo o almeno del riduzionismo. L’Argentina è un Paese importante anche per altri due motivi. È il Paese del Papa. Milei ha detto di Francesco cose orribili, in parte ritrattate quando ha capito di poter davvero diventare presidente. Bergoglio non può essere certo rinchiuso nella categoria del peronismo, tanto più che è sempre stato critico con la presidenza corrotta di Cristina Kirchner. Ma è il primo Papa a venire da un Paese povero, a parte forse la Polonia comunista di Wojtyla; e certo il suo discorso sulla povertà non è nelle corde del turbo-liberista Milei (anche se in Argentina qualcuno si aspettava dal Pontefice che sostenesse in modo diretto il popolo, come aveva fatto Wojtyla che si occupava pure del finanziamento di Solidanornosc).

Il secondo motivo per cui l’allarme argentino riguarda tutti è che tra meno di un anno si vota negli Stati Uniti d’America. E l’onda populista sospinge l’incredibile ritorno di Donald Trump, cui all’evidenza il suo elettorato ha perdonato ogni cosa, anche aver aizzato la folla che ha invaso il Parlamento. Poi ognuno è libero di pensarla come vuole: che con Trump di ritorno alla Casa Bianca ricco e spietato come il conte di Montecristo possa scoppiare la terza guerra mondiale; o che al contrario Putin e Hamas deporranno le armi. Sarebbe curioso capire anche se Giorgia Meloni auspica il ritorno di Trump e in genere avverte il richiamo della foresta populista e antisistema, o se si sente ormai la leader dei moderati italiani. Di sicuro la storia, che sembrava placata e addomesticata dai Macron e dagli Scholz, dai Biden e dalle von der Leyen, insomma dai centristi, torna a farsi più bizzarra e incerta che mai. Per questo, non chiediamoci per chi risuona la motosega di Milei; essa risuona per noi.

Aldo Cazzullo (pubblicato da Il Corriere della Sera il 1º/11/2023)

Tratto da: Per chi risuona la motosega di Milei: l’allarme argentino ci riguarda | Aldo Cazzullo- Corriere.it

Papa Francesco: “Più veterinari che pediatri, non è un bel segnale”. La replica: “Cani e gatti curano la solitudine”

“L’Italia purtroppo è un Paese che invecchia: speriamo che si possa invertire la tendenza, creando condizioni favorevoli perché i giovani abbiano più fiducia e ritrovino il coraggio e la gioia di diventare genitori”. Così Papa Francesco ricevendo i membri dell’Associazione Otorinolaringologi Ospedalieri Italiani (Aooi) e della Federazione Italiana Medici Pediatrici (Fimp). “Forse questo non dovrei dirlo – ha poi aggiunto a braccio il Pontefice -, ma lo dico: oggi si preferisce avere un cagnolino che un figlio. Il vostro compito è molto limitato, ma cresce quello dei veterinari! E questo non è un buon segnale”.

Frasi che fanno insorgere i veterinari: ”La società è cambiata, anche le esigenze, e cani e gatti oggi sono diventati ormai indispensabili. Specie nelle grandi città, dove regna l’anonimato, sono un antidoto alla solitudine. Per rimanere nella battuta – osserva all’Adnkronos Zaccaria Di Taranto, a capo della Federazione Medici veterinari e vice segretario del Sindacato Italiano Veterinari Medicina Pubblica – per noi è tutt’altro che un brutto segnale”.

Il veterinario, fuori di battuta, considera: ”Ormai in ogni famiglia, principalmente per le persone anziane, c’è un cane. E poi le esigenze sono notevolmente cambiate rispetto a tanti anni fa. C’è anche più cura nei confronti degli animali domestici. Ed e vero, il nostro lavoro e’ cresciuto in modo esponenziale”.

Di Taranto osserva: ”Le persone sono sempre più sole, l’animale da compagnia diventa indispensabile. Un discorso che vale soprattutto in riferimento alle grandi città: nei condomini, dove quasi non ci si saluta, non ci si conosce, c’è molto anonimato e a volte una riservatezza esagerata rispetto a come eravamo abituati tanti anni fa”. Il presidente della Federazione Medici veterinari rileva ancora: ”Ormai anche nei ristoranti si porta il cane o il gatto. Sono pochi quelli che espongo il divieto oramai impopolare”.

Anche l’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) ha commentato le parole del Pontefice: “Una delle varie esternazioni di questo papa che sembra ritenere l’amore come limitato quantitativamente, come se, dandolo a un animale, lo si tolga ad altri. Contrapporre i figli a cani e gatti rivela la poca empatia nei confronti degli animali di un pontefice che pure ha preso il nome di Francesco, come il Santo d’Assisi che chiamava tutte le creature ‘fratelli” e sorelle'”.

L’associazione sottolinea come sia “evidente che per Francesco la vita animale è meno importante della vita umana. Ma chi sente che la vita è sacra ama la vita al di là delle specie” e l’OIpa ricorda “infine come sia preziosa la presenza degli animali nelle nostre esistenze, animali che collaborano inoltre nella società come il cane molecolare della Protezione civile che ha trovato il corpo senza vita di Giulia Cecchettin”.

Tratto da: Papa Francesco: “Più veterinari che pediatri, non è un bel segnale”. La replica: “Cani e gatti curano la solitudine” – La Stampa

L’antisistema Milei vince le elezioni in Argentina: sarà lui il prossimo presidente

Javier Milei sarà il prossimo presidente dell’Argentina. Il candidato ultraliberista ha sconfitto con un margine ben oltre le previsioni il peronista Sergio Massa, con una valanga di voti arrivati soprattutto dalle provincie rurali e dai grandi centri urbani. Con il 92% dei voti scrutinati Milei ha ottenuto il 55% dei consensi, mentre Massa si è fermato al 45%.

Una differenza enorme, un numero che nessuno sondaggio della vigilia aveva pronosticato. L’exploit del candidato antisistema è straordinario, se si considera che ha iniziato la sua carriera politica solo due anni fa e che non dispone di una struttura di partito capillare in un paese dalle grandi dimensioni. Si è trattato soprattutto di un gigantesco voto castigo rispetto al governo peronista, travolto da una delle peggiori crisi economiche che si ricordi, con un’inflazione del 140% e la metà delle famiglie sprofondate sotto la soglia della povertà. Una Waterloo senza precedenti per il partito che ha governato durante il 72% del tempo dal ritorno della democrazia, nel 1983, ad oggi.

Sergio Massa ha riconosciuto la sconfitta ancor prima della diffusione dei primi dati ufficiali. L’attuale ministro dell’economia aveva davanti a sé una sfida quasi impossibile proprio a causa della gravissima recessione in corso. Non potendo fare molto davanti ai numerosi impietosi della sua gestione, ha impostato tutta la sua campagna sulla difesa della democrazia e del Welfare, a partire dall’educazione e dalla salute pubblica che Milei ha promesso di sostituire con un sistema privato di vouchers per i cittadini. Il peronismo ha messo in moto tutto il suo apparato di partito-Stato e su Massa sono confluiti anche gli appoggi diretti di vari leader progressisti mondiali come Lula da Silva, il colombiano Petro e il neopremier spagnolo Pedro Sanchez.

Ma più dell’ideologia e dei principi, gli argentini hanno votato con la pancia, stanchi di un sistema di potere basato sull’assistenzialismo di Stato che ha portato ad avere il 40% della popolazione dipendente da redditi di cittadinanza, sussidi sociali, pensioni o impieghi pubblici. A pesare sono stati anche i numerosi scandali di corruzione che hanno coinvolto l’entourage della leader del peronismo Cristina Kirchner, l’erosione continua dei salari e l’insicurezza in aumento un po’ ovunque. Milei ha promesso una vera rivoluzione, ma non avrà vita facile, anche perché non dispone di una maggioranza in Parlamento.

Vuole dollarizzare l’economia argentina, mettendo in pensione lo svalutatissimo peso per adottare la moneta statunitense ma il suo è un piano di difficile attuazione, visto la cronica mancanza di riserve e il debito estero ancora alto accumulato da Buenos Aires con il Fondo Monetario Internazionale. Entrerà in carica il prossimo 10 dicembre e da qui ad allora si prevede un ulteriore aumento dei prezzi e della svalutazione del peso. Uno scenario di potenziale caos sociale per l’outsider che è riuscito a compiere un’impresa che pareva ai più impossibile.

Emiliano Guanella (pubblicato da La Stampa il 20/11/2023)

Tratto da: Milei vince le elezioni in Argentina: sarà lui il prossimo presidente – La Stampa

Di Maio: “Ritorno in politica? Gli italiani sono stati chiari, dopo il risultato del 2022 meglio evitare un accanimento terapeutico”

“Non sto pensando alla politica né per ora nè per il futuro”. Semmai ci fossero ancora dubbi sulla questione, Luigi Di Maio ha dimostrato di avere ben chiara una cosa: è meglio per lui tenersi lontano dalle urne. Dopo il sonoro flop delle politiche del 2022 e il ripescaggio come rappresentante speciale dell’Unione europea per il golfo Persico, l’ex leader del Movimento 5 stelle è tornato a parlare in pubblico. Lo ha fatto su Rai 3, intervistato da In mezz’ora. “Sul piano politico e delle Europee non c’è da aspettarsi proprio nulla, ma lo dico in generale perché i 27 Paesi dell’Unione europea mi hanno affidato questo incarico fino al 2025 che è totalmente incompatibile con azioni politiche”, ha detto anche l’ex vicepremier.

Ma dove si colloca oggi l’ex capo politico dei 5 stelle poi fulminato sulla via di Mario Draghi? “Io ora – ha risposto – sono collocato al massimo a Bruxelles o nel Golfo” e i “limiti del mio mandato non mi permettono di esprimere cose del genere e non posso rispondere. Più in generale posso dire che è finita per me un’era politica con le ultime elezioni”. A proposito della sua scelta di dire addio al Movimento 5 stelle, Di Maio ha lasciato “ai posteri la sentenza”, aggiungendo però che quella scelta arrivò perché “avevo un’idea diversa sul governo Draghi e sulla posizione da assumere sull’Ucraina. Probabilmente ho cambiato idea io rispetto agli amici e ai colleghi di partito. Ma poi gli italiani sono stati molto chiari su quella scelta e alle urne abbiamo preso nemmeno l’1% e quando arrivano risultati così alle elezioni è meglio evitare un accanimento terapeutico…”. A proposito di Beppe Grillo, poi, ha aggiunto: “Non lo sento da tanto tempo ma il bene che gli ho voluto, vicendevolmente, è assolutamente invariato. Continua a volermi bene e rappresenta una figura fondamentale della mia vita. Poi ognuno ha preso la sua strada con idee diverse, ma riguarda il presente e il futuro”.

Tratto da: Di Maio: “Ritorno in politica? Gli italiani sono stati chiari, dopo il risultato del 2022 meglio evitare un accanimento terapeutico” – Il Fatto Quotidiano

Origini di Cristoforo Colombo, Musarra (La Sapienza): “Non serve farne una bandiera di Genova o Savona, i documenti sono poco chiari. Che differenza fa?”

Dov’è nato Cristoforo Colombo? A Genova, Savona o in una delle tante località della Liguria o d’Europa che ne rivendicano i natali? Dopo la disputa scoppiata tra Genova e Savona per la presentazione di un libro pro-Savona che sarà presentato il 23 novembre in Comune a Savona, e l’intervento di una delle studiose di Colombo più conosciute al mondo (la professoressa Gabriella Airaldi, università di Genova, autrice di tantissime pubblicazioni: “era genovese, lo scrisse lui stesso”), sul Secolo XIX interviene anche Antonio Musarra, genovese e professore di Storia medievale presso la Sapienza Università di Roma (e anche lui scrittore di testi sul grande navigatore che scoprì le Americhe).

L’intervento di Antonio Musarra

Ancora sulla “questione colombiana”

Cristoforo Colombo è nato a Savona? Vediamo di analizzare la questione. La pretesa savonesità di Colombo si fonda, innanzitutto, su alcuni atti notarili che dicono il nostro – o chi per lui – operare in città. Un atto rogato a Savona nel 1472 dal notaio Lodovico Moreno nomina un Cristoforo genovese tra i testimoni del testamento di Nicola da Monleone: «Christoforo de Columbo, lanerio de Ianua». Un altro atto, rogato a Savona il 19 agosto del 1474 dal notaio Giovanni, testimonia, invece, la cessione in enfiteusi a Domenico «de Columbo de Quinto Ianuae, habitatori Saonae, lanerio», da parte di Corrado «de Cuneo, civis Saonae», di un appezzamento di terra con vigne, campi, alberi e bosco e un’abitazione situato «in villa Legini districtus Saonae in contrata Valcadae».

Corrado era il padre di Michele, che avrebbe preso parte al secondo viaggio. Generalmente, la storiografia ha ipotizzato un trasferimento della famiglia a Savona dovuto al mutare delle condizioni politiche. Si tratta, naturalmente, d’un’ipotesi, cui osta l’esistenza di un omonimo, nato nel 1436 (e non nel 1451, come solitamente ritenuto), attestata da altri atti; data, questa, confermata dalla testimonianza di Bernáldez Andrés, cappellano dell’arcivescovo di Siviglia, che conobbe Colombo in vita, il quale, nella sua “Historia de los Reyes Católicos”, afferma che «el cual dicho almirante don Cristóval Colón […] estando en Valladolid el año de mil e quimientos y seis, en el mes de mayo, murió, […] de hedad de setenta años».

I conti, dunque, parrebbero tornare. A ciò si aggiungono, altresì, alcuni documenti che esplicitamente dicono Colombo savonese, il primo dei quali parimenti proveniente dalla penisola iberica. Secondo il “Memorial y registro breve de los lugares donde el Rey y Reina Católicos, nuestros señores, estuvieron cada año desde el de 1468 hasta que Dios los llevó para sí” di Lorenzo Galíndez de Carvajal, consigliere della corona, in cui si riporta notizia degli incontri e delle discussioni di corte, nel dicembre del 1491 i sovrani iberici avrebbero stretto un accordo («asiento») con «Christóbal Colón ginovés, natural de Saona».

Di più: in una lettera di Giambattista Strozzi redatta a Cadice e recata alla corte di Francesco II Gonzaga di Mantova il 19 marzo 1494, forse da Antonio Salimbeni, ambasciatore di Francesco II Gonzaga in Spagna, si legge: «Adì VII de questo [Oggi 7 marzo 1494] arivorono qui a salvamento XII caravelle venute dalle isole trovate per Colombo savonese, armiraglio del óceano por lo re de Castiglia, venute in di XXV dalle ditte isole d’Antelia […] arivorono qui sopra a Calis a XXIII ore».

Infine, un terzo documento, rogato a Madrid l’8 marzo del 1535, conservato presso l’Archivo Histórico Nacional de Madrid, fondo Órdenes Militares, Orden de Santiago, riporta il giuramento richiesto a don Diego Colón y Toledo, «natural de Santo Domingo», figlio di Diego Colón (dunque, nipote dell’Ammiraglio) prima di vestire l’abito dell’Ordine di Santiago. Il bambino, allora di undici anni, doveva fornire la propria genealogia e giurare di non essere figlio di ebrei, mori o plebei. A suo dire, il nonno paterno («abuelos paternos») era «Christóbal Colón, natural de Saona cerca de Génova, y doña Felipa Moniz natural de Lisboa». Il nipote allegava le testimonianze giurate e secretate di Diego Méndez de Segura, Pedro de Arana e di Rodrigo Barreda. Dunque, esiste una tradizione primo-cinquecentesca che faceva di Savona la città di nascita di Cristoforo. Tale tradizione si perpetua nel tempo, come mostra, nella seconda metà del secolo, Gabriello Chiabrera, che riteneva Colombo proprio concittadino. A ciò si aggiungono le rime anonime un tempo attribuite al genovese Lazzaro Pantaleo Murassana, residente a Sanremo, anch’esse attestanti la savonesità di Colombo. Altre testimonianze seguiranno nel Seicento.

Ora, queste testimonianze si scontrano – apparentemente – con quelle che, invece, ne attestano la genovesità. Nel suo “De dictis factisque memorabilibus collectanea: a Camillo Gilino latina facta”, edito postumo a Milano da Giacomo Ferrari nel 1509, Battista Fregoso, doge di Genova dal 1478 al 1483, morto nel 1504, è piuttosto esplicito: «Christophorus Columbus natione Genuensi». Come si vede, siamo di fronte a un testo coevo. Non diversamente, del resto, dal “De navigatione Columbi per inaccessum antea Oceanum commentariolum” del notaio Antonio Gallo, redatto tra il 1496 e il 1498 (benché vi sia stato chi abbia tentato di posticiparlo al 1506). A suo dire, «Christophorus et Bartholomeus Columbi fratres, natione ligures ac Genue plebeis orti parentibus, et qui ex lanificii, nam textor pater, carminatores filii aliquando fuerunt, mercedibus victitarent».

Cristoforo e il fratello Bartolomeo erano nati a Genova da una famiglia di popolo attiva nell’arte della lana. L’attendibilità della testimonianza si fonda sulla vicinanza del Gallo alla famiglia di Colombo: le terre di sua proprietà situate a Quinto confinavano, infatti, con quelle d’un certo Mico, cugino di Cristoforo, al quale il nostro aveva prestato denaro venendo rimborsato dalla moglie coi proventi del lavoro di tessitrice. Di più: tra il Gallo, in veste di cancelliere del Banco di San Giorgio, e Colombo era attiva una corrispondenza. Il 2 aprile del 1502, in procinto di partire per il suo quarto viaggio, il navigatore avrebbe inviato una lettera ai Protettori delle Compere di San Giorgio, a Genova, chiedendone l’appoggio a tutela del figlio Diego nei confronti della corona di Spagna.

Nel comunicare la decisione di devolvere la decima parte delle proprie rendite annuali ai bisognosi, il navigatore si abbandonava ai sentimentalismi: «Bien que el coerpo ande acá, el coraçon está alí de continuo» («Benché il mio corpo sia qui, il mio cuore è continuamente con voi»). L’8 dicembre, i Protettori indirizzavano al navigatore la propria risposta, ringraziandolo per i sentimenti d’affetto ch’egli ancora nutriva per la propria terra natale, nonostante la lontananza decennale; congratulandosi, inoltre, per le sue scoperte, le quali avevano mutato l’orizzonte collettivo. La lettera – si legge nella minuta, redatta dal Gallo in qualità di notaio – «ne ha data una consolatione singularissima, vedendo per quela, Vostra Excelentia essere, como è consentaneo a la natura sua, afectionato de questa sua originaria patria, a la quale mostra portar singularissimo amore et carità». Genova è, dunque, la «patria» di Colombo. Nel corso del Cinquecento, la genovesità di Colombo sarà confermata da Francesco Guicciardini nella sua “Historia d’Italia” (1538): «Christofano Colombo Genovese». Tale ascendenza sarà data per certa, inoltre, dai portoghesi João de Barros, Damião de Goes e Garcia de Resende. Nella “Gerusalemme liberata”, Torquato Tasso lo dirà, invece, generalmente ligure (1581). Ma non è tutto. Anche l’ammiraglio ottomano Piri Ibn Ḥājjī Meḥmed, noto come Piri Reìs, nella celebre carta del 1513 lo dice genovese: «Amma şöyle rivayet ederler kim “Cinevizden bir kâfir adına Qolōnbō” derler imiş, bu yerleri ol bulmuştur» («Ma si racconta che “un infedele di Genova di nome Colombo” ha scoperto questi paraggi»). Le ricerche di Aldo Agosto hanno restituito, altresì, oltre centodieci atti notarili relativi alla genealogia dei Colombo genovesi, attestandone le origini nella riviera di Levante; soprattutto, mettendo in connessione gli spostamenti della famiglia con le vicende politiche cittadine (questione quantomai problematica, vista la presenza di linee genealogiche diverse).

A ciò si aggiungono due documenti di fondamentale importanza: nel primo, rogato a Genova il 31 ottobre del 1470, rinvenuto da Marcello Staglieno nell’Archivio di Stato di Genova, un certo Cristoforo Colombo, figlio di Domenico, dichiara di non avere un’età superiore ai 19 anni. Nel secondo, ritrovato dal colonnello Ugo Assereto (si tratta del famoso “documento Assereto”), rogato a Genova il 25 agosto del 1479, Cristoforo Colombo dichiara di essere «civis Ianue», di avere approssimativamente 27 anni, di avere soggiornato a Lisbona da più di un anno, di avere fatto un viaggio a Madera, di essere sul punto di tornare a Lisbona e di essere cliente fiduciario di alcuni mercanti genovesi lì stabilitisi, Lodisio Centurione e Paolo Di Negro, i cui eredi saranno ricordati sia dall’Ammiraglio, sia dal figlio Diego nei rispettivi testamenti, risalenti al 1506, il primo, al 1523, il secondo. È lecito, dunque, identificare il Colombo citato col futuro Ammiraglio, la cui biografia ne è sostanzialmente ricalcata, e attribuirne i natali al 1451. Certo, non si attesta il luogo di nascita ma unicamente la cittadinanza. Questo, a ogni modo, basterebbe per smorzare ogni pretesa di farne una bandiera politico-ideologica. Non può, invece, essere considerata una prova la scrittura di maggiorasco risalente al 22 febbraio 1498, volta a regolare la successione del primogenito Diego, in cui si legge «Siendo yo nacido in Genova». Di questo testo non è pervenuto l’originale ma una copia del XVII secolo, ricavata, in parte, da quella presentatoail 17 marzo 1587 da Baldassarre Colombo di Cuccaro Monferrato al Tribunale di Madrid a reclamo della propria (presunta) eredità.

Come si vede, esistono ragioni favorevoli e contrarie alla savonesità di Colombo. Va detto come le testimonianze favorevoli, pur provenendo da osservatori esterni, siano particolarmente problematiche. Lorenzo Galíndez de Carvajal conosceva Colombo; si può presumere ch’egli abbia tratto l’informazione dall’ammiraglio stesso. L’origine delle notizie di Giambattista Strozzi e Diego Colón y Toledo (o chi per lui), invece, è ignota, benché si possa pensare che quest’ultimo riporti l’opinione del figlio Diego. Per converso, la genovesità di Colombo sembra indubbia per il doge Fregoso, che, tuttavia, si riferisce genericamente alla sua «natio», concetto estensibile alle riviere. Dal canto suo, il “documento Assereto” ne attesta la cittadinanza genovese: «civis Ianue». Si può presumere, forse, che Cristoforo fosse nato a Savona e che la famiglia si sia successivamente spostata a Genova? È una strada possibile. Ma è anche possibile il contrario; che, cioè, il nostro fosse nato a Genova e che, successivamente, si sia trasferito a Savona, pur mantenendo la cittadinanza genovese; e che, per ragioni ignote – ma che potrebbero ricondursi a tensioni politiche interne alla città (ripeto: questione problematica, che necessita di approfondimenti, vista la presenza di vari “Colombo”) – decidesse di farsi passare per savonese. Si tratta d’una strada plausibile ma, forse, non necessaria. La testimonianza di Antonio Gallo ne attesta chiaramente la «patria».

Dietro la presunta nascita savonese potrebbe celarsi, a ogni modo, tanto il supposto trasferimento di Colombo in città, quanto la presenza di omonimi, quanto, ancora, la perdita di memoria, la mala informazione, il tentativo deliberato di appropriarsene i natali e così via. Come risolvere la questione? Non tanto estrapolando nuovi documenti ma ristudiando i documenti esistenti, contestualizzandoli, cercando di coglierne le trame sottese; di più: tracciando il quadro delle relazioni tra Genova e Savona al tempo di Carlo V e cercando di comprendere quale ruolo avesse il navigatore in età doriana. Mi limito a un solo esempio, riguardante la testimonianza più antica, quella del “Memorial y registro breve” di Lorenzo Galíndez de Carvajal. Leggiamo la testimonianza in maniera più estesa: «Y en este año tomaron sus altezas asiento con Cristóval Colón, ginoves natural de Saona, sobre el descubrimiento de las Yslas i Yndias del mar Océano, de que tanta honra y provecho se ha seguido a estos reinos» (sorvolo sull’errata trascrizione del testo da parte dei sostenitori della savonesità del navigatore, rifacentesi verosimilmente a un errore perpetrato da tutti i trascrittori a partire dal 1850 ca.: «sobre el descubrimento de las Indias e Islas del Mar Oceano», segno della mancata conoscenza diretta del testo).

Come si vede, se inserita nel proprio contesto, l’affermazione suggerisce conclusioni diverse: si tratta evidentemente d’una testimonianza posteriore agli eventi; non, certo, d’una registrazione in “presa diretta”. Del resto, ciò è implicito nel titolo dell’opera, che possediamo in copie del 1553 e del 1555. Siamo di fronte, dunque, a un testo quantomeno rielaborato se non decisamente tardo, redatto verosimilmente negli stessi anni in cui il piccolo Diego Colon costruiva la propria genealogia savonese. La domanda, dunque, è “perché”. Il motivo va cercato nei nuovi equilibri instaurati al tempo di Andrea Doria con la corona iberica ma anche nel ruolo della famiglia di Colombo a corte, nei rapporti tra Diego e Fernando, in quello di Savona, nelle pretese degli “altri” Colombo e via dicendo. Questa è – a mio avviso – la via storicamente efficace per risolvere la controversia. Quel che nuoce alla causa è, invece, fare di Colombo una bandiera: il mito della sua genovesità così come quello della sua savonesità nuocciono alla comprensione dei reali problemi della biografia colombiana, che non possono affatto ridursi al tentativo di stabilirne il luogo di nascita. In fondo, che differenza fa se sia nato a Genova o a Savona? Storia ed erudizione procedono su binari paralleli. A volte s’incontrano. Ma non necessariamente. L’erudizione, se fine a sé stessa, non ne è che l’antitesi.

Dario Freccero (pubblicato da Il Secolo XIX l’ 11/11/2023)

Tratto da: Le vere origini di Cristoforo Colombo “il genovese” – Il Secolo XIX

Quasi 6 milioni di italiani nel mondo. In calo gli espatri (-2,1%), per la prima volta superati dalle nascite all’estero

Cresce l’Italia fuori dall’Italia. Al 1° gennaio 2023 i connazionali iscritti all’Aire (l’anagrafe degli italiani residenti all’estero) sono 5.933.418, il 10,1% dei 58,8 milioni di italiani residenti in Italia. I nati all’estero sono cresciuti, dal 2006, del +175%, le acquisizioni di cittadinanza del +144%, le partenze per espatrio del +44,9%, i trasferimenti da altra Aire del +70%. Ma se prima del Covid le iscrizioni all’Aire in un anno arrivavano anche a 260 mila e più del 50% erano per espatrio, gli espatri ora stanno diminuendo: dal 49,3% del 2021 su oltre 222 mila iscrizioni al 42,8% del 2022 su oltre 195 mila iscrizioni. Nel 2022 si sono iscritti all’Aire per “espatrio” solo 82.014 italiani. E’ quanto emerge dal Rapporto Italiani nel mondo 2023, curato dalla Fondazione Migrantes.

La mobilità degli italiani nel mondo è sempre più inquieta. C’è chi parte, chi resta e chi torna. Aumentano “gli indecisi” e i “moderni clandestini”, ossia chi parte ma non sposta la residenza all’estero. Al 1° gennaio 2023 i connazionali iscritti all’Aire (l’anagrafe degli italiani residenti all’estero) sono 5.933.418, il 10,1% dei 58,8 milioni di italiani residenti in Italia. Mentre l’Italia continua inesorabilmente a perdere residenti (in un anno -132.405 persone, lo -0,2%), “l’Italia fuori dall’Italia” continua a crescere, anche se meno rispetto agli anni precedenti. Basti pensare che la presenza degli italiani all’estero è cresciuta dal 2006 del +91%. Le italiane all’estero sono raddoppiate (99,3%), i minori sono aumentati del +78,3% e gli over 65 anni del +109,8%. I nati all’estero sono cresciuti, dal 2006, del +175%, le acquisizioni di cittadinanza del +144%, le partenze per espatrio del +44,9%, i trasferimenti da altra Aire del +70%. Ma sta avvenendo un fenomeno inverso: da gennaio a dicembre 2022 si sono iscritti all’Aire per “espatrio” 82.014 italiani (-2,1% rispetto all’anno precedente ovvero -1.767 iscrizioni). Se prima del Covid le iscrizioni all’Aire in un anno arrivavano anche a 260 mila e più del 50% erano per espatrio, gli espatri ora stanno diminuendo: dal 49,3% del 2021 su oltre 222 mila iscrizioni al 42,8% del 2022 su oltre 195 mila iscrizioni. Nell’ultimo anno, per la prima volta, il motivo “espatrio” è stato superato dalla nascita all’estero da cittadini italiani (43,4%, quasi 91 mila iscrizioni). Sono alcuni dei principali dati che emergono dal Rapporto italiani nel mondo 2023 a cura della Fondazione Migrantes, presentato oggi a Roma.

L’Italia all’estero è sempre più giovane. Al contrario di quanto avviene in Italia, la comunità all’estero è sempre più giovane. Crescono le classi di età di giovani, giovani adulti e adulti maturi: il 23,2% (oltre 1,3 milioni) ha tra i 35 e i 49 anni; il 21,7% (più di 1,2 milioni) ha tra i 18 e i 34 anni. La Sicilia è la principale regione d’origine (oltre 815 mila). Seguono la Lombardia (quasi 611 mila), la Campania (+548 mila), il Veneto (+526 mila) e il Lazio (quasi 502 mila). Il 48,2% dei 6 milioni di italiani all’estero è donna (oltre 2,8 milioni).

L’attuale presenza italiana all’estero è europea. L’Europa accoglie oltre 3,2 milioni di connazionali (il 54,7% del totale). Il continente americano segue con oltre 2,3 milioni (40,1%). Le comunità italiane più numerose sono in Argentina (oltre 921 mila iscritti, il 15,5% del totale), in Germania (oltre 822 mila, il 13,9%), in Svizzera (oltre 639 mila, il 10,8%). Seguono Brasile, Francia, Regno Unito e Stati Uniti d’America.

Meno espatri nel 2022. Da gennaio a dicembre 2022 si sono quindi iscritti all’Aire per la sola motivazione “espatrio” 82.014 italiani (-2,1% rispetto all’anno precedente ovvero -1.767 iscrizioni). E’ una mobilità prevalentemente maschile (54,6%), non coniugata (67,1%), giovane (il 44% ha tra i 18 e i 34 anni) o giovane adulta (il 23%). Provengono da tutte le 107 province di Italia (soprattutto Milano, Torino, Napoli e Roma) verso 177 destinazioni differenti. Il 75,3% di chi ha lasciato l’Italia per espatrio nel 2022 è andato in Europa; il 17,1% nel continente americano (il 10,5% in America Latina) e il 7,4% si è distribuito nel resto del mondo. Il 16,4% delle iscrizioni per espatrio ha riguardato il Regno Unito; il 13,8% la Germania; il 10,4% la Francia e il 9,1% la Svizzera.

Si emigra per desiderio di rivalsa e crescita. La mobilità oggi non è più sfuggire da situazioni di fragilità economica e occupazionale ma desiderio di rivalsa e crescita. Secondo lo State of the Global Workplace 2023 Report di Gallup, il 51% dei lavoratori nel mondo dichiara di avere intenzione di lasciare il lavoro vista la ripresa dell’occupaze dopo la pandemia. Gli italiani si sentono invece “inchiodati al loro destino professionale” (18%): sono i lavoratori meno coinvolti, i più stressati (49%) e i più tristi (27%). I lavoratori italiani guadagnano circa 3.700 euro in meno della media dei colleghi europei. A soffrire di più sono i giovani: tra i 18 e i 34 anni quasi un ragazzo su due nel 2022 (4,8 milioni) ha almeno un segnale di deprivazione nell’istruzione e nel lavoro. Ben 1,7 milioni sono Neet (Not in Education, Employment or Training).

Pensionati all’estero in calo. La mobilità previdenziale è caratterizzata da incostanza: nel 2019 si registravano quasi 6 mila partenze l’anno, poi scese a più della metà nel 2020 e 2021. Nel 2023 le iscrizioni all’Aire per espatrio degli over 65 anni sono state 4.300: +17,8% per chi ha 65-74 anni, +15,1% per 75-84 anni e +5,3% per gli over ottantacinquenni. I pensionati espatriano verso luoghi esotici amati, Paesi con politiche di defiscalizzazione, ma soprattutto per ricongiungersi a figli e nipoti.

Donne italiane all’estero, moderne e dinamiche.  A differenza del passato la donna italiana non migra più per ricongiungersi agli uomini che l’avevano preceduta: oggi va all’estero una donna moderna, dinamica e indipendente, in cerca di un maggior benessere economico e di una carriera professionale più gratificante.

Rientri e rimpatri, raddoppiati in 10 anni. Durante il decennio 2012-2021 il numero dei rimpatri dall’estero dei cittadini italiani è più che raddoppiato: dai 29 mila nel 2012 ai circa 75 mila nel 2021 (+154%). Nell’ultimo decennio, il numero complessivo di rientri in patria è stato pari a 443 mila. Le agevolazioni fiscali introdotte nel 2021 sono state un fattore di attrazione. Nel 2021 le cancellazioni per l’estero di cittadini italiani sono state circa 94 mila, di cui 42 mila donne (45,1%), mentre il numero delle iscrizioni anagrafiche dall’estero è stato di quasi 75 mila individui, di cui 33 mila donne (44,2%). I rimpatri avvengono principalmente verso la Lombardia (14 mila, il 19% del totale), il Lazio (oltre 7 mila, pari al 10%), la Sicilia (quasi 7 mila, pari al 9%) e il Veneto (quasi 6 mila, pari all’8%).

Un nuovo trend: la restanza. Tante sono anche le persone o famiglie – in particolare i giovani – che decidono di rimanere o tornare nelle loro comunità d’origine, avviando iniziative imprenditoriali, attività tipiche dei contesti agropastorali, progetti culturali e sociali, per contribuire alla rinascita economica del territorio.

Patrizia Caiffa (pubblicato da agensir.it 08/11/2019)

Tratto da: Quasi 6 milioni di italiani nel mondo. In calo gli espatri (-2,1%), per la prima volta superati dalle nascite all’estero | AgenSIR

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