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November 2022

Mattarella: la violenza contro le donne è una aperta violazione dei diritti umani

“Porre fine alla violenza contro le donne, riconoscerne la capacità di autodeterminazione sono questioni che interpellano la libertà di tutti”. Così il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della Violenza contro le Donne.

“La violenza contro le donne è una aperta violazione dei diritti umani, purtroppo diffusa senza distinzioni geografiche, generazionali, sociali”, afferma il Capo dello Stato. “Negli ultimi decenni sono stati compiuti sforzi significativi per riconoscerla, eliminarla e prevenirla in tutte le sue forme. Tuttavia, per troppe donne, il diritto ad una vita libera dalla violenza non è ancora una realtà. Le cronache quotidiane ne danno triste testimonianza e ci ricordano che ci sono Paesi dove anche chi denuncia e si oppone alle violenze è oggetto di gravi ed estese forme di repressione”.

“Sono narrazioni dolorosissime, – aggiunge – sino alle aberrazioni in quei territori che vivono situazioni di guerra ove le donne diventano ancora più vulnerabili e sono minacciate da violenze che possono sfociare nella tratta di esseri umani o in altre gravi forme di sfruttamento. Porre fine alla violenza contro le donne, riconoscerne la capacità di autodeterminazione sono questioni che interpellano la libertà di tutti”.

“La violenza di genere, nelle sue infinite declinazioni, dalla violenza fisica, psicologica, economica, fino alla odierna violenza digitale, – rimarca il Presidente Mattarella – mina la dignità, l’integrità mentale e fisica e, troppo spesso, la vita di un numero inestimabile di donne, molte delle quali sovente, non si risolvono a sporgere denuncia”.

Denunciare una violenza – aggiunge – è un atto che richiede coraggio. Abbiamo il dovere di sostenere le donne che hanno la forza di farlo, assicurando le necessarie risposte in tema di sicurezza, protezione e recupero. Un’azione efficace per sradicare la violenza contro le donne – sottolinea, concludendo, il Presidente – deve basarsi anzitutto sulla diffusione della prevenzione delle cause strutturali del fenomeno e su una cultura del rispetto che investa sulle generazioni più giovani, attraverso l’educazione all’eguaglianza, al rispetto reciproco, al rifiuto di ogni forma di sopraffazione”. (aise) 

Fonte: Aise.it – Agenzia Internazionale Stampa Estero

Riunione Intercomites Argentina

L’Ambasciatore d’Italia in Argentina Fabrizio Lucentini, insieme alla coordinatrice consolare Gentile, il Console Generale Petacco ed il Console Puggioni, hanno partecipato alla riunione dell’Intercomites Argentina a Buenos Aires, resasi necessaria principalmente per eleggere un nuovo Presidente, in quanto il precedente Franco Tirelli siè dimesso per essere stato eletto Deputato nelle elezioni anticipate di settembre. Sono stati anche presenti 4 dei 7 Consiglieri CGIE per l’Argentina, Gazzola da Rosario, Pinto da Lomas de Zamora, Fialà e Morello da Buenos Aires.

Nel suo intervento, Lucentini ha sottolineato l’importanza dei momenti democratici vissuti con grande partecipazione dalla comunità italiana in Argentina, dalle elezioni dei Comites, al rinnovo del CGIE, ai referendum abrogativi, alle elezioni anticipate, a conferma della vitalità e del desiderio della collettività di dare un contributo alla vita del nostro Paese. E’ tornato ancora una volta sull’importanza del coinvolgimento sempre più intenso dei giovani, e sulla necessità di una progettualità dei Comites che trova nelle Istituzioni italiane disponibilità al dialogo ed al lavoro comune, ed anche apporto finanziario.

L’Ambasciatore ha illustrato la candidatura di Roma ad ospitare Expo nel 2030, con le benefiche ricadute non solo sul nostro Paese ma anche per l’Argentina, segnalando come l’attività di lobby della comunità italiana possa essere utile nell’ambito di un’azione a tutto campo che si conduce per guadagnare il sostegno argentino.

E’ seguita la elezione della nuova Presidente dell’Intercomites, individuata all’unanimita’ in Maria Eugenia Serrano, giovane e vivace Presidente del Comites di Lomas di Zamora, molto attiva nell’associazionismo e nella formazione tramite il Centro Italo Argentino di Alti Studi. Un segnale, la sua designazione, molto importante per dare slancio alla comunità, le cui componenti di base, associazioni in primis, necessitano a giudizio condiviso di nuova linfa.

Vi è stato un giro di tavolo su attività e progetti dei Comites, che la rete diplomatico consolare ed il Ministero degli Affari Esteri sostiene con convinzione, ed un coordinamento tra i Presidenti sui temi amministrativi e di gestione. E’ stata ribadita la ferma condanna verso i tentativi di brogli alle ultime elezioni politiche, e la soddisfazione dovuta al fatto che questi siano stati smascherati.

Quanto ai servizi consolari, dall’incontro è scaturito l’unanime riconoscimento per l’intenso lavoro condotto dalla rete diplomatico consolare, sempre in stretta collaborazione con i rappresentanti della collettività, valorizzando altresì gli sforzi per funzionamento delle strutture, assistenza ai connazionali, revisione dei metodi di lavoro, prassi innovative e tentativi di uniformare il più possibile l’erogazione dei servizi consolari, pur nella coscienza di differenze talvolta sostanziali delle condizioni di lavoro nelle varie Sedi. Tutti i presenti hanno espresso grande soddisfazione per l’operato dei Consolati ed il dialogo con le istanze della collettività, mentre permane una sostanziale dicotomia tra il desiderio di potenziare i servizi ai connazionali (in particolare passaporti) e la volontà di accelerare le ricostruzioni di cittadinanza.

Nel ribadire che la rete rende un servizio qualità assoluta, i membri dell’Intercomites hanno comunque sottolineato con forza la necessità di ripristino delle risorse umane, via via diminuite negli anni a fronte di una domanda in continua crescita, reiterando la richiesta di copertura dei tanti posti necessari, sia con personale di ruolo, sia con contrattisti.

Importante anche continuare a lavorare sul miglioramento del sistema Prenot@Mi, con adeguamenti tipo la doppia autenticazione, per eliminare i possibili commerci da parte di intermediari che possano accaparrarsi i turni disponibili, limitando di conseguenza la possibilità di accesso per i privati cittadini.

Infine, grande attenzione è stata poi dedicata dall’Intercomites alla situazione della rete consolare onoraria, data la vastità dell’Argentina e la dislocazione della numerosissima collettività in tutto in Paese. A tal fine, si è ricordato come la legge locale imponga l’autorizzazione del Parlamento alla nomina di consoli onorari di cittadinanza argentina, con tempi molto lunghi, auspicando la possibile autorizzazione all’esercizio provvisorio delle funzioni da parte di questa Cancilleria (concessa in passato, sospesa a partire dal Governo Macri e più volte sollecitata a queste Autorità). Soddisfazione è stata espressa per il percorso intrapreso per l’elevazione di Mendoza a Consolato Generale.

Si è trattato di un incontro lungo, chiaro, cordiale, utile occasione di reciproca informazione e confronto sul lavoro comune per la collettività, preziosa risorsa in tutti i campi della collaborazione tra Italia ed Argentina

Fabio Porta interviene in Commissione Esteri: “nella riorganizzazione del MAECI la priorità deve essere il rafforzamento dei consolati”

Intervenendo oggi in Commissione Esteri sul riordino delle attribuzioni ai Ministeri, Fabio Porta a nome del Partito Democratico ha espresso la preoccupazione del suo gruppo sui tempi e sui modi della transizione delle competenze sull’internazionalizzazione e la promozione del Made in Italy dal MAECI al MISE, sostenendo l’importanza di non mortificare il ruolo strategico e di orientamento della Farnesina, a partire dal coinvolgimento della Italian Business Community nel mondo.Considerando che il PTP, Piano triennale dei fabbisogni del MAECI, che prevedeva l’assunzione di 985 unità tra il 2021 e il 2023, non riuscirà a coprire il differenziale di organico di almeno duemila unità (con riferimento a quello di soli dieci anni fa), il deputato del PD ha evidenziato come la lista straordinaria pubblicata poche settimane fa ha coperto per esempio solo il 27% dei quasi mille posti all’estero, evidenziando in maniera plateale e drammatica la grave carenza di personale presso i Consolati.Per questi motivi il parlamentare ha preannunciato che in sede di approvazione del parere il suo gruppo chiederà di prevedere, anche in legge di bilancio, l’autorizzazione per il MAECI di assumere un adeguato numero di nuovi funzionari, considerando anche l’immissione in ruolo di parte del personale a contratto locale dei consolati attraverso un apposito concorso.Ufficio Stampa On. Fabio Porta

Caio Mussolini ha presentato il suo libro La immigrazione italiana in Argentina

Con gli auspici di Passione Tricolore, associazione civica, sociale e culturale, rappresentata in Argentina da Franco Arena, la sera del 17 novembre, nella sede dell’associazione italiana Unione e Benevolenza, Caio Mussolini ha presentato la traduzione in spagnolo della sua tesi di laurea in Scienze Politiche La immigrazione italiana in Argentina.

Caio Giulio Cesare Mussolini è nipote di Vittorio, il secondogenito del Duce, esiliatosi nel dopoguerra in Argentina, dove sono cresciuti i suoi figli, Guido e Adria e dov’è nato Caio, figlio di Guido. Caio, argentino di nascita, è cresciuto in Venezuela, in seguito è tornato in Italia, ha frequentato l’Accademia Navale di Livorno, poi spinto dalla sua passione per la politica si è iscritto alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Trieste e si è laureato.

Il libro di facile lettura è chiaro, didattico, completo tanto da essere considerato un testo di riferimento nel tema trattato. Caio milita da tempo in Fratelli d’Italia, la cui leader è Giorgia Meloni, attuale Primo ministro. Dopo la presentazione del suo libro l’oratore ha parlato dell’attualità italiana e dei problemi che il nuovo governo deve affrontare e possibilmente risolvere come il caro bollette, la guerra in Ucraina, la chiusura delle imprese e anche la inoperante burocrazia italiana, “cambiano i ministri ma all’interno del vari ministeri gli impiegati da anni sono sempre gli stessi”. Si è anche riferito alle tante fake news che circolano dal dopo guerra sul fascismo e che si sono imposte come se fossero vere. Ha anche detto che alcuni scrittori fanno fortuna diffamando il suo bisnonno, come Aldo Cazzullo e Scurati.

Nella foto:a sinistra il Jorge Feijoo, Maria Teresa Pugliese, figlia del primo segretario in Argentina, del Comitato Tricolore, Caio Mussolini, Franco Arena.

Edda Cinarelli

Fabio Porta e Sara Ferrari sulla cittadinanza ai discendenti trentini: inaccettabili i ritardi sulla definizione delle pratiche

Il ritardo di anni nello svolgimento di una procedura amministrativa fissata da una legge dello Stato non solo collide con un fondamentale diritto di cittadinanza e, in particolare, con il diritto del cittadino ad avere per ogni atto amministrativo una risposta certa in tempi definiti, ma rischia di vanificare lo spirito della Legge 379/2000 volta a reintegrare le prerogative di cittadini sottoposti a dolorose prove storiche e umane”, è quanto affermano nella interrogazione indirizzata ai Ministri degli Esteri e dell’Interno i deputati democratici, Porta e Ferrari.
A distanza di anni dalla scadenza della legge 379 del 14 dicembre 2000 (i cui effetti sono stati prorogati al 2010 con il decreto 30 dicembre 2005, n. 273), risulterebbero migliaia le domande ancora pendenti e non processate dagli uffici competenti del Ministero dell’Interno. Un numero significativo di istanze, poi, risulterebbero non pervenute e non registrate, nonostante siano state trasmesse nei termini e con le corrette modalità.
Le preoccupazioni espresse in più sedi dalla rete associativa dei trentini nel mondo, ci hanno spinto a rinnovare la richiesta di un sollecito intervento da parte delle autorità competenti e a chiedere, attraverso l’interrogazione, i dati aggiornati sulle domande tuttora pendenti. Abbiamo ritenuto opportuno, inoltre, ripresentare la proposta di legge che mira a riaprire i termini della legge n. 379, tenendo conto che l’apposizione dei termini per norme finalizzate al riconoscimento della cittadinanza italiana a beneficio di abitanti di territori contesi tra diversi Stati è stata superata da più recenti interventi normativi” – così i deputati democratici a margine del deposito dei due atti parlamentari.

Il Papa ad Asti parla in piemontese: “A la fame propri piasi’ encuntreve. Ch’a staga bin!”

Jorge Mario Bergoglio celebra Messa da pontefice nella terra d’origine della sua famiglia. Da qui «mio padre è emigrato in Argentina, io sono venuto a ritrovare il sapore delle radici», afferma. Durante l’omelia nella cattedrale di Asti parla anche in piemontese: «Gesù si manifesta a noi “a brasa duverte” (a braccia aperte, ndr)”». Mette in guardia: «Tutti pensiamo di sapere che cosa non va nella società, nel mondo, nella Chiesa – tante cose non vanno nella Chiesa – ma poi facciamo qualcosa? L’onda del male si trasmette per indifferenza». E saluta in piemontese: «A la fame propri piasi’ encuntreve. Ch’a staga bin!».

Ieri mattina Francesco è partito dall’eliporto del Vaticano per andare ad Asti, in visita privata, e incontrare i familiari in occasione del 90° compleanno di sua cugina Carla Rabezzana. Dopo il pranzo in famiglia a Portacomaro, nell’Astigiano, il Vescovo di Roma ha fatto visita a una casa di riposo e ospitalità per anziani poco distante. Quindi, si è recato a Tigliole, frazione San Carlo, per intrattenersi con un’altra cugina.

Questa mattina, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il Papa presiede la Messa per incontrare la comunità diocesana dalla quale erano partiti i genitori per emigrare in Argentina e i giovani provenienti da tutta la regione in occasione della XXXVII Giornata mondiale della Gioventù (Gmg) celebrata oggi nelle chiese particolari.

Dopo avere incontrato le istituzioni locali e avere ricevuto la cittadinanza onoraria dal sindaco di Asti Maurizio Rasero, il Pontefice è uscito intorno alle 10 dal vescovado, dove ha trascorso la notte. «Aspettate qui dalle 7? Con questo freddo? Ora vi scalderete», ha detto appena uscito. Prima di salire sulla papamobile, il Pontefice ha voluto stringere la mano dei presenti che lo attendevano proprio all’ingresso del Vescovado, dietro alle transenne. Con lui anche il vescovo di Asti, monsignor Marco Prastaro. Ad Asti oggi la temperatura minima è scesa a -2.2 gradi. Il corteo papale attraversa la città per 1,7 chilometri in mezzo a un bagno di folla. Si parla di 25mila persone giunte ad Asti per vedere il Papa. Lungo il percorso sono impegnate numerose associazioni di volontariato, oltre a uno spiegamento significativo di forze dell’ordine, trecento volontari di protezione civile e almeno cinquanta volontari di pubblica assistenza Anpas.

«Mi sono sempre sentito astigiano»: a dirlo è stato Francesco, così come riferito da Rasero, dopo la consegna della cittadinanza onoraria. Racconta il primo cittadino: «Gli abbiamo letto le motivazioni della cittadinanza onoraria, lui ha ringraziato, ha detto che si è sentito sempre astigiano, anche quando era in Argentina i suoi nonni gli hanno parlato di Asti. Ci ha detto che lui ha sempre portato Asti nel suo cuore. Quando parla dice “noi astigiani”». È stato un momento «emozionante di pochi minuti che sono sembrati un secolo; quando siamo usciti dall’incontro abbiamo guardato l’ora e ci è sembrato di essere stati con lui molto più a lungo, perchè il Santo Padre aveva voglia di parlare con noi. È stata un’esperienza umana prima di tutto. Ieri sera gli ho fatto trovare sul comodino da letto un libro con le cento poesie in dialetto di Nino Costa, a cui ho messo tre segnalibri, due per le poesie che preferisce “Rassa nostrana” e “La Consolà”, e uno per quella che piace a me “Madre Granda”, che in piemontese vuol dire nonna. Abbiamo parlato di cultura, abbiamo detto al Santo Padre che siamo città candidata a diventare “Capitale della Cultura” e gli abbiamo raccontato che abbiamo aperto il dossier proprio con una sua frase, quella in cui dice che una società che dimentica i bambini e gli anziani è una società che recide le sue radici e oscura il suo futuro. Il Papa l’ha riletta, ci ha ringraziati e ci ha detto che è proprio così».

Scandisce Francesco all’inizio della predica: «Da queste terre mio padre è partito per emigrare in Argentina; e in queste terre, rese preziose da buoni prodotti del suolo e soprattutto dalla genuina laboriosità della gente, sono venuto a ritrovare il sapore delle radici». Poi evidenzia: «Ma oggi è ancora una volta il Vangelo a riportarci alle radici della fede. Esse si trovano nell’arido terreno del Calvario, dove il seme di Gesù, morendo, ha fatto germogliare la speranza: piantato nel cuore della terra ci ha aperto la via al Cielo; con la sua morte ci ha dato la vita eterna; attraverso il legno della croce ci ha portato i frutti della salvezza. Guardiamo dunque a Lui, al Crocifisso».

Sulla croce appare «una sola frase: “Costui è il re dei Giudei”». Ecco il titolo: «Re. Però, osservando Gesù, la nostra idea di re viene ribaltata. Proviamo a immaginare visivamente un re: ci verrà in mente un uomo forte seduto su un trono con delle insegne preziose, uno scettro tra le mani e anelli luccicanti tra le dita, mentre proferisce ai sudditi parole solenni. Questa, grosso modo, è l’immagine che abbiamo in testa. Guardando Gesù, vediamo che è tutto il contrario. Egli non è seduto su un comodo trono, ma appeso ad un patibolo; il Dio che “rovescia i potenti dai troni” opera come servo messo in croce dai potenti; ornato solo di chiodi e di spine, spogliato di tutto ma ricco di amore, dal trono della croce non ammaestra più le folle con la parola, non alza più la mano per insegnare. Fa di più: non punta il dito contro nessuno, ma apre le braccia a tutti. Così si manifesta il nostro Re: a braccia aperte, a brasa duverte».

Solo entrando nel suo «abbraccio noi capiamo: capiamo che Dio si è spinto fino a lì, fino al paradosso della croce, proprio per abbracciare tutto di noi, anche quanto di più distante c’era da Lui: la nostra morte, il nostro dolore, le nostre povertà, le nostre fragilità. Si è fatto servo perché ciascuno di noi si senta figlio; si è lasciato insultare e deridere, perché in ogni umiliazione nessuno di noi sia più solo; si è lasciato spogliare, perché nessuno si senta spogliato della propria dignità; è salito sulla croce, perché in ogni crocifisso della storia vi sia la presenza di Dio. Ecco il nostro Re, Re dell’universo perché ha valicato i confini più remoti dell’umano, è entrato nei buchi neri dell’odio e dell’abbandono per illuminare ogni vita e abbracciare ogni realtà. Fratelli, sorelle, questo è il Re che festeggiamo!». E la domanda da «farci è: questo Re dell’universo è il Re della mia esistenza? Come posso celebrarlo Signore di ogni cosa se non diventa anche il Signore della mia vita? Fissiamo perciò ancora gli occhi in Gesù Crocifisso. Vedi, Lui non osserva la tua vita per un momento e basta, non ti dedica uno sguardo fugace come spesso facciamo noi con Lui, ma rimane lì, a brasa duverte, a dirti nel silenzio che niente di te gli è estraneo, che vuole abbracciarti, rialzarti e salvarti così come sei, con la tua storia, le tue miserie, i tuoi peccati. Ti dà la possibilità di regnare nella vita, se ti arrendi al suo amore mite che si propone ma non s’impone, al suo amore che sempre ti perdona, che sempre ti rimette in piedi, che sempre ti restituisce la tua dignità regale. Sì, la salvezza viene dal lasciarci amare da Lui, perché solo così veniamo liberati dalla schiavitù del nostro io, dalla paura di essere soli, dal pensare di non farcela». Il Pontefice invita a mettersi «spesso davanti al Crocifisso», e lasciarsi «amare, perché quelle brasa duverte dischiudono anche a noi il paradiso, come al “buon ladrone”. Sentiamo rivolta a noi quella frase, l’unica che Gesù dice oggi dalla croce: “Con me sarai nel paradiso”». Questo vuole dire Dio ogni volta che «ci lasciamo guardare da Lui. E allora capiamo di non avere un dio ignoto che sta lassù nei cieli, potente e distante, ma un Dio vicino, tenero e compassionevole, le cui braccia aperte consolano e accarezzano. Ecco il nostro Re! Fratelli, sorelle, dopo averlo guardato, che cosa possiamo fare?».

Il Vangelo oggi pone davanti a due strade: «Di fronte a Gesù c’è chi fa da spettatore e chi si coinvolge. Gli spettatori sono molti, la maggioranza. Infatti – dice il testo – “il popolo stava a vedere”. Non era gente cattiva, tanti erano credenti, ma alla vista del Crocifisso restano spettatori: non fanno un passo in avanti verso Gesù, ma lo guardano da lontano, curiosi e indifferenti, senza interessarsi davvero, senza chiedersi che cosa poter fare. Avranno commentato, avranno espresso giudizi e pareri, qualcuno si sarà lamentato, ma tutti sono rimasti a guardare con le mani in mano, a braccia conserte. Ma anche vicino alla croce ci sono degli spettatori: i capi del popolo, che vogliono assistere allo spettacolo cruento della fine ingloriosa di Cristo; i soldati, i quali sperano che l’esecuzione finisca presto; uno dei malfattori, che scarica su Gesù la sua rabbia. Deridono, insultano, si sfogano». E tutti «questi spettatori condividono un ritornello, che il testo riporta tre volte: “Se sei re, salva te stesso!” Salva te stesso, esattamente il contrario di quello che sta facendo Gesù, che non pensa a sé, ma a salvare loro. Però il salva te stesso contagia: dai capi ai soldati alla gente, l’onda del male raggiunge quasi tutti». Ed è un’onda «dilagante che si trasmette per indifferenza, perché quella gente parla di Gesù ma non si sintonizza neanche un momento con Gesù». È il contagio «letale dell’indifferenza. L’onda del male si propaga sempre così: comincia dal prendere le distanze, dal guardare senza far nulla, dal non curarsi, poi si pensa solo a ciò che interessa e ci si abitua a girarsi dall’altra parte». È un «rischio anche per la nostra fede, che appassisce se resta una teoria e non diventa pratica, se non c’è coinvolgimento, se non ci si spende in prima persona, se non ci si mette in gioco». Allora si diventa «cristiani all’acqua di rose, che dicono di credere in Dio e di volere la pace, ma non pregano e non si prendono cura del prossimo».

Però c’è anche «l’onda benefica del bene. Tra tanti spettatori, uno si coinvolge, il “buon ladrone”».

Gli altri «ridono del Signore, Lui gli parla e lo chiama per nome: “Gesù”; tanti gli gettano addosso la loro rabbia, lui confessa a Cristo i suoi sbagli; molti dicono “salva te stesso”, Lui prega: “Gesù, ricordati di me”. Così un malfattore diventa il primo santo: si fa vicino a Gesù per un istante e il Signore lo tiene con sé per sempre. Ora, il Vangelo parla del buon ladrone per noi, per invitarci a vincere il male smettendo di rimanere spettatori». Da dove cominciare? «Dalla confidenza, dal chiamare Dio per nome, proprio come ha fatto il buon ladrone, che alla fine della vita ritrova la fiducia coraggiosa dei bambini, che si fidano, chiedono, insistono. E nella confidenza ammette i suoi sbagli, piange ma non su sé stesso, bensì davanti al Signore». Si domanda Francesco: «E noi, abbiamo questa fiducia, portiamo a Gesù quello che abbiamo dentro o ci mascheriamo davanti a Dio, magari con un po’ di sacralità e di incenso?». Chi pratica la «confidenza impara l’intercessione, impara a portare a Dio quello che vede, le sofferenze del mondo, le persone che incontra; a dirgli, come il buon ladrone: “Ricordati, Signore!”. Non siamo al mondo solo per salvare noi stessi, ma per portare i fratelli e le sorelle nell’abbraccio del Re. Intercedere, ricordare al Signore, apre le porte del paradiso. Ma noi, quando preghiamo, intercediamo? Fratelli, sorelle, oggi il nostro Re dalla croce ci guarda a brasa aduerte». Sta a «noi scegliere se

essere spettatori o coinvolti. Vediamo le crisi di oggi, il calo della fede, la mancanza di partecipazione… Che cosa facciamo? Ci limitiamo a fare teorie, a criticare, o ci rimbocchiamo le maniche, prendiamo in mano la vita, passiamo dai “se” delle scuse ai “sì” della preghiera e del servizio? Tutti pensiamo di sapere che cosa non va nella società, nel mondo, anche nella Chiesa – tante cose non vanno nella Chiesa – ma poi facciamo qualcosa? Ci sporchiamo le mani come il nostro Dio inchiodato al legno o stiamo con le mani in tasca a guardare?». E poi, l’esortazione finale dell’omelia: «Oggi, mentre Gesù, spogliato sulla croce, toglie ogni velo su Dio e distrugge ogni falsa immagine della sua regalità, guardiamo a Lui, per trovare il coraggio di guardare a noi stessi, di percorrere le vie della confidenza e dell’intercessione, di farci servi per regnare con Lui».

Alla fine della Messa Prastaro pronuncia un discorso di ringraziamento: «Santo Padre al termine di questa celebrazione eucaristica desidero ringraziarla a nome di tutta la comunità astigiana per questo incontro che abbiamo tanto atteso. Quando venne eletto Papa lei disse di essere stato preso “quasi alla fine del mondo”. Oggi, ci piace pensare che Asti, la terra delle sue radici familiari, possa essere l’inizio del mondo. E lo è veramente, perché qui con Lei abbiamo rinnovato le radici della nostra fede. L’Eucarestia, La Parola di Dio, il ministero petrino, la fraternità che ci fa essere comunità, la presenza dei poveri – carne di Cristo -, tutto ci parla della presenza di Gesù fra noi. Di quel Gesù con il quale sempre nasce e rinasce la gioia. Qui, dall’inizio del mondo, oggi rinnoviamo il nostro impegno missionario a portare la gioia del Vangelo fino alla fine del mondo, in ogni periferia esistenziale che incontreremo. Grazie con tutto il cuore della sua presenza fra noi e del tempo che ci ha dedicato, grazie di averci confermato nella fede e dell’affetto così particolare che ci ha riservato. Grazie della sua visita, e torni quando vuole questa è casa sua! Nel frattempo, noi continueremo a pregare per Lei».

Al termine della Celebrazione eucaristica, il Papa guida la recita dell’Angelus con i fedeli e i pellegrini: «Desidero esprimere la mia riconoscenza alla Diocesi, alla Provincia e alla Città di Asti: grazie per l’accoglienza calorosa che mi avete riservato! Sono tanto grato alle Autorità civili e religiose anche per i preparativi che hanno reso possibile questa desiderata visita. A tutti vorrei dire che “a la fame propri piasi’ encuntreve”! (mi ha fatto piacere incontrarvi, ndr); e augurarvi: “ch’a staga bin”! (state bene! ndr)».

Un pensiero e un «abbraccio speciale vorrei rivolgere ai giovani – grazie di essere venuti numerosi oggi! –. Dallo scorso anno, proprio nella Solennità di Cristo Re si celebra nelle Chiese particolari la Giornata Mondiale della Gioventù. Il tema, lo stesso della prossima Gmg di Lisbona, a cui rinnovo l’invito a partecipare, è “Maria si alzò e andò in fretta”. La Madonna fece questo quand’era giovane, e ci dice che il segreto per rimanere giovani sta proprio in quei due verbi, alzarsi e andare. Alzarsi e andare: non restare fermi a pensare a sé stessi, sprecando la vita a inseguire le comodità o l’ultima moda, ma puntare verso l’Alto, mettersi in cammino, uscire dalle proprie paure per tendere la mano a chi ha bisogno. E oggi ci vogliono giovani veramente “trasgressivi”, non conformisti, che non siano schiavi di un cellulare, ma cambino il mondo come Maria, portando Gesù agli altri, prendendosi cura degli altri, costruendo comunità fraterne con gli altri, realizzando sogni di pace!». Il nostro tempo sta vivendo «una carestia di pace: pensiamo a tanti luoghi del mondo flagellati dalla guerra, in particolare alla martoriata Ucraina. Diamoci da fare e continuiamo a pregare per la pace! E invochiamo ora la Regina della pace, la Madonna, a cui è dedicata questa bella Cattedrale. A lei affido le vostre famiglie, i malati e ciascuno di voi, con le preoccupazioni e le buone intenzioni che portate nel cuore».

Domenico Di Agasso (pubblicato su La Stampa il 20/11/2022)

Fonte: Il Papa ad Asti: “Da queste terre mio padre è emigrato in Argentina, io sono venuto a ritrovare il sapore delle radici”. E parla in piemontese: “A la fame propri piasi’ encuntreve. Ch’a staga bin!” – La Stampa

Fabio Porta: la legge di bilancio, le pensioni e gli italiani all’estero

Non sarà una riforma complessiva (di cui invece è prevista la realizzazione nel corso del prossimo anno) ma la manovra sulle pensioni in arrivo nella prossima legge di bilancio avrà un impatto importante per gli italiani in Italia e, sebbene un po’ più circoscritto, anche per gli italiani all’estero.

Dalle anticipazioni e indiscrezioni che circolano ci sarà probabilmente una proroga temporanea per gli strumenti di flessibilità in uscita in modo da evitare a gennaio 2023 un brusco e spiacevole impatto del ritorno ai requisiti della cosiddetta legge “Fornero”, e cioè ai  67 anni per la vecchiaia (con almeno 20 anni di contributi) e ai 42 anni e dieci mesi (un anno in meno per le donne) per la pensione anticipata (ex anzianità).

Si sta parlando quindi di proroghe e modifiche. Dovrebbero essere prorogate sia “Opzione donna”, il sistema di pensionamento anticipato per le donne (58 anni di età per le lavoratrici dipendenti con 35 anni di contributi, anche totalizzati in regime convenzionale) che optino per il calcolo con il sistema contributivo e che può essere appunto usufruito anche dalle pensionande residenti all’estero in grado di accedere al meccanismo della totalizzazione, sia l’Ape sociale (altro anticipo pensionistico) che è però vincolata alla residenza in Italia.

Un’altra novità quasi certa è una “Quota 102” rivista che richiede oggi 64 anni di età e 38 di contributi maturati entro il 31 dicembre 2022 e che sarà quindi superata con l’ipotesi di associare a 41 anni di contribuzione (perfezionabili anche con il meccanismo della totalizzazione in regime internazionale) un vincolo anagrafico di 61 (o eventualmente 62) anni di età.

Di questa nuova “Quota 102” potrebbero usufruirne anche gli italiani residenti all’estero in possesso dei requisiti ma con il problema dell’obbligo della cessazione del lavoro, che sarà previsto quasi certamente dalla norma come lo era per la “vecchia Quota 102”, che potrebbe scoraggiare i residenti all’estero i quali per maturare il diritto al pro-rata italiano dovrebbero dimostrare di aver smesso di svolgere un’attività da lavoro dipendente all’estero. La nuova “Quota 102”, che verrebbe calcolata con il più conveniente sistema retributivo, abbasserebbe quindi la soglia di età (da 62 a 61) ma alzerebbe quella contributiva (da 38 a 41) che comunque, per gli italiani all’estero, potrebbe essere maturata con il cumulo dei contributi versati in Italia e nel Paese(i) di emigrazione. I sindacati non sembrano contrari a questa ipotesi ed hanno comunque chiesto che la riforma futura complessiva sia modellata sulla flessibilità in uscita.

Voglio infine sottolineare che questa legislatura mi troverà impegnato sui temi più urgenti della previdenza in convenzione che riguardano, tra l’altro, la necessità di aggiornare e rinnovare le convenzioni bilaterali di sicurezza sociale oramai obsolete ed inadeguate ai bisogni delle nuove realtà migratorie e alla riforma del sistema di calcolo delle pensioni in convenzione che attualmente penalizza i nostri connazionali percettori di importi pensionistici in pro-rata spesso irrisori e poco dignitosi.

Il 4 novembre 2022 e noi, cittadini di serie B

Il 4 novembre in Italia e in tutta l’Europa è dedicato ai soldati morti in guerra. Un eufemismo per non riferirsi al 4 novembre 1918, giorno in cui si è firmato l’armistizio di Villa Giusti tra l’Italia e l’Austria, patto che si fa coincidere con la fine della Prima Guerra Mondiale.

Per noi italiani è sicuramente una grande ricorrenza, l’Italia era arrivata al massimo della sua espansione territoriale con il Trentino, l’Alto Adige, l’Istria e Trieste anche se pochi se ne ricordano. L’Istria si è perduta nuovamente dopo la Seconda Guerra Mondiale. La giornata è profondamente sentita in tutto il mondo perché nella Prima guerra mondiale non avevano lottato solo i giovani italiani residenti in Italia ma anche gli emigrati, che erano tornati in patria per servirla. Si calcola che solo dall’Argentina siano partiti per la nazione d’origine circa 50mila emigranti.
Giovani che amavano il loro paese ed erano pronti a dare la vita per esso. In quel momento per il governo italiano i giovani residenti in Italia e quelli all’estero erano uguali, erano utili per combattere in guerra.

Ma ora è ancora così? Sono passati più di cento anni, una grossa ondata migratoria si è realizzata dopo la Seconda Guerra Mondiale, i migranti mandavano in Italia le rimesse, che sono servite anche allo sviluppo italiano. Nel fondo gli siamo nuovamente serviti e in Italia conservavano del migrante una buona idea. Nelle ultime decadi lo stivale ha conosciuto però il fenomeno dell’immigrazione, soprattutto quella dal Nord Africa, dai paesi islamici e ora dall’Ucraina ed è diventato da paese d’emigrazione un paese d’immigrazione ed ha sperimentato l’insofferenza verso alcuni dei nuovi arrivati.

Considerato che gli italiani all’estero sono molto aumentati anche per una legge di cittadinanza molto generosa, è cambiata la visione nei nostri riguardi. Gli italiani all’estero apparteniamo alla circoscrizione estera e votiamo nelle ripartizioni in cui viviamo, ci considerano allora abitanti del paese in cui viviamo e pensano che siamo profondamente diversi e abbiamo mantenuto la cittadinanza italiana per nostalgia. Ci identificano addirittura con i parlamentari che ci rappresentano e soprattutto con i presunti brogli elettorali, infine anche la pandemia ha contribuito notevolmente a rafforzare questa divisione.

Durante il lock down potevano tornare in Italia i solo cittadini residenti in Italia, mentre quelli come me, nati in Italia ma con l’indirizzo oltre oceano non lo potevano fare. A questa situazione si è aggiunto il problema vaccini, in Argentina ci vaccinavano con lo Sputnik, non riconosciuto in Europa, mentre in Italia usavano Pfeizer, Moderna e Astrazeneca. Il Lock down è stato uno spartiacque, che ha ancor di più accentuato queste differenze. Legalmente un cittadino italiano residente all’estero ha diritto ad aprire un conto corrente dall’estero per non residenti ma nei fatti, se non ce l’ha già da tempo, è difficile che l’ottenga.

In poche parole quando eravamo utili ci riconoscevano come cittadini di serie A, ora che non lo siamo più ci considerano cittadini di serie B, a meno che non manteniamo la residenza in Italia. Meglio poi dimenticarsi di avere dei servizi consolari adeguati al numero degli utenti perché l’Italia è in crisi economica e non può investire soldi nel servizio di rappresentazione dello Stato italiano all’estero. In effetti tutti i consolati hanno un numero d’ impiegati insufficiente per far fronte ai numerosi utenti e alle richieste di cittadinanza, alcuni uffici consolari sono in stato di coma e si punta sempre di più sulle applicazioni on line per fare le pratiche da remoto.

Allora viene spontanea la domanda: perché succede questo? Cosa ho di diverso dai miei connazionali che sono rimasti in Italia? La risposta è: la residenza. L’iscrizione all’AIRE ci rende dei cittadini di seconda.

Edda Cinarelli

Regione Calabria, Occhiuto costituisce la “Consulta dei calabresi nel mondo”: ecco i nomi dei componenti

E’ stato formato l’organo consultivo che punta a incrementare e valorizzare le relazioni con i corregionali sparsi fuori Calabria.

Il presidente Della Regione Roberto Occhiuto ha costituito la “Consulta dei calabresi nel mondo”. Con un decreto pubblicato il 21 ottobre 2022contenete tutti i nomi dei designati, il governatore ha dunque indicato i nomi dei consultori, cioè di coloro che saranno chiamati a valorizzare il Brand Calabria in tutti i continenti. La “Consulta dei calabresi nel mondo”, regolata dalla legge regionale 26 del 2018, è un «organo consultivo e propositivo per incrementare e valorizzare le relazioni con i calabresi nel mondo siano essi residenti all’estero o in altre regioni italiane». Ne fanno parte il presidente della giunta regionale, che la presiede, da un rappresentante segnalato dalle associazioni con sede in Calabria, iscritte nel registro istituito dalla legge 26, tre rappresentanti, di cui uno di età inferiore ai trenta anni, indicati dalle associazioni con sede  nel territorio italiano, esclusa la Calabria, iscritte nel registro, trenta cittadini calabresi residenti all’estero, indicati dalle associazioni iscritte al registro, secondo una ripartizione territoriale, individuata in base alla consistenza delle comunità calabresi ivi presenti, quindici giovani residenti all’estero di età inferiore ai trenta anni, designati dalle rispettive associazioni o federazioni iscritte al registro sempre secondo secondo la ripartizione territoriale, individuata in base alla consistenza delle comunità calabresi ivi presenti. La Consulta costituita da Occhiuto durerà per l’intera durata di questa legislatura regionale.

Come consultrici dell’Argentina sono state selezionate María Cristina Borruto, Olga La Rosa, Marcela Fabiana Murgia Lamanna, María Carmela Tursi e Mariel Ángeles Pitton Straface.

Fonte: Occhiuto costituisce la “consulta dei calabresi nel mondo”, ecco i nomi (calabria7.it)

La festa dei morti in Sicilia nel racconto di Andrea Camilleri

« Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c’era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari.

Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.

Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto. Dopo un sonno agitato ci svegliavamo all’alba per andare alla cerca. Perché i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciò il cesto non lo rimettevano dove l’avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo casa casa. Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo. I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza, cubi di legno che formavano paesaggi. Avevo 8 anni quando nonno Giuseppe, lungamente supplicato nelle mie preghiere, mi portò dall’aldilà il mitico Meccano e per la felicità mi scoppiò qualche linea di febbre.

I dolci erano quelli rituali, detti “dei morti”: marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, “rami di meli” fatti di farina e miele, “mustazzola” di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetù, carcagnette. Non mancava mai il “pupo di zucchero” che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza. A un certo momento della mattinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti. Per noi picciriddri era una festa, sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: «Che ti portarono quest’anno i morti?». Domanda che non facemmo a Tatuzzo Prestìa, che aveva la nostra età precisa, quel 2 novembre quando lo vedemmo ritto e composto davanti alla tomba di suo padre, scomparso l’anno prima, mentre reggeva il manubrio di uno sparluccicante triciclo.

Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma un’affettuosa consuetudine. Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivò macari l’albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spàsimo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilità di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e “stampato”, come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si può indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E così diventiamo più poveri: Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte è meditazione sulla libertà, perché chi ha appreso a morire ha disimparato a servire ».

(dai “Racconti quotidiani” di Andrea Camilleri)

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