Jorge Mario Bergoglio celebra Messa da pontefice nella terra d’origine della sua famiglia. Da qui «mio padre è emigrato in Argentina, io sono venuto a ritrovare il sapore delle radici», afferma. Durante l’omelia nella cattedrale di Asti parla anche in piemontese: «Gesù si manifesta a noi “a brasa duverte” (a braccia aperte, ndr)”». Mette in guardia: «Tutti pensiamo di sapere che cosa non va nella società, nel mondo, nella Chiesa – tante cose non vanno nella Chiesa – ma poi facciamo qualcosa? L’onda del male si trasmette per indifferenza». E saluta in piemontese: «A la fame propri piasi’ encuntreve. Ch’a staga bin!».
Ieri mattina Francesco è partito dall’eliporto del Vaticano per andare ad Asti, in visita privata, e incontrare i familiari in occasione del 90° compleanno di sua cugina Carla Rabezzana. Dopo il pranzo in famiglia a Portacomaro, nell’Astigiano, il Vescovo di Roma ha fatto visita a una casa di riposo e ospitalità per anziani poco distante. Quindi, si è recato a Tigliole, frazione San Carlo, per intrattenersi con un’altra cugina.
Questa mattina, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il Papa presiede la Messa per incontrare la comunità diocesana dalla quale erano partiti i genitori per emigrare in Argentina e i giovani provenienti da tutta la regione in occasione della XXXVII Giornata mondiale della Gioventù (Gmg) celebrata oggi nelle chiese particolari.
Dopo avere incontrato le istituzioni locali e avere ricevuto la cittadinanza onoraria dal sindaco di Asti Maurizio Rasero, il Pontefice è uscito intorno alle 10 dal vescovado, dove ha trascorso la notte. «Aspettate qui dalle 7? Con questo freddo? Ora vi scalderete», ha detto appena uscito. Prima di salire sulla papamobile, il Pontefice ha voluto stringere la mano dei presenti che lo attendevano proprio all’ingresso del Vescovado, dietro alle transenne. Con lui anche il vescovo di Asti, monsignor Marco Prastaro. Ad Asti oggi la temperatura minima è scesa a -2.2 gradi. Il corteo papale attraversa la città per 1,7 chilometri in mezzo a un bagno di folla. Si parla di 25mila persone giunte ad Asti per vedere il Papa. Lungo il percorso sono impegnate numerose associazioni di volontariato, oltre a uno spiegamento significativo di forze dell’ordine, trecento volontari di protezione civile e almeno cinquanta volontari di pubblica assistenza Anpas.
«Mi sono sempre sentito astigiano»: a dirlo è stato Francesco, così come riferito da Rasero, dopo la consegna della cittadinanza onoraria. Racconta il primo cittadino: «Gli abbiamo letto le motivazioni della cittadinanza onoraria, lui ha ringraziato, ha detto che si è sentito sempre astigiano, anche quando era in Argentina i suoi nonni gli hanno parlato di Asti. Ci ha detto che lui ha sempre portato Asti nel suo cuore. Quando parla dice “noi astigiani”». È stato un momento «emozionante di pochi minuti che sono sembrati un secolo; quando siamo usciti dall’incontro abbiamo guardato l’ora e ci è sembrato di essere stati con lui molto più a lungo, perchè il Santo Padre aveva voglia di parlare con noi. È stata un’esperienza umana prima di tutto. Ieri sera gli ho fatto trovare sul comodino da letto un libro con le cento poesie in dialetto di Nino Costa, a cui ho messo tre segnalibri, due per le poesie che preferisce “Rassa nostrana” e “La Consolà”, e uno per quella che piace a me “Madre Granda”, che in piemontese vuol dire nonna. Abbiamo parlato di cultura, abbiamo detto al Santo Padre che siamo città candidata a diventare “Capitale della Cultura” e gli abbiamo raccontato che abbiamo aperto il dossier proprio con una sua frase, quella in cui dice che una società che dimentica i bambini e gli anziani è una società che recide le sue radici e oscura il suo futuro. Il Papa l’ha riletta, ci ha ringraziati e ci ha detto che è proprio così».
Scandisce Francesco all’inizio della predica: «Da queste terre mio padre è partito per emigrare in Argentina; e in queste terre, rese preziose da buoni prodotti del suolo e soprattutto dalla genuina laboriosità della gente, sono venuto a ritrovare il sapore delle radici». Poi evidenzia: «Ma oggi è ancora una volta il Vangelo a riportarci alle radici della fede. Esse si trovano nell’arido terreno del Calvario, dove il seme di Gesù, morendo, ha fatto germogliare la speranza: piantato nel cuore della terra ci ha aperto la via al Cielo; con la sua morte ci ha dato la vita eterna; attraverso il legno della croce ci ha portato i frutti della salvezza. Guardiamo dunque a Lui, al Crocifisso».
Sulla croce appare «una sola frase: “Costui è il re dei Giudei”». Ecco il titolo: «Re. Però, osservando Gesù, la nostra idea di re viene ribaltata. Proviamo a immaginare visivamente un re: ci verrà in mente un uomo forte seduto su un trono con delle insegne preziose, uno scettro tra le mani e anelli luccicanti tra le dita, mentre proferisce ai sudditi parole solenni. Questa, grosso modo, è l’immagine che abbiamo in testa. Guardando Gesù, vediamo che è tutto il contrario. Egli non è seduto su un comodo trono, ma appeso ad un patibolo; il Dio che “rovescia i potenti dai troni” opera come servo messo in croce dai potenti; ornato solo di chiodi e di spine, spogliato di tutto ma ricco di amore, dal trono della croce non ammaestra più le folle con la parola, non alza più la mano per insegnare. Fa di più: non punta il dito contro nessuno, ma apre le braccia a tutti. Così si manifesta il nostro Re: a braccia aperte, a brasa duverte».
Solo entrando nel suo «abbraccio noi capiamo: capiamo che Dio si è spinto fino a lì, fino al paradosso della croce, proprio per abbracciare tutto di noi, anche quanto di più distante c’era da Lui: la nostra morte, il nostro dolore, le nostre povertà, le nostre fragilità. Si è fatto servo perché ciascuno di noi si senta figlio; si è lasciato insultare e deridere, perché in ogni umiliazione nessuno di noi sia più solo; si è lasciato spogliare, perché nessuno si senta spogliato della propria dignità; è salito sulla croce, perché in ogni crocifisso della storia vi sia la presenza di Dio. Ecco il nostro Re, Re dell’universo perché ha valicato i confini più remoti dell’umano, è entrato nei buchi neri dell’odio e dell’abbandono per illuminare ogni vita e abbracciare ogni realtà. Fratelli, sorelle, questo è il Re che festeggiamo!». E la domanda da «farci è: questo Re dell’universo è il Re della mia esistenza? Come posso celebrarlo Signore di ogni cosa se non diventa anche il Signore della mia vita? Fissiamo perciò ancora gli occhi in Gesù Crocifisso. Vedi, Lui non osserva la tua vita per un momento e basta, non ti dedica uno sguardo fugace come spesso facciamo noi con Lui, ma rimane lì, a brasa duverte, a dirti nel silenzio che niente di te gli è estraneo, che vuole abbracciarti, rialzarti e salvarti così come sei, con la tua storia, le tue miserie, i tuoi peccati. Ti dà la possibilità di regnare nella vita, se ti arrendi al suo amore mite che si propone ma non s’impone, al suo amore che sempre ti perdona, che sempre ti rimette in piedi, che sempre ti restituisce la tua dignità regale. Sì, la salvezza viene dal lasciarci amare da Lui, perché solo così veniamo liberati dalla schiavitù del nostro io, dalla paura di essere soli, dal pensare di non farcela». Il Pontefice invita a mettersi «spesso davanti al Crocifisso», e lasciarsi «amare, perché quelle brasa duverte dischiudono anche a noi il paradiso, come al “buon ladrone”. Sentiamo rivolta a noi quella frase, l’unica che Gesù dice oggi dalla croce: “Con me sarai nel paradiso”». Questo vuole dire Dio ogni volta che «ci lasciamo guardare da Lui. E allora capiamo di non avere un dio ignoto che sta lassù nei cieli, potente e distante, ma un Dio vicino, tenero e compassionevole, le cui braccia aperte consolano e accarezzano. Ecco il nostro Re! Fratelli, sorelle, dopo averlo guardato, che cosa possiamo fare?».
Il Vangelo oggi pone davanti a due strade: «Di fronte a Gesù c’è chi fa da spettatore e chi si coinvolge. Gli spettatori sono molti, la maggioranza. Infatti – dice il testo – “il popolo stava a vedere”. Non era gente cattiva, tanti erano credenti, ma alla vista del Crocifisso restano spettatori: non fanno un passo in avanti verso Gesù, ma lo guardano da lontano, curiosi e indifferenti, senza interessarsi davvero, senza chiedersi che cosa poter fare. Avranno commentato, avranno espresso giudizi e pareri, qualcuno si sarà lamentato, ma tutti sono rimasti a guardare con le mani in mano, a braccia conserte. Ma anche vicino alla croce ci sono degli spettatori: i capi del popolo, che vogliono assistere allo spettacolo cruento della fine ingloriosa di Cristo; i soldati, i quali sperano che l’esecuzione finisca presto; uno dei malfattori, che scarica su Gesù la sua rabbia. Deridono, insultano, si sfogano». E tutti «questi spettatori condividono un ritornello, che il testo riporta tre volte: “Se sei re, salva te stesso!” Salva te stesso, esattamente il contrario di quello che sta facendo Gesù, che non pensa a sé, ma a salvare loro. Però il salva te stesso contagia: dai capi ai soldati alla gente, l’onda del male raggiunge quasi tutti». Ed è un’onda «dilagante che si trasmette per indifferenza, perché quella gente parla di Gesù ma non si sintonizza neanche un momento con Gesù». È il contagio «letale dell’indifferenza. L’onda del male si propaga sempre così: comincia dal prendere le distanze, dal guardare senza far nulla, dal non curarsi, poi si pensa solo a ciò che interessa e ci si abitua a girarsi dall’altra parte». È un «rischio anche per la nostra fede, che appassisce se resta una teoria e non diventa pratica, se non c’è coinvolgimento, se non ci si spende in prima persona, se non ci si mette in gioco». Allora si diventa «cristiani all’acqua di rose, che dicono di credere in Dio e di volere la pace, ma non pregano e non si prendono cura del prossimo».
Però c’è anche «l’onda benefica del bene. Tra tanti spettatori, uno si coinvolge, il “buon ladrone”».
Gli altri «ridono del Signore, Lui gli parla e lo chiama per nome: “Gesù”; tanti gli gettano addosso la loro rabbia, lui confessa a Cristo i suoi sbagli; molti dicono “salva te stesso”, Lui prega: “Gesù, ricordati di me”. Così un malfattore diventa il primo santo: si fa vicino a Gesù per un istante e il Signore lo tiene con sé per sempre. Ora, il Vangelo parla del buon ladrone per noi, per invitarci a vincere il male smettendo di rimanere spettatori». Da dove cominciare? «Dalla confidenza, dal chiamare Dio per nome, proprio come ha fatto il buon ladrone, che alla fine della vita ritrova la fiducia coraggiosa dei bambini, che si fidano, chiedono, insistono. E nella confidenza ammette i suoi sbagli, piange ma non su sé stesso, bensì davanti al Signore». Si domanda Francesco: «E noi, abbiamo questa fiducia, portiamo a Gesù quello che abbiamo dentro o ci mascheriamo davanti a Dio, magari con un po’ di sacralità e di incenso?». Chi pratica la «confidenza impara l’intercessione, impara a portare a Dio quello che vede, le sofferenze del mondo, le persone che incontra; a dirgli, come il buon ladrone: “Ricordati, Signore!”. Non siamo al mondo solo per salvare noi stessi, ma per portare i fratelli e le sorelle nell’abbraccio del Re. Intercedere, ricordare al Signore, apre le porte del paradiso. Ma noi, quando preghiamo, intercediamo? Fratelli, sorelle, oggi il nostro Re dalla croce ci guarda a brasa aduerte». Sta a «noi scegliere se
essere spettatori o coinvolti. Vediamo le crisi di oggi, il calo della fede, la mancanza di partecipazione… Che cosa facciamo? Ci limitiamo a fare teorie, a criticare, o ci rimbocchiamo le maniche, prendiamo in mano la vita, passiamo dai “se” delle scuse ai “sì” della preghiera e del servizio? Tutti pensiamo di sapere che cosa non va nella società, nel mondo, anche nella Chiesa – tante cose non vanno nella Chiesa – ma poi facciamo qualcosa? Ci sporchiamo le mani come il nostro Dio inchiodato al legno o stiamo con le mani in tasca a guardare?». E poi, l’esortazione finale dell’omelia: «Oggi, mentre Gesù, spogliato sulla croce, toglie ogni velo su Dio e distrugge ogni falsa immagine della sua regalità, guardiamo a Lui, per trovare il coraggio di guardare a noi stessi, di percorrere le vie della confidenza e dell’intercessione, di farci servi per regnare con Lui».
Alla fine della Messa Prastaro pronuncia un discorso di ringraziamento: «Santo Padre al termine di questa celebrazione eucaristica desidero ringraziarla a nome di tutta la comunità astigiana per questo incontro che abbiamo tanto atteso. Quando venne eletto Papa lei disse di essere stato preso “quasi alla fine del mondo”. Oggi, ci piace pensare che Asti, la terra delle sue radici familiari, possa essere l’inizio del mondo. E lo è veramente, perché qui con Lei abbiamo rinnovato le radici della nostra fede. L’Eucarestia, La Parola di Dio, il ministero petrino, la fraternità che ci fa essere comunità, la presenza dei poveri – carne di Cristo -, tutto ci parla della presenza di Gesù fra noi. Di quel Gesù con il quale sempre nasce e rinasce la gioia. Qui, dall’inizio del mondo, oggi rinnoviamo il nostro impegno missionario a portare la gioia del Vangelo fino alla fine del mondo, in ogni periferia esistenziale che incontreremo. Grazie con tutto il cuore della sua presenza fra noi e del tempo che ci ha dedicato, grazie di averci confermato nella fede e dell’affetto così particolare che ci ha riservato. Grazie della sua visita, e torni quando vuole questa è casa sua! Nel frattempo, noi continueremo a pregare per Lei».
Al termine della Celebrazione eucaristica, il Papa guida la recita dell’Angelus con i fedeli e i pellegrini: «Desidero esprimere la mia riconoscenza alla Diocesi, alla Provincia e alla Città di Asti: grazie per l’accoglienza calorosa che mi avete riservato! Sono tanto grato alle Autorità civili e religiose anche per i preparativi che hanno reso possibile questa desiderata visita. A tutti vorrei dire che “a la fame propri piasi’ encuntreve”! (mi ha fatto piacere incontrarvi, ndr); e augurarvi: “ch’a staga bin”! (state bene! ndr)».
Un pensiero e un «abbraccio speciale vorrei rivolgere ai giovani – grazie di essere venuti numerosi oggi! –. Dallo scorso anno, proprio nella Solennità di Cristo Re si celebra nelle Chiese particolari la Giornata Mondiale della Gioventù. Il tema, lo stesso della prossima Gmg di Lisbona, a cui rinnovo l’invito a partecipare, è “Maria si alzò e andò in fretta”. La Madonna fece questo quand’era giovane, e ci dice che il segreto per rimanere giovani sta proprio in quei due verbi, alzarsi e andare. Alzarsi e andare: non restare fermi a pensare a sé stessi, sprecando la vita a inseguire le comodità o l’ultima moda, ma puntare verso l’Alto, mettersi in cammino, uscire dalle proprie paure per tendere la mano a chi ha bisogno. E oggi ci vogliono giovani veramente “trasgressivi”, non conformisti, che non siano schiavi di un cellulare, ma cambino il mondo come Maria, portando Gesù agli altri, prendendosi cura degli altri, costruendo comunità fraterne con gli altri, realizzando sogni di pace!». Il nostro tempo sta vivendo «una carestia di pace: pensiamo a tanti luoghi del mondo flagellati dalla guerra, in particolare alla martoriata Ucraina. Diamoci da fare e continuiamo a pregare per la pace! E invochiamo ora la Regina della pace, la Madonna, a cui è dedicata questa bella Cattedrale. A lei affido le vostre famiglie, i malati e ciascuno di voi, con le preoccupazioni e le buone intenzioni che portate nel cuore».
Domenico Di Agasso (pubblicato su La Stampa il 20/11/2022)
Fonte: Il Papa ad Asti: “Da queste terre mio padre è emigrato in Argentina, io sono venuto a ritrovare il sapore delle radici”. E parla in piemontese: “A la fame propri piasi’ encuntreve. Ch’a staga bin!” – La Stampa