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October 2022

Deputati PD estero: giudicheremo dai fatti l’impegno del neonato governo Meloni sui problemi degli italiani all’estero e sul rafforzamento del nostro sistema Paese nel Mondo

“Oggi, durante l’intervento alla Camera dei Deputati del nuovo Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, abbiamo ascoltato un timido riferimento alle ‘comunità italiane presenti in ogni parte del mondo’ anche se avremmo voluto sentire qualcosa di più su come renderle realmente protagoniste del nostro Sistema Paese.

In effetti, dopo gli annunci fatti durante la campagna elettorale dai candidati all’estero della lista di centrodestra, sull’istituzione del Ministero per gli italiani nel mondo constatiamo, come avevamo più volte sottolineato, che il promesso ministero era solo propaganda elettorale tesa a cercare di prendere qualche manciata di voti in più, ma senza nessun intento di aiutare concretamente gli Italiani all’estero.

Noi vigileremo affinché siano tutelati i diritti degli italiani all’estero e incalzeremo il Governo a lavorare concretamente sui problemi che ancora oggi i nostri connazionali all’estero incontrano in primo luogo nell’esercitare i loro diritti di cittadinanza,  sostenendo e rappresentando in Parlamento una collettività che vuole essere parte attiva e propositiva del nostro Sistema Paese nel mondo.”

Questo è quanto hanno dichiarato i deputati PD eletti all’estero Carè, Di Sanzo, Porta, Ricciardi.

“Marcia su Roma, l’atto finale di anni di violenze: quella rimase sempre l’identità del fascismo, fino alla guerra”. Intervista alla storica Albanese

Il centenario della Marcia su Roma, che arriva tra le dispute sulle vecchie e nuove definizioni del (neo-/post-) fascismo (storico). Occorre cercare di ritornare alla complessità storica e, nondimeno, guardare al passato mossi dalle domande del presente. Ilfattoquotidiano.it ne ha parlato con Giulia Albanese, storica e studiosa della Marcia su Roma.

Partendo dalla Marcia su Roma come fenomeno storico, che ruolo ebbe rispetto a un prima e un dopo?
La marcia su Roma è stata il punto di arrivo di una strategia di occupazione violenta del territorio che era già iniziata negli anni precedenti. La violenza era cominciata con l’incendio del 1919 alla redazione dell’Avanti, giornale socialista, per poi continuare in modo sempre più incalzante nel 1920, con gli assalti alle sedi sindacali legate alla sinistra e successivamente, in modo più esplicito con l’occupazione delle amministrazioni comunali in Emilia-Romagna, in Veneto e in altre regioni. Più organizzato questo progetto di occupazione dello squadrismo era diventato nell’agosto 1922 come reazione allo sciopero legalitario politiche organizzato dai socialisti contro le violenze squadriste. La marcia su Roma ha quindi rappresentato un punto di arrivo rispetto a una pratica di violenza già in atto e, al contempo, lo strumento della sua legittimazione istituzionale.

Come si è articolata questa prima legittimazione istituzionale?
In quel momento – e dopo aver conferito il ruolo di presidente del Consiglio a Benito Mussolini, nonostante fosse a capo di un partito ancora largamente minoritario – il monarca (Vittorio Emanuele II di Savoia, ndr) consentì alle squadre fasciste di entrare a Roma, legittimando delle milizie private che avevano praticato estese violenze al di fuori del monopolio statale. Le squadre sarebbero poi state ulteriormente legittimate e incluse come milizie volontarie nel quadro statale continuando, tra l’altro, ad agire come minaccia costante contro chiunque manifestasse opposizione al regime – esemplare fu il delitto Matteotti nel 1924. Durante il primo governo di Mussolini, ad esempio, presenziavano a ogni passaggio legislativo in parlamento armate in Parlamento minacciando l’opposizione politica. La legittimazione delle squadre per altro fu anche una radicale rottura costituzionale: se, sulla base dello Statuto Albertino, l’esercito doveva giurare fedeltà al Re, la Milizia giurava invece fedeltà al duce.

A partire dall’esperienza fascista e in rapporto a essa come è cambiato il rapporto con la violenza?
In primo luogo, va sottolineato il ruolo della Prima guerra mondiale, che segnò una profonda discontinuità rispetto alla percezione della violenza in Italia. Il rapporto tra fascismo e violenza fu molto forte e non influenzò solo l’azione politica e squadrista ma, altrettanto, la sua identità. La costruzione dell’uomo fascista si univa alla sua immagine di guerriero e si proiettava verso il desiderio di una sorta di rivoluzione antropologica. Anche per questo, la narrazione della Seconda Guerra Mondiale come “incidente” non ha tenuta storica.

Il coincidere tra l’anno del centenario e l’affermazione della destra sul piano elettorale può avere un peso in termini di narrazione?
Certamente è un caso se Fratelli d’Italia sono andati al governo in questo momento. Senz’altro gli attuali richiami simbolici e retorici al ventennio sono molto gravi e partecipano al fenomeno della deresponsabilizzazione e minimizzazione del fascismo storico; al contempo però va detto e compreso che il quadro storico e politico è radicalmente mutato. È importante non adoperare eccessive semplificazioni secondo la logica della continuità, sia per correttezza storica, sia per una comprensione più efficace della dinamica politica attuale.

Quali crede che siano ancora oggi le principali eredità storiche del fascismo?
Un tema a mio avviso importante è quello relativo al come si pensa la nazione e la cittadinanza. Ovviamente le discontinuità sono enormi rispetto al Ventennio fascista, anche legislativamente e a cominciare dalla Costituzione. Tuttavia, si può riscontrare nel paese, o quanto meno nei suoi rappresentanti politici, una certa difficoltà a fare passi avanti rispetto al riconoscere come pienamente italiani uomini e donne, ragazzi e ragazze, che sono nati e cresciuti qui, ma che hanno genitori non necessariamente di provenienza italiana. Questo è un tema che ha a che fare con il difficile passaggio del Paese da terra di emigrazione a terra di immigrazione. Riguarda però anche il concetto di italianità, fortemente forgiato sotto il regime. In più, il radicarsi di questa idea di italianità ha influenzato anche il nostro modo di affrontare tradizione e cambiamento: discorsi che richiamano la retorica fascista sull’essere italiani ricorrono chiaramente tutt’oggi ed entrano in piena contraddizione con quello che è l’odierno tessuto sociale.

Olimpia Capitano (pubblicato da Il Fatto Quotidiano il 28/10/2022)

Fonte: “Marcia su Roma, l’atto finale di anni di violenze: quella rimase sempre l’identità del fascismo, fino alla guerra”. Intervista alla storica Albanese – Il Fatto Quotidiano

Da Palazzo Chigi arriva la circolare su come chiamare Giorgia Meloni: “Si usi ‘signor presidente’”

Tra i primissimi atti di Palazzo Chigi? Prima degli aiuti per le bollette e prima di qualsiasi altro provvedimento, è arrivata la circolare per i ministeri su come chiamare Giorgia Meloni. Nel testo, firmato dal segretario generale della presidente del Consiglio Carlo Deodato, si legge: “Per opportuna informazione si comunica che l’appellativo da utilizzare per il presidente del Consiglio dei ministri è: ‘il Signor presidente del Consiglio dei ministri, on Giorgia Meloni“.

La richiesta era già stata comunicata informalmente dallo staff di Meloni nei giorni scorsi e subito assecondata da (quasi) tutta la stampa. Come osservato dall’Accademia della Crusca, si tratta di “una scelta ideologica”, non scorretta grammaticalmente, anche se si consiglia di declinare al femminile le cariche là dove è possibile. Prima di Meloni, anche l’ex presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati aveva imposto il maschile per le comunicazioni ufficiali.

Fonte: Prima degli aiuti per le bollette, da Palazzo Chigi arriva la circolare su come chiamare Giorgia Meloni: “Si usi ‘signor presidente'” – Il Fatto Quotidiano

Torna l’ora solare, ecco quando spostare gli orologi

Ora legale addio, anzi arrivederci. Torna l’ora solare. Significa che dovremo spostare gli orologi, almeno quelli che non si aggiornano da soli, 60 minuti indietro.

Ma quando? Il passaggio dall’ora legale all’ora solare avverrà il prossimo weekend, tra il 29 e il 30 ottobre. A essere rigorosi alle 3 di notte bisognerebbe riportare le lancette sulle 2.

Un’ora di sonno in più

Nell’immediato, nel momento del cambio, si guadagnerà quindi un’ora di sonno. Ma si perderà un’ora di luce. Non proprio una buona notizia nella stagione in cui l’allarme per i rincari dei consumi energetici è forte e reale.

Il sistema alternato che vede 5 mesi di ora solare e 7 mesi di ora legale scandisce le nostre vite dagli anni Sessanta. Ma ora più che mai è in discussione, soprattutto a livello europeo.

Abolire il doppio orario?

Già nel 2018 il Parlamento europeo aveva votato sull’abolizione del passaggio tra un modello orario e l’altro e la grande maggioranza, l’84% dei votanti, si era espresso a favore. Era stata approvata quindi una direttiva che rinviava ai singoli Stati la scelta di uno o l’altro orario lungo tutto l’anno. La pandemia ha creato una situazione di stallo. E nessuno, al momento, ha preso una decisione definitiva.

Fonte: Cambio ora solare – ora legale: quando è previsto nel 2022? – la Repubblica

Noi radical chic siamo persone straordinarie: il popolaccio ci fa orrore

Radical chic, sinistra al caviale, comunisti col Rolex, tutte etichette meravigliose e commoventi. Non ho simpatie per le etichette, ma queste sono fantastiche e le faccio mie.

I radical chic sono persone straordinarie che io amo profondamente, stanno bene nelle pittoresche osterie a bere il Lambrusco ma anche nel ristorante di lusso, sanno che lo champagne è metafisico, con tutte quelle bollicine dorate che vanno verso lo spazio celeste del godimento. Vivono una condizione di agiatezza ma sono sensibili verso chi è meno fortunato di loro, come non amarli? Potrebbero starsene tranquilli, avvolti nel lusso come mummie, invece lottano e si battono per i diritti umani. detestando ogni forma di totalitarismo, sia di sinistra che di destra. Sono esseri superiori, senza ombra di dubbio. Ne vorrei citare due che sono come delle divinità ai miei occhi: Leonard Bernstein Bernard-Henri Lévy.

Il termine radical chic nasce proprio grazie a un party organizzato dalla moglie di Leonard Bernstein in favore del movimento delle Pantere Nere, il ricevimento si tenne nell’attico di 13 stanze dei Bernstein a Park Avenue nel 1970, con ampia vista su Manhattan. dove signore ingioiellate con abiti lunghi da sera alzavano il pugno insieme al movimento marxista-leninista delle Pantere Nere, e lo scrittore giornalista Tom Wolfe stigmatizzò questa situazione paradossale col termine radical chic.

Bernstein, un genio musicale, direttore d’orchestra impetuoso e istintivo, compositore della colonna sonora più straordinaria della storia del cinema: West Side Story, uno in grado di fare perdere la pazienza anche al grande tenore spagnolo José Carreras (c’è un video molto gustoso su YouTube a riguardo).

Altra stella di noi radical chic è il filosofo e scrittore francese Bernard-Henri Lévy, figlio di un magnate del legname, ricchissimo di famiglia, vanesio e intelligentissimo, porta sempre delle camicie bianche impeccabili, sbottonate in modo tale da stimolare lo sguardo ad andare in alto, verso il colletto, e non verso il basso, regno della “meschineria genitale”. Per questo “maestro spirituale” provo una sorta di invidia buona: ricchissimo, colto, intelligente, coraggioso, affascinante, e come se non bastasse ha avuto una storia d’amore (con matrimonio di contorno) con un’attrice sensuale come poche: Arielle Dombasle. Se volete gustare le forme sinuose di questa attrice vi consiglio un film di Eric Rohmer, Pauline alla spiaggia, dove potrete inebriarvi gli occhi perché Arielle si vede spesso in costume, sulla spiaggia, appunto. La ricordo in una intervista di tanti anni fa alla televisione francese dove disse che il suo colore preferito era “il trasparente”, ma vi rendete conto? Ebbi un’erezione intellettuale.

Bernard-Henri Lévy è un accanito antiputiniano come il sottoscritto, perché anche lui come me detesta i dittatori, ma lui è un uomo d’azione, va nei teatri di guerra (alcune volte non portando l’elmetto di protezione per educazione, perché chi lo scortava nelle linee a un passo dal nemico non lo indossava) a documentare la ferocia putiniana, rischiando di macchiare di sangue le sue bellissime camicie bianche sbottonate, c’è nulla di più poetico? La poesia vive di questi contrasti.

Vedete come sono straordinari i radical chic? Anche noi in Italia ne abbiamo avuti, per fortuna. Un nome degno di Bernstein e Lévy è sicuramente Elio Fiorucci, stilista, imprenditore, uomo di cultura vicino a Keith Haring, Madonna, Andy Warhol, Vivienne Westwood, Malcolm McLaren (produttore dei Sex Pistols). Elio ha lasciato il segno in una città come Milano, uomo generoso, mecenate, sempre disponibile, aperto, sorridente, amante della libertà e dello champagne, nei suoi negozi andavi per divertirti, non per comprare, anzi, se non compravi venivi trattato con infinita gentilezza perché significava che non avevi i soldi, ma avresti potuto averli un giorno, e quindi tornare verso chi ti aveva rispettato nella tua povertà momentanea. L’assenza radicale di ogni volgarità: ecco Elio Fiorucci.

Tra le donne radical chic come non ricordare Marta Marzotto? La regina dei salotti, anche lei mecenate generosissima, amante del pittore Guttuso, che dipinse il meraviglioso fondoschiena di Marta nei suoi quadri innamorati. Di lei ricordo una frase geniale, cito a memoria “un uomo per farti innamorare deve essere chic, avere lo check e darti lo choc”. Quanta grazia, quanta femminilità, quanta curiosità intellettuale, donna straordinaria. La vidi una mattina seduta in un bar della Stazione Centrale a Milano, indossava uno dei suoi vestiti lunghi colorati, etnochic, uno splendore, una vera e propria apparizione in mezzo a tanta gente anonima e angosciata dalla fretta.

No, signori miei, a me il popolaccio fa orrore, come facevano orrore i rivoluzionari sanguinari al grande Chateaubriand che disse di se stesso: “Io sono monarchico per tradizione, legittimista per onore, aristocratico per costumi, repubblicano per buon senso”. Il popolaccio è sempre di destra, sanguinario, volgare, incolto, inconsapevole di caviale e champagne, sbrodolato di pasta al sugo e bestemmie, impossibilitato a gustare le delizie di un filetto Tournedos alla Rossini: medaglioni di filetto di manzo rosolati in padella e sfumati con brandy, serviti con foie gras e tartufo nero, adagiati sopra dischi di pancarrè, delizia delle delizie che dobbiamo al nostro Rossini, genio musicale e culinario.

Il nostro disgusto radical chic per il popolaccio è eterno, assoluto e soprattutto morale. Chi non beve champagne è un depravato, e non è nemmeno una questione economica ma morale, perché un mio caro amico spiantato che vive con 500 euro al mese beve sempre champagne (Salon, uno dei più costosi), in compenso ha pochissimi denti, ma preferisce la metafisica delle bollicine dorate alla volgarità di un impianto dentistico. Fateci caso, i radical chic sono odiati dai destrorsi, dal popolaccio ignorante (non il popolo, attenzione) e dai “sinistracci” che brindano alla morte di Gorbaciov (e sicuramente hanno brindato con un triste prosecchino).

Del resto, il dio assoluto di noi radical chic è Oscar Wilde, che scriveva con inarrivabile arguzia “niente è più necessario del superfluo”. Come potete capire, radical chic non è una parolaccia, ma una parola che descrive perfettamente una natura umana chic, altruista e nobile d’animo, l’essenza più alta raggiunta dall’essere umano, a mio immodesto avviso, e sono fiero di farne parte a tutti gli effetti e “affetti”.

Libiamo, libiamo ne’ lieti calici, che la bellezza infiora
E la fuggevol, fuggevol ora s’inebri a voluttà.

Fonte: Noi radical chic siamo persone straordinarie: il popolaccio ci fa orrore – Il Fatto Quotidiano

Povertà in Italia, Caritas: “Nel 2021 richieste di aiuto in aumento del 7,7%. Il 23% degli assistiti ha un lavoro”.

Nonostante la forte crescita del pil registrata nel 2021, la povertà in Italia non accenna a diminuire. Anzi, prima ancora che la guerra in Ucraina e i rincari energetici iniziassero a far sentire i propri effetti sull’economia italiana sono continuate ad aumentare le persone che entrano ed escono da una situazione di bisogno e chiedono aiuto. A rilevarlo, confermando gli ultimi dati Istat sul disagio sociale ed economico, è la Caritas italiana, che lunedì ha diffuso il suo XXI rapporto su povertà ed esclusione sociale L’anello debole. Il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, durante la presentazione ha fatto appello al futuro governo ricordando che “il reddito di cittadinanza è stato percepito da 4,7 milioni di persone, ma raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti. Quindi c’è un aggiustamento da fare ma mantenendo questo impegno in un momento in cui la povertà sarà ancora più dura, ancora più pesante e rischia di generare ancora più povertà in quelle fasce dove si oscilla nella sopravvivenza, che devono avere anche la possibilità di uscire da questa zona retrocessione”. Sulla stessa linea l’economista Tito Boeri, ex presidente Inps: “Purtroppo abbiamo sentito parlare in campagna elettorale di abolirlo, cosa che sarebbe gravissima guardando i numeri”, anche se si tratta di uno strumento che va necessariamente “riformato” in vari aspetti, innanzitutto quello degli “incentivi alla ricerca del lavoro”.

Il primo capitolo del report dà conto dei dati raccolti nel 2021 presso 2.797 centri di ascolto e servizi Caritas in 192 diocesi (85,4% del totale). Le persone incontrate e supportate sono state 227.566, in aumento del 7,7% rispetto al 2020. Il peso delle persone straniere è in crescita rispetto al 2020 e si attesta al 55% (a fronte del 52%), con punte che arrivano al 65,7% e al 61,2% nelle regioni del Nord-Ovest e del Nord-Est. Al contrario, nel Sud e nelle Isole prevalgono gli assistiti di cittadinanza italiana, a conferma dei dati Istat sulla crescita post pandemica della povertà soprattutto nel Meridione.

La quota dei nuovi poveri, cioè persone che nel 2021 si sono rivolte per la prima volta a Caritas, pur in leggero calo rispetto al 2020 rimane comunque consistente, sopra il 42%. Aumenta l’incidenza delle persone in carico da 1-2 anni, che passa dal 17,7% al 22,1%, dato che – sottolinea il rapporto – “può essere interpretato come una mancata ripresa da parte di chi ha sperimentato gli effetti socio-economici della crisi pandemica. Ma anche di un ritorno di coloro che già nel prepandemia avevano vissuto momenti di fragilità”: per esempio le famiglie a rischio povertà per le quali una riduzione delle ore di lavoro, un problema di salute o un problema familiare può “facilmente compromettere” lo standard di vita. Un debole segnale positivo proviene invece dal calo delle povertà croniche, che scendono dal 27,5% al 25,5%. Drammatico in compenso il dato sui casi di “povertà intergenerazionale“: il 59% di chi si rivolge a Caritas viene da una famiglia di assistiti. Nelle Isole e nel Centro la quota raggiunge rispettivamente il 65,9% e il 64,4%, mentre il nord-Est e il Sud risultano le macroaree con la più alta incidenza di poveri di prima generazione.

L’età media dei beneficiari si attesta a 45,8. Tra gli assistiti stranieri è di 40,3, tra gli italiani sale invece a 52,8 anni. Si rafforza nel 2021 la correlazione tra stato di deprivazione e bassi livelli di istruzione. Cresce infatti il peso di chi possiede al massimo la licenza media, che passa dal 57,1% al 69,7%. Tra loro si contano anche persone analfabete, senza alcun titolo di studio o con la sola licenza elementare. Cresce l’incidenza dei disoccupati o inoccupati (il 47,1%, contro il 41% dell’anno prima, è in cerca di una prima o una nuova occupazione), mentre si contrae la quota degli occupati – dunque persone per cui il lavoro non basta per uscire dalla povertà – che scende dal 25% al 23,6%. Si tratta di persone con occupazione a basso reddito, in particolare in settori come il commercio al dettaglio, i servizi alberghieri, di catering, i servizi alle persone, i lavori sulle piattaforme. O di lavoratori poveri su base familiare: unici percettori di reddito nel nucleo, madri sole.

L’analisi dei bisogni registrati mostra una prevalenza delle difficoltà materiali. Nell’anno del post-pandemia, l’80,1% delle persone sostenute manifesta uno stato di fragilità economica: spiccano le situazioni di “reddito insufficiente” (63,6%) o di “assenza totale di entrate”. Il secondo ambito di bisogno più diffuso ha poi a che fare con il “lavoro” (48,1%). “Anche se il problema occupazionale appare centrale, tra le persone assistite non tutte possono dirsi “occupabili”, ad esempio i pensionati, gli inabili al lavoro (il 5% tra gli assistiti italiani), le persone con figli senza adeguata rete di supporto familiare, le persone con disagio mentale, talune storie di “homeless””, sottolinea il rapporto.

Delle persone sostenute nel 2021 circa un quarto (il 24,7%) dichiara di essere supportato anche dai servizi pubblici. E i percettori del Reddito di cittadinanza passano dal 19,9% al 22,3%. Tra gli italiani la percentuale si attesta al 33,4% (nel 2020 era 30,1%), tra gli stranieri raggiunge appena l’11,3% (era il 9,1% nel 2020). Il dato “non stupisce vista la forte penalizzazione dei cittadini stranieri legata al requisito dei 10 anni di residenza”, chiosa Caritas.

Come vengono aiutati? Le azioni intraprese dagli oltre 2700 servizi in rete hanno riguardato per lo più la distribuzione di beni e prestazioni materiali (di cui ha beneficiato il 68,2% dell’utenza), seguita dall’accesso a mense o empori, fornitura di cibo, distribuzione di kit igienici, servizi docce. Al secondo posto c’è poi l’erogazione di sussidi economici (22,3%), per supportare in particolare il pagamento degli affitti e delle bollette e di cui hanno beneficiato soprattutto le persone di cittadinanza italiana (27,1%). Al terzo posto tutte le attività di orientamento.

Il 2022 non promette nulla di buono: i dati raccolti fino ad oggi “non preludono ad un ridimensionamento della povertà, tutt’altro: da gennaio ad oggi il numero delle persone seguite ha superato il totale di quelle aiutate durante l’intero anno 2019”. Un esempio: nel centro di ascolto di Potenza il primo semestre 2022 ha visto costantemente salite le richieste di sostegno economico per pagare le bollette. “Quello che si sta delineando, tra strascichi di pandemia, stagnazione economica, inflazione, prezzi di gas e luce fuori controllo, aumento dei tassi di interesse dei mutui condizionerà la vita di ciascuno di noi”, si legge. “Tuttavia anche in questa circostanza a pagare il prezzo più alto saranno verosimilmente le persone più povere e meno tutelate, come accaduto con la pandemia da Covid-19”.

Fonte: Povertà, Caritas: “Nel 2021 richieste di aiuto in aumento del 7,7%. Il 23% degli assistiti ha un lavoro”. Zuppi (Cei) e Boeri: “Il reddito di cittadinanza va migliorato ma mantenuto” – Il Fatto Quotidiano

Francesco: “La guerra è il fallimento della politica, non è mai giusta ed è una risposta inefficace. In nome di Dio fermatela”

“Chiedo in nome di Dio che si metta fine alla follia crudele della guerra“. Così Papa Francesco nel suo libro Vi chiedo in nome di Dio. Dieci preghiere per un futuro di speranza, in uscita il 18 ottobre per Piemme, di cui La Stampa in edicola domenica 16 ottobre ha anticipato un brano. “La sua persistenza tra noi”, scrive il Pontefice, è “il vero fallimento della politica“.

E si rivolge alle “autorità locali, nazionali e mondiali” dalle quali “dipendono le iniziative adeguate per frenare la guerra. E a loro, facendo questa mia richiesta in nome di Dio, domando anche che si dica basta alla produzione e al commercio internazionale di armi” e che sia estirpata dal pianeta l’arma atomica: “L’esistenza delle armi nucleari e atomiche mette a rischio la sopravvivenza della vita umana sulla terra”.

Il Papa parte dal conflitto in Ucraina, che ha messo l’Occidente davanti all’evidenza e “ci ha mostrato la malvagità dell’orrore bellico”. Quindi estende la sua invocazione a tutte le guerre in corso, chiede “alle autorità politiche di porre freno”, “di non manipolare le informazioni e di non ingannare i loro popoli per raggiungere obiettivi bellici”.

“Non esiste – invita a riflettere il Pontefice – occasione in cui una guerra si possa considerare giusta. Non c’è mai posto per la barbarie bellica”. Non solo. “La guerra è anche una risposta inefficace: non risolve mai i problemi che intende superare – rimarca il Papa -. Forse lo Yemen, la Libia o la Siria, per citare alcuni esempi contemporanei, stanno meglio rispetto a prima dei conflitti?”. Francesco

indica la via della soluzione: “Servono dialogo, negoziati, ascolto, abilità e creatività diplomatica, e una politica lungimirante capace di costruire un sistema di convivenza che non sia basato sul potere delle armi o sulla dissuasione”.

Fonte: Francesco: “La guerra è il fallimento della politica, non è mai giusta ed è una risposta inefficace. In nome di Dio fermatela” – Il Fatto Quotidiano

Voto degli italiani all’estero secondo Andrea Dorini: “Siamo lo zimbello degli italiani”

Andrea Dorini è coordinatore di Forza Italia per l’America Meridionale, vive a Spirito Santo, in Brasile. Nelle scorse elezioni è stato candidato a deputato e in quelle del 2018, candidato a senatore, per lo stesso partito. Da anni si dedica ai migranti, in Lombardia dove coordinava corsi per immigranti da immettere nel mondo del lavoro, in Brasile dove faceva lo stesso per discendenti di italiani. L’11 maggio è stato presente a Genova all’inaugurazione del Museo dell’Emigrazione Italiana (MEI) con una delegazione di Santa Catalina, dice che non c’era nessun altro dei candidati a parlamentari per la circoscrizione estero. In questo momento sta raccogliendo prove per sporgere una nuova denuncia per quanto è accaduto tra Montevideo, Buenos Aires, Rosario, La Plata nelle scorse elezioni con il fine di annullarne il risultato in Argentina, convinto che si sia trattato di un autentico pasticcio.

Cosa pensa dei tentativi di raggiri elettorali che sembra siano stati realizzati?

Ci sono sempre stati in tutte le tornate elettorali, a volte più evidenti a volte meno o messi a tacere. Nel 2018 una persona è riuscita a farsi eleggere senatore con questo sistema. Nelle ultime elezioni, nonostante l’esperienza del passato, alcuni furbetti sono riusciti a rendere la situazione molto confusa, quasi esilarante. Alcuni tentativi di raggiri son stati così evidenti da sembrare incredibili. Com’è possibile che si siano state pare trentacinquemila schede elettorali con un errore tanto grossolano “diputati” invece di “deputati” proprio nella parte anteriore, dove era molto facile riconoscerlo? E molto confuso, difficile da credere.

C’è questo tentativo di broglio su cui è stata avviata un’indagine, ma è il solo?

A Rosario e a La Plata pare ci siano state circa 25 mila cedole di persone inesistenti con il nome di Sangregorio come preferito. E poi c’è il caso di Aldo Lamorte, consigliere del CGIE e del Comites, per il Movimento Associativo Italiani all’Estero (MAIE), deputato supplente del Parlamento uruguaiano, che prima si è fatto fotografare mentre faceva campagna elettorale all’interno e davanti alla Cancelleria Consolare, dopo si è fatto addirittura filmare mentre spiegava come si vota usando un certificato elettorale, non suo, ma di un’altra persona che non ha ricevuto il plico. Sembra una provocazione. Il fatto è stato denunciato alla Procura della Repubblica ma siccome i percorsi legali sono sempre lunghi chiediamo alla Farnesina di fare pressione perché Lamorte sia obbligato a lasciare gli incarichi che ricopre.

Credevo che la comunità italiana dell’Uruguay fosse organizzata e seria.

Sembrava ma non è così. A me personalmente hanno offerto tremila buste elettorali, che ho rifiutato. L’accaduto mi porta però a sospettare di tutto il processo elettorale. Per questo sto cercando di raccogliere prove per sporgere denunce ai Carabinieri, al Parlamento e al Ministero degli Affari Esteri e annullare il risultato delle elezioni in Argentina.

Che peccato! La maggior parte di noi lavora molto e gratis per attaccamento alla patria e conservare lingua, tradizioni e dialetti, ma il nostro sforzo viene opacato dalle furbate di pochi che danno di noi una cattiva immagine tanto che in Italia ci considerano cittadini di seconda.

I cittadini residenti in Italia non ci conoscono per il nostro lavoro nel volontariato, non sanno che in intere città del Brasile si parla in veneto e in Argentina si studia il piemontese, ci identificano con i brogli e dobbiamo addirittura vergognarci per le azioni di pochi.

Edda Cinarelli

Carta d’identità elettronica (Cie), cosa cambia e perché può sostituire lo Spid

Novità per tutti i cittadini in italiani, oltre 31 milioni, in possesso della carta d’identità elettronica (Cie). In Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato il decreto del ministro dell’Interno, di concerto con il ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale e il ministro dell’Economia e delle Finanze, che aggiorna le modalità di impiego della carta di identità elettronica. La Cie viene quindi parificata come strumento di identità digitale allo Spid. In sintesi, si potrà usare la carta elettronica per accedere a più servizi rispetto a prima.

Novità per tutti i cittadini in italiani, oltre 31 milioni, in possesso della carta d’identità elettronica (Cie). In Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato il decreto del ministro dell’Interno, di concerto con il ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale e il ministro dell’Economia e delle Finanze, che aggiorna le modalità di impiego della carta di identità elettronica. La Cie viene quindi parificata come strumento di identità digitale allo Spid. In sintesi, si potrà usare la carta elettronica per accedere a più servizi rispetto a prima.
Non solo Spid

Con l’adozione del provvedimento, la carta di identità elettronica microchip contactless diventa uno strumento digitale più semplice con cui il cittadino «può ancor più agevolmente accedere ai servizi in rete erogati dalle pubbliche amministrazioni e dai privati». Un aggiornamento che semplifica la vita di chi non ha ancora attivato lo Spid. La maggior parte dei servizi, non solo quelli della Pa, diventeranno infatti accessibili anche tramite Cie. In futuro il sistema di identificazione “Entra con CIE” sarà sempre utilizzabile. La Cie, si ricorda, permette anche di firmare un documento digitale attraverso una firma elettronica avanzata (FEA) sia nel contesto della Pubblica Amministrazione che tra privati.

Cosa cambia

Il provvedimento prevede la possibilità di utilizzare l’identità digitale con tre livelli di autenticazione informatica: normale, significativo ed elevato, corrispondenti ai livelli 1, 2 e 3. I cittadini potranno accedere più facilmente ai servizi con CieId, in base al livello di sicurezza richiesto dai fornitori di servizi. «Questo – assicura il Viminale – consentirà una notevole semplificazione non appena sarà disponibile sul portale www.cartaidentita.it la funzionalità di configurazione delle credenziali. Attraverso il portale sarà, possibile aggiornare i dati personali, visualizzare le operazioni effettuate con la propria identità CieId e, in seguito, sarà anche possibile manifestare il consenso o il diniego alla donazione di organi e tessuti in caso di morte».

I minori e l’accesso in rete

L’accesso ai servizi in rete da parte dei minorenni sarà gestito dal CieId Server in modo da agevolare il controllo genitoriale.

Il codice Puk, la mail collegata e il numero del cellulare

Il cittadino in possesso della carta, che ha associato alla propria identità digitale un indirizzo di posta elettronica o un numero di telefonia mobile, potrà anche recuperare online il codice apposito (PUK), senza doversi recare allo sportello del comune.

Cie, come richiederla, costi e validità

Le nuove funzionalità della carta di identità elettronica, la cui realizzazione sarà affidata all’Istituto Poligrafico e Zecca, sono pensate per rendere l’identità digitale uno strumento completo e di facile utilizzo.

Il rilascio della Cie ha un costo fisso di 16,79 euro. Il costo può essere maggiore in alcuni Comuni che prevedono specifici costi di segreteria e diritti fissi. Molti comuni organizzano però degli Open day per prenotarsi gratuitamente. La validità della carta di identità elettronica varia a seconda dell’età del titolare al momento della richiesta del documento.

La carta scade al primo compleanno dopo tre anni dalla data di emissione per i minori che hanno meno di 3 anni di età e dopo cinque anni dalla data di emissione per i minori con un’età compresa tra i 3 e i 18 anni. Per i maggiorenni la carta, ai sensi del Regolamento (UE) 2019/1157, ha una validità massima di 10 anni, scade dopo 9 anni più i giorni intercorrenti fra la data della richiesta e la data di nascita. La Cie rilasciata a cittadini impossibilitati temporaneamente al rilascio delle impronte digitali ha una validità di 12 mesi dalla data di emissione del documento.

Cristoforo Colombo come Neil Armstrong – di Ezequiel Toti

Decenni fa, nel 1969, la missione Apollo 11 raggiunse la superficie lunare e l’astronauta Neil Armstrong fece quel piccolo passo che per l’umanità sarebbe enorme.

Non posso non fare un parallelo con il marinaio genovese che ha scoperto il nuovo mondo e che rappresenta non solo lo spirito italiano ma anche l’essenza stessa della persona umana.

Tra tante leggende nere ci hanno fatto credere che la popolazione maggioritaria del medioevo credeva nella teoria della terra piatta che poggiava su una tartaruga gigante. Oggi sappiamo che questo non era pensiero medievale ma la narrazione del romanziere Terry Pratchett alla fine del 1800…

È vero che quando due gruppi umani si incontrano inaspettatamente con storie così dissimili (in questo caso migliaia di anni) sorgono conflitti, in questo caso non c’è traccia della partecipazione dell’ammiraglio genovese, e noi (tutti noi che amiamo la ricerca della verità storica) non possiamo permetterci di etichettare con leggerezza Colombo un genocida, poiché non ci sono prove che abbia ucciso, tanto meno in un tentativo deliberato di sterminare un popolo e la sua cultura.

Colombo ha saputo vendere il suo progetto alle Loro Maestà Cattoliche da buon imprenditore e rappresentare non solo lo spirito italiano ma lo spirito stesso dell’essere umano che desidera essere un pioniere, conoscere, scoprire, viaggiare, espandersi e uscire dalla comfort zone.

Il motto dell’impero spagnolo “Plus ultra” che mi ha indicato il mio amico Mario Chiesa, del Comitato Colon en su lugar (Colombo al suo posto) fondato da Ruben Granara Insua (Rip), rappresenta quell’andare oltre e osare fino ai confini dell’universo.

Questo è l’impulso che dovremmo avere di nuovo come società, quello dello speranzoso Colombo che, confidando nella Divina Provvidenza, non si dedicò a giudicare comodamente la storia, rovesciando statue come quella del Generale Lee o elaborando teorie bizzarre ideologiche e violente mascherate come attivismo.

Quel monumento a Buenos Aires dedicato a Colombo e agli immigrati, metafora del citato ”Plus ultra”, non è stato compreso, anzi, è stato preso come simbolo di guerra e non di pace e liberazione come ci mostra il suo marmo là dove si osserva nella prua della nave la rottura delle catene dell’ignoranza e il dominio dei grandi imperi indiani sulle tribù suddite.

Per molti oggi la terra è piatta, Colombo un genocida e l’uomo non ha meso piede sulla luna.

In questo senso, sia la luna che il nuovo continente ci ricordano di cosa siamo capaci quando aspiriamo in alto e ci allontaniamo dalla mediocrità, nelle parole di John F. Kennedy nel 1962:
“Scegliamo di andare sulla Luna in questo decennio e fare le altre cose, non perché sono facili, ma perché sono difficili; perché quell’obiettivo servirà a organizzare e misurare il meglio delle nostre energie e capacità, perché quella sfida è una sfida che siamo disposti ad accettare, una che non siamo disposti a rimandare e una che intendiamo vincere, e anche le altre”.

Ezequiel Toti

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