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January 2022

Il mistero buffo della politica italiana – di Mira Carpineta

Spiegare la politica italiana fuori dai confini nazionali è impresa ardua, ma lo è, credetemi, anche per i “nativi” spettatori di appuntamenti istituzionali importanti come l’elezione di un Presidente della Repubblica. Dopo otto giorni di caos il risultato è: “meglio la strada vecchia che una nuova”, visto la nuova non c’è e che un precedente simile (Napolitano bis) aveva già salvato capra e cavoli una decina di anni fa.

Ma perché non c’è una strada nuova?

La crisi della politica italiana è annosa perché tutti i partiti hanno avuto, e hanno ancora in corso, trasformazioni incomplete aggravate da una legge elettorale che non riesce ad esprimere una maggioranza chiara da cui produrre governi stabili o capaci di concludere una legislatura. Del resto lo stesso Mattarella ebbe diversi dubbi, nel 2018, respingendo in prima istanza l’armata Brancaleone del triunvirato Conte-Di Maio- Salvini. Alla fine, dopo 3 mesi di tentativi vani, si arrese proclamando il governo Conte 1, ma la coabitazione forzata di forze instabili naufragò dopo un’estate.

Da un lato un Movimento, nato dalla “rabbia” populista e aggregata virtualmente da un algoritmo gestito da un’azienda di comunicazione, che accoglieva ogni genere di malumore, rivalsa, voglia di rottura, che però una volta arrivato a sedere sugli scranni del Parlamento scopre la differenza tra il dire e il fare. Dall’altro un gruppo di partiti tenuti insieme da un personaggio che in modo controverso ha comunque tenuto la scena per un ventennio. Un gruppo che si è posizionato a destra, con reduci e nuove proposte, nell’estenuante lotta per smarcarsi da scomode reminescenze e rifarsi una veste moderna per continuare ad esistere anche nel nuovo millennio. Nel mezzo, in piena ed eterna contraddizione, il mondo della sinistra, orfana (o dimentica) dei valori da cui nacque.

Cosa accomuna queste diverse compagini?

Ad osservare gli eventi da lontano, una buona dose di autolesionismo: Renzi che affida il suo futuro politico (2016) ad un referendum suicida (per la sua carriera), Salvini che si dissocia dal Conte 1 in piena corsa, tentando, come Renzi a suo tempo, una forzatura sul programma. Ma se a sinistra eravamo abituati agli auto-sabotaggi – ne sa qualcosa Romano Prodi “caduto” per far posto a D’Alema e prima proposto e poi non votato dai suoi stessi promotori come Presidente della Repubblica – a destra il fenomeno è recente ed ha avuto sempre come protagonista lo stesso Salvini.

Uscito Salvini dal governo Conte 1 si realizza un nuovo melting pot con l’ingresso delle sinistre, o pseudo tali definite, a puntellare il Conte 2. Rientra anche il “senatore semplice” Renzi, con il suo 3% di rappresentanza in cerca di identità ma soprattutto di ruolo. Accade così che il voto degli italiani di due anni prima si esprime, al governo, con un gruppo di minoranze mentre la maggioranza rimane fuori. Ma anche il Conte 2 naufraga sotto lo tsunami devastante della pandemia a causa di una classe politica drammaticamente inadeguata e impreparata ad affrontare la deflagrazione sanitaria, sociale ed economica.

Unico baluardo di buon senso lo stoico presidente Sergio Mattarella che, come Napolitano prima di lui, chiama al Governo una persona autorevole, competente, fuori dalle destabilizzate dinamiche politiche, blindando il Governo di Mario Draghi nell’impossibilità di cadere per via del semestre bianco. Come Renzi a suo tempo, anche Salvini approfitta dell’occasione per risalire sul carro che dovrà gestire i fondi europei della ricostruzione post pandemia.

Meglio dentro che fuori, visto che fuori era rimasto solo lui. Ma il semestre bianco, che precede l’elezione del Presidente della Repubblica, arriva a termine e siamo ai giorni attuali.

Cosa hanno visto gli italiani e il mondo in questi giorni? Hanno visto il drammatico vuoto di proposte autorevoli, di personalità adeguate a sostituire un Uomo delle Istituzioni come Mattarella e continuare a sostenere il Governo Draghi. Perché, diciamolo chiaramente, la ricerca reale era su un nuovo capo del Governo, non solo di un Presidente. La fibrillazione che ha fatto saltare il banco è stata infatti proprio sulle conseguenze.

La destra, ostaggio di Berlusconi personaggio ingombrante e divisivo, non riesce a proporre alternative sostenibili. La sinistra magnanimamente si pone in attesa di nomi o forse ha lo stesso problema di carenza di figure adeguate e infine il Movimento, ormai disgregato e in lotta con se stesso con Di Maio che smentisce Conte e viceversa, sono il contesto in cui l’unica soluzione possibile era la riconferma di una situazione, l’unica, che ha tenuto le redini di un Paese stremato dalla pandemia e dalla crisi economica.

La totale mancanza di una visione prospettica e futura della politica italiana nei prossimi mesi, in cui si dovrà ricostruire un Paese come dopo una guerra, un piano economico europeo da gestire con garanzie autorevoli di massima trasparenza, hanno costretto il Parlamento a prorogare il mandato delle due sole persone che in questi mesi hanno rappresentato per gli italiani rassicurazione e stabilità.

Oggi tutti i partiti però raccolgono i cocci delle loro fragilità, dei loro limiti e delle responsabilità delle loro scelte. Ci aspettano giorni di dialettica vivace, per usare un eufemismo, tra i vari colori parlamentari: Nel Movimento c’è il dilemma Conte, un uomo, un avvocato, entrato in politica quasi per caso, senza carisma né spessore, senza visioni, solo tecnicismi e oratoria, uscito dalla porta e rientrato dalla finestra con un incarico di Capo del Movimento, ma continuamente smentito dagli stessi esponenti in Parlamento.

Nel PD c’è una palese distonia tra i vertici e gli elettori, mentre a destra Salvini dovrà fare i conti con i suoi alleati, a cominciare da quella Giorgia Meloni che dall’opposizione, e unica leader donna di un partito, ha dimostrato come la coerenza possa portare le preferenze dal 4 al 20% nel giro di pochi mesi.

Noi continuiamo a cercare di capire come possa succedere tutto questo, spiegarlo è un’altra storia.

Mira Carpineta

Porta: “Con l’elezione di Mattarella il Parlamento ha interpretato la volontà popolare, anche degli italiani del mondo”

Nel mezzo della crisi più difficile che l’Italia ha affrontato dal dopoguerra e nel pieno delle delicate fasi di attuazione da parte del governo del Piano di Ricostruzione e Resilienza (PNRR) sotto la guida del Presidente del Consiglio Mario Draghi, la volontà del Parlamento italiano che oggi a grande maggioranza ha eletto per la seconda volta Sergio Mattarella come Presidente della Repubblica costituisce un segnale di grande responsabilità istituzionale e di sintonia con il sentimento popolare.
Tutti gli italiani, compresi i milioni di connazionali che vivono nel mondo, hanno potuto conoscere e apprezzare in questi anni le straordinarie capacità di garante della Costituzione e di interprete dell’unità nazionale del Presidente Mattarella, e per questo sanno bene che in un momento così delicato e complesso (anche politicamente) questa scelta sarebbe stata l’unica in grado di garantire coesione e stabilità al Paese. Grazie al Presidente Mattarella per l’altissimo senso dello Stato che ha manifestato nel rispondere positivamente all’appello del Parlamento e del popolo italiano.
Viva l’Italia! Viva il Presidente della Repubblica!

La Cassazione: “Lo sciacquone rumoroso viola i diritti umani: danno da risarcire”

Questa è una storia di diritti dell’uomo. E di sciacquoni.

L’accostamento potrà apparire azzardato, se non addirittura offensivo, ma così non la pensano i giudici della Cassazione i quali, ritrovandosi a decidere su una di quelle tipiche beghe di vicinato, non hanno esitato a riconoscere in quello scarico del wc murato in una parete divisoria assi sottile, una lesione al “diritto al rispetto della propria vita privata e familiare” che “è uno dei diritti protetti dalla Convenzione Europea dei diritti umani”.

Così la sesta sezione Civile, presieduta dal giudice Antonello Cosentino, ha motivato la decisione di respingere il ricorso presentato da quattro fratelli proprietari di un appartamento in una località del Golfo dei Poeti, in provincia di La Spezia.

La vicenda ha inizio quando la coppia che abita sullo stesso pianerottolo, nell’alloggio confinante, si rivolge al tribunale di La Spezia. La causa ha come oggetto un nuovo bagno realizzato dai quatto fratelli che provoca rumori “intollerabili derivanti dagli scarichi”. Marito e moglie chiedono che il problema venga eliminato e che sia loro riconosciuto un risarcimento, ma il giudice di primo grado boccia la loro causa.I due, però, non si arrendono e ricorrono in Appello a Genova con gli avvocati Giordano Sturlese e Paolo Marsigli. La Corte dispone una perizia che accerterà che “il secondo bagno era stato realizzato in una parete adiacente la stanza da letto dell’appartamento confinante ove era posta la testiera del letto” ed evidenzierà “non solo un notevole superamento della normale tollerabilità ma anche lo “spregiudicato ‘uso del bene comune’, posto che la cassetta di incasso del wc era stata installata nel muro divisorio, avente lo spessore di cm22 mentre avrebbe potuto trovare collocazione nel loro locale bagno”.

I giudici d’Appello constatarono come i rumori dello sciacquone disturbassero il riposo sia serale che del primo mattino “pregiudicando la normale qualità della vita in un luogo destinato al riposo”, perdi più “aggravato dal frequente uso notturno”.

Configurandosi, quindi, “una lesione del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiana, diritti costituzionalmente garantiti e tutelati dall’articolo 8 della CEDU, Convenzione europea diritti dell’uomo”

La causa si chiuse con l’ordine ai proprietari di rivedere la collocazione dello sciacquone e di risarcire con 500 euro all’anno i vicini di casa, a decorrere dal 2003, l’ “annus horribilis” di comparsa del nuovo wc.

Storia conclusa? Macché, con buona pace di chi chiede di ridurre il carico processuale dei nostri tribunali, ecco che la sopravvivenza dello sciacquone finisce dritta in Cassazione con il ricorso affidato all’avvocato Stefano De Ferrari.

La disfida conclusiva si è giocata sulla effettiva rumorosità dello scarico e sulle misurazioni avvenute di notte, quando la zona, nonostante l’immobile si trovi in un punto ad alta densità turistica, è immersa nel silenzio.
Ma per i giudici ha avuto maggior peso il fatto che la perizia abbia rilevato il “significativo superamento di tre decibel rispetto agli standard previsti dalla normativa specifica”.

E la Suprema Corte, riferendosi alla Convenzione europea dei diritti umani, e, fra questi, in particolare al rispetto della vita privata e familiare, ha ricordato che “la Corte di Strasburgo ha fatto più volte applicazione di tale principio anche a fondamento della tutela alla vivibilità dell’abitazione e alla qualità della vita all’interno di essa, riconoscendo alle parti assoggettate ad immissioni intollerabili un consistente risarcimento del danno morale…” anche in assenza di un danno biologico.

Il danno, e il conseguente risarcimento, però sono stati riconosciuti in correlazione al “pregiudizio al diritto al riposo, che ridonda sulla qualità della vita di un individuo e conseguentemente sul diritto alla salute costituzionalmente garantito….provato in termini di disagi sofferti in dipendenza della difficile vivibilità della casa”. Dopo 19 anni di battaglie lo sciacquone verrà silenziato.

Marco Peve (pubblicao da Il Secolo XIX il 16/01/2022)

Fonte: La Cassazione: “Lo sciacquone rumoroso viola i diritti umani: danno da risarcire” – la Repubblica

Chi erano i re magi?

GaspareMelchiorre e Baldassarre. Li conosciamo come i tre re Magi che partirono per un lungo viaggio dalle lontane terre d’Oriente, inseguendo la stella cometa, per portare i propri doni a Gesù bambino. Ma chi erano questi Magi?

Occorre fare un pochino di chiarezza su questi tre illustri signori, portatori dei doni dell’oro, dell’incenso e della mirra, in quella piccola stalla, nella città di Betlemme.

I tre re magi (o quattro)

Innanzitutto, siamo davvero sicuri che fossero in tre? Secondo quanto scrive Francesca Fabris su Famiglia Cristiana, il numero dei Magi sarebbe associato solo al numero dei doni che portano. Il numero tre, poi, non è casuale: nei Vangeli, il riferimento al tre è davvero frequente, come la Santa Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo).

Esiste una leggenda secondo cui, insieme a Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, si fosse messo in viaggio un quarto Magio.

Sulla sua figura aleggerebbero diverse versioni della storia, ma quella più conosciuta racconta che quando si misero in cammino, in sella ai propri dromedari, il quarto Magio aveva deciso di portare a Gesù bambino una collana di perle. Nel viaggio verso Israele, però, egli incontrò diverse persone bisognose, a cui decise di donare una perla, perché li aiutasse a combattere la povertà. La sua generosità, però, gli costò il suo intero regalo: giunti a metà strada, infatti, il quarto Magio si rese conto di aver esaurito le perle e – per evitare la vergogna di presentarsi al bimbo indicato dalla Cometa a mani vuote – l’uomo decise a malincuore di interrompere il suo viaggio.

Eppure, riferisce Francesca Fabris, il quarto Magio ebbe un sogno, in cui vide Gesù bambino ringraziarlo per avergli donato le perle. Il significato di questa leggenda è che ogni volta che si compie un gesto di generosità nei confronti di chi ha bisogno, lo si fa a Gesù bambino.

Da dove arrivano?

La figura dei re Magi è avvolta da tantissimi racconti e leggende perché, in realtà, di loro si sa pochissimo.

C’è chi dice fosse dei ricchi uomini di scienza, potenti quanto un re. La loro provenienza è indicata soltanto nel Vangelo di Matteo, in cui è scritto un generico “Oriente”. Un’indicazione troppo imprecisa, tanto che la tradizione ha voluto fare un po’ di chiarezza, appioppando loro dei nomi tipici delle terre d’Oriente.

Prendendo un esempio dall’Italia, se un bambino si chiamasse Ambrogio, presumibilmente, si penserà che sia nato a Milano, se si chiamasse Salvatore, allora si penserà che sia originario di Palermo. Con lo stesso ragionamento, la tradizione ha assegnato ai re Magi il nome di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Gaspare deriverebbe dal greco Galgalath, che significa “signore di Saba”, regno leggendario, a sud della penisola arabica, in Yemen, Melchiorre sarebbe la versione italianizzata del nome Melech, che nei tempi antichi della cultura semitica indicava il titolo di “Re”. Melech, quindi, poteva essere originario di una famiglia che parlava Arabo, Ebraico, o il Cananeo-Fenicio. Infine Baldassarre, da Balthazar, nome del mitico re di Babilonia.

Gli altri nomi dei re magi

Le interpretazioni dei nomi dei Magi sono tantissime. Alcuni studiosi, scavando ancora di più nell’etimologia dei loro nomi, invece di formulare delle ipotesi sulla loro provenienza, proporrebbero una traduzione diversa, per cui ogni nome indicherebbe una sorta di augurio per Gesù bambino.

Questa interpretazione deriverebbe dal significato che i nomi avrebbero nella antica lingua persiana. Infatti, Gaspare vorrebbe dire “venerabile maestro”, Melchiorre, invece, significherebbe “Il mio re è luce”, mentre Baldassarre deriverebbe da una sorta di invocazione: “Bel, proteggi il re”. Una preghiera in cui è presente il riferimento alla divinità degli assiri, Bel.

A quanto pare, questi illustri signori d’Oriente cambierebbero nome a seconda della tradizione di riferimento. In Siria, per esempio, i nomi con cui sono identificati i re Magi non sono Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, ma Larvandad, Hormisdas e Gushnasaph.

Chi erano?

I termine “Magio”, singolare di Magi, è un titolo che serve a indicare il ruolo del sapiente. Gli esperti ritengono che comunemente erano chiamati Magi gli scienziati, custodi del sapere astronomico.

La conferma arriva proprio dal Vangelo di Matteo, in cui sono descritti come sapienti capaci di leggere i segni del cielo. Non è un caso che il motivo del loro viaggio è quello di fare visita con dei doni al bambino indicato dalla Stella Cometa. La presenza di questi Magi nel racconto del Vangelo è molto breve, perciò tutto quello che è legato alla loro figura ha un valore simbolico, un insegnamento da dare ai lettori.

A differenza del re Erode e di tutti i potenti del tempo, i Magi riconoscono la grandezza del fatto che un astro del cielo si sia mosso solo per indicare la nascita di un bambino. Un privilegio degno soltanto di un re!

Alla luce di questo i Magi decidono di affrontare il lungo viaggio, forti del loro spirito di osservazione e della loro intelligenza, consapevoli di stare andando incontro a qualcosa che va oltre qualsiasi loro immaginazione. Per questo non danno nulla per scontato: cercano il bambino della Cometa nei posti ricchi e sfarzosi, come in quelli più umili e non considerati da nessuno.

Sono loro, stranieri in terra straniera, a riconoscere e accogliere Gesù bambino, come il re dei Giudei, al contrario di re Erode, che conosceva il proprio regno come le sue tasche.

Qual è la differenza tra Erode e i Magi? Mentre il primo si è affannato a cercare un “rivale” al suo dominio nella Giudea, i Magi si sono affidati a quello che vedevano e sentivano, senza pregiudizi e fiduciosi nelle indicazioni della Stella Cometa.

Andrea Danneo (pubblicato da FocusJunior.it il 03/01/2022)

Fonte: Chi erano i re Magi? – FocusJunior.it

La vera storia della Befana

In un villaggio, non molto distante da Betlemme, viveva una giovane donna che si chiamava Befana. Non era brutta, anzi, era molto bella e aveva parecchi pretendenti…Però aveva un pessimo caratteraccio. Era sempre pronta a criticare e a parlare male del prossimo. Cosicché non si era mai sposata, o perché non le andava bene l’uomo che di volta in volta le chiedeva di diventare sua moglie, o perché l’innamorato – dopo averla conosciuta meglio – si ritirava immediatamente.

Era, infatti, molto egoista e fin da piccola non aveva mai aiutato nessuno. Era, inoltre, come ossessionata dalla pulizia. Aveva sempre in mano la scopa, e la usava così rapidamente che sembrava ci volasse sopra. La sua solitudine, man mano che passavano gli anni, la rendeva sempre più acida e cattiva, tanto che in paese avevano cominciato a soprannominarla “la strega”. Lei si arrabbiava moltissimo e diceva un sacco di parolacce. Nessuno in paese ricordava di averla mai vista sorridere. Quando non puliva la casa con la sua scopa di paglia, si sedeva e faceva la calza. Ne faceva a centinaia. Non per qualcuno, naturalmente! Le faceva per se stessa, per calmare i nervi e passare un po’ di tempo visto che nessuno del villaggio veniva mai a trovarla, né lei sarebbe mai andata a trovare nessuno. Era troppo orgogliosa per ammettere di avere bisogno di un po’ di amore ed era troppo egoista per donare un po’ del suo amore a qualcuno. E poi non si fidava di nessuno. Così passarono gli anni e la nostra Befana, a forza di essere cattiva, divenne anche brutta e sempre più odiata da tutti. Più lei si sentiva odiata da tutti, più diventava cattiva e brutta.

Aveva da poco compiuto settant’anni, quando una carovana giunse nel paese dove abitava. C’erano tanti cammelli e tante persone, più persone di quante ce ne fossero nell’intero villaggio. Curiosa com’era vide subito che c’erano tre uomini vestiti sontuosamente e, origliando, seppe che erano dei re. Re Magi, li chiamavano. Venivano dal lontano oriente, e si erano accampati nel villaggio per far riposare i cammelli e passare la notte prima di riprendere il viaggio verso Betlemme. Era la sera prima del 6 gennaio. Borbottando e brontolando come al solito sulla stupidità della gente che viaggia in mezzo al deserto e disturba invece di starsene a casa sua, si era messa a fare la calza quando sentì bussare alla porta. Lo stomaco si strinse e un brivido le corse lungo la schiena. Chi poteva essere? Nessuno aveva mai bussato alla sua porta. Più per curiosità che per altro andò ad aprire. Si trovò davanti uno di quei re. Era molto bello e le fece un gran sorriso, mentre diceva: “Buonasera signora, posso entrare?”. Befana rimase come paralizzata, sorpresa da questa imprevedibile situazione e, non sapendo cosa fare, le scapparono alcune parole dalla bocca prima ancora che potesse ragionare: “Prego, si accomodi”. Il re le chiese gentilmente di poter dormire in casa sua per quella notte e Befana non ebbe né la forza né il coraggio di dirgli di no. Quell’uomo era così educato e gentile con lei che si dimenticò per un attimo del suo caratteraccio, e perfino si offrì di fargli qualcosa da mangiare. Il re le parlò del motivo per cui si erano messi in viaggio. Andavano a trovare il bambino che avrebbe salvato il mondo dall’egoismo e dalla morte. Gli portavano in dono oro, incenso e mirra. “Vuol venire anche lei con noi?”. “Io?!” rispose Befana.. “No, no, non posso”. In realtà poteva ma non voleva. Non si era mai allontanata da casa.

Tuttavia era contenta che il re glielo avesse chiesto. “Vuole che portiamo al Salvatore un dono anche da parte sua?”. Questa poi… Lei regalare qualcosa a qualcuno, per di più sconosciuto. Però le sembrò di fare troppo brutta figura a dire ancora di no. E durante la notte mise una delle sue calze, una sola, dove dormiva il re magio, con un biglietto: “per Gesù”. La mattina, all’alba, finse di essere ancora addormentata e aspettò che il re magio uscisse per riprendere il suo viaggio. Era già troppo in imbarazzo per sostenere un’altra, seppur breve, conversazione.

Passarono trent’anni. Befana ne aveva appena compiuti cento. Era sempre sola, ma non più cattiva. Quella visita inaspettata, la sera prima del sei gennaio, l’aveva profondamente cambiata. Anche la gente del villaggio nel frattempo aveva cominciato a bussare alla sua porta. Dapprima per sapere cosa le avesse detto il re, poi pian piano per aiutarla a fare da mangiare e a pulire casa, visto che lei aveva un tale mal di schiena che quasi non si muoveva più. E a ciascuno che veniva, Befana cominciò a regalare una calza. Erano belle le sue calze, erano fatte bene, erano calde. Befana aveva cominciato anche a sorridere quando ne regalava una, e perciò non era più così brutta, era diventata perfino simpatica.

Nel frattempo dalla Galilea giungevano notizie di un certo Gesù di Nazareth, nato a Betlemme trent’anni prima, che compiva ogni genere di miracoli. Dicevano che era lui il Messia, il Salvatore. Befana capì che si trattava di quel bambino che lei non ebbe il coraggio di andare a trovare.

Ogni notte, al ricordo di quella notte, il suo cuore piangeva di vergogna per il misero dono che aveva fatto portare a Gesù dal re magio: una calza vuota… una calza sola, neanche un paio! Piangeva di rimorso e di pentimento, ma questo pianto la rendeva sempre più amabile e buona.

Poi giunse la notizia che Gesù era stato ucciso e che era risorto dopo tre giorni. Befana aveva allora 103 anni. Pregava e piangeva tutte le notti, chiedendo perdono a Gesù. Desiderava più di ogni altra cosa rimediare in qualche modo al suo egoismo e alla sua cattiveria di un tempo. Desiderava tanto un’altra possibilità ma si rendeva conto che ormai era troppo tardi.

Una notte Gesù risorto le apparve in sogno e le disse: “Coraggio Befana! Io ti perdono. Ti darò vita e salute ancora per molti anni. Il regalo che tu non sei venuta a portarmi quando ero bambino ora lo porterai a tutti i bambini da parte mia. Volerai da ogni capo all’altro della terra sulla tua scopa di paglia e porterai una calza piena di caramelle e di regali ad ogni bambino che a Natale avrà fatto il presepio e che, il sei gennaio, avrà messo i re magi nel presepio. Ma mi raccomando! Che il bambino sia stato anche buono, non egoista… altrimenti gli metterai del carbone dentro la calza sperando che l’anno dopo si comporti da bambino generoso”.

E la Befana fece così e così ancora sta facendo per obbedire a Gesù.

Durante tutto l’anno, piena di indicibile gioia, fa le calze per i bambini… ed il sei gennaio gliele porta piene di caramelle e di doni.

È talmente felice che, anche il carbone, quando lo mette, è diventato dolce e buono da mangiare.

Nel 2022 non navighiamo a vista ma seguiamo la rotta Ubuntu per la salvezza dell’umanità intera – di Francesca Lippi

-Si salvi chi può!- verrebbe da urlare a squarciagola in questi giorni in cui la pandemia da Covid-19 con la sua variante Omicron mette a dura prova tutti noi. Nel nostro Paese, ieri 30 dicembre, si sono avuti circa 127mila contagi con il tasso di positività che è salito all’11%, tra i contagiati risultano anche molti bambini, poiché il virus in versione modificata attacca i non vaccinati e quindi soprattutto la fascia di età che va dai 6 agli 11 anni. Gli ospedali sono presi d’assalto e le terapie intensive tornano ad essere nuovamente intasate, perché ormai occupate al 13%, ben oltre la soglia del 10% disponibile. Si continua a morire in modo esponenziale, le vittime ieri sono state 156, 20 in più rispetto al giorno prima. La paura è tornata più forte a sconvolgere gli animi. La fine del lockdown con le graduali riaperture delle attività scolastiche, di ristoro, sportive e di spettacolo che avevano offerto a tutti noi un po’ di ossigeno, è proprio il caso di dirlo, forse potrebbero sparire e a breve potremmo piombare nuovamente nello smartworking, nelle DAD e peggio ancora nell’isolamento totale, chiusi nelle nostre abitazioni. Ovviamente ci auguriamo di no. E non abbiamo alcuna intenzione di fomentare una psicosi che, purtoppo, esiste già.

Vogliamo salutare questo 2021 con la speranza, perché ancora non è andato tutto bene, la rinascita non c’è stata, ma possiamo sperare in una ripresa, almeno parziale di una vita pseudo normale, anche se il nuovo decreto legge ripropone, già dal nuovo anno, mascherine all’aperto e nuovi diktat, come il super Green Pass per fronteggiare l’avanzata di Omicron ed una evidente emergenza. Del resto cosa potremmo fare, se non proteggerci per evitare di ammalarci ? Non disquisiamo in questo articolo di cosa dovrebbero attuare i governi per far stare meglio tutti, non abbiamo conoscenze mediche tali per poter affrontare tale argomentazioni e non siamo politici, ma chiunque, anche un ragazzino di 10 anni non avrebbe difficoltà a capire una cosa fondamentale: se non vacciniamo tutti gli abitanti della terra, visto che è in atto una pandemia, compresi quelli che abitano nei paesi più poveri, già investiti da guerre, carestie, epidemie di altra natura e fenomeni naturali disastrosi, non ne usciremo fuori. Da questa pandemia, ovviamente. Occorreranno anni, almeno una decina, perché il Covid-Sars 2 venga vissuto come una banale influenza e non lo diciamo noi, ma insigni scienziati.

Quindi? La risposta è semplice, quasi banale e arriva dall’Africa sub Sahariana, in specifico dalla repubblica Sudafricana di cui è il principio fondamentale e si chiama: “Ubuntu”. Il termine è un’espressione in lingua bantu che può essere tradotto in questo modo: “Io sono perché noi siamo, oppure Io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti o ancora Umanità verso gli altri.” Ubuntu, quindi, è senso della comunità, rispetto e benevolenza verso il prossimo. Non serve essere cattolici, ortodossi, musulmani, buddisti o atei per capire questo concetto perché, come già detto, è un pensiero così semplice che lo capiscono anche i più piccoli. Allora cosa aspettiamo? Ad aiutarci reciprocamente, a sostenerci e a prendere coscienza dei nostri doveri in una visione più ampia che non navighi a vista, ma segua una rotta ben precisa quella che porta alla salvezza dell’umanità intera? I vaccini costano, i paesi poveri non riescono a coprire la spesa, spetterebbe all’Occidente pagare per far vaccinare tutti, ma a due anni dall’inizio della pandemia questo non è ancora avvenuto. Chi è credente prega, chi non lo è forse impreca, ma il risultato non cambia. Forse la condivisione potrebbe rappresentare la soluzione più semplice, oltre le etichette, i credi, i partiti, i poteri più o meno occulti, gli interessi economico-finanziari delle lobby e delle multinazionali del farmaco, forse ognuno di noi dovrebbe far proprio il termine Ubuntu e provare a metterlo in pratica cominciando dalle piccole cose del quotidiano: l’aiuto al vicino in quarantena, ad esempio, e non l’esclusione dalla propria sfera emotiva. Ubuntu è empatia verso l’altro. Ove troviamo il denaro, la smania di potere, l’ambizione sfrenata a governare le menti e i cuori dei leaders e di conseguenza dei popoli, Ubuntu resterà un suono inarticolato e non potrà essere realizzato. Nel 2022, che speriamo sia comunque migliore dell’anno che sta per lasciarci, auguriamo a tutti di vivere: “Ubuntu”.

Verso il 2022, con motivata fiducia e grandi speranze

Si conclude un anno lungo e ricco di eventi, per l’Italia e i suoi figli sparsi in ogni angolo del mondo. Un anno ancora una volta segnato dalla pandemia e dalle sue pesantissime conseguenze, non soltanto in campo sanitario ma anche economico e – per noi italiani che vivono all’estero – sulla mobilità dentro e fuori i confini dei Paesi dove viviamo.

Per la rappresentanza politica delle collettività italiane nel mondo l’anno si è concluso con le importanti elezioni dei Comites, gli organismi di base delle nostre comunità.   Un voto segnato dalle difficoltà di un sistema (la cosiddetta “inversione dell’opzione”, ossia l’iscrizione alle liste elettorali) che non ha certo favorito la partecipazione, ma anche da una diffusa e crescente disaffezione della stragrande maggioranza degli italiani iscritti all’AIRE (l’anagrafe dei residenti all’estero) nei confronti di organismi che vengono ritenuti distanti dalla loro realtà e difficilmente in grado di incidere sulla soluzione dei loro problemi.   A tutti i candidati e ai consiglieri eletti vanno comunque i miei auguri di buon lavoro insieme all’auspicio che i nuovi comitati possano essere all’altezza della grande sfida che proprio la scarsa partecipazione pone loro.  Rinnovarsi o perire: è questo l’imperativo che i tre livelli di rappresentanza hanno davanti a sé e spetterà in gran parte ai neo-eletti affrontare questa difficile ma entusiasmante scommessa. Anche la presenza in Parlamento dei rappresentanti eletti all’estero si trova davanti ad un bivio cruciale.

La recente espulsione dal Senato, a seguito di un mio ricorso e di una mia denuncia, di un senatore eletto a seguito di brogli elettorali provati dalla Magistratura italiana costituisce allo stesso tempo una vittoria storica da festeggiare e un fatto gravissimo sui cui riflettere.  Il voto all’estero ha infatti rappresentato la più grande conquista democratica dell’Italia e degli italiani nel mondo ma anche la porta d’entrata di fenomeni affaristici e malavitosi nelle istituzioni italiane nel mondo.

Chiudere un occhio o minimizzare non serve a nulla di fronte a episodi di tale portata; un mancato o inefficace intervento per mettere in sicurezza il voto rischierebbe alla prossima tornata di fare saltare definitivamente questo nobile esercizio e proprio per questo è altrettanto importante e auspicabile che la giustizia italiana e argentina (il Paese dove si sono verificati i brogli che hanno portato alla decadenza del senatore USEI passato poi al MAIE) faccia rapidamente i suo corso individuando responsabilità e collusioni dei fenomeni fraudolenti.

Il 2022 sarà un anno importantissimo per l’Italia, e non solo: eleggeremo il nuovo Presidente della Repubblica, garante della Costituzione e simbolo dell’unità nazionale; grazie ai fondi del PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) e alla crescita economica in atto avremo un’opportunità forse irripetibile di sostegno a politiche espansive, anche per l’Italia nel mondo; e probabilmente sarà anche l’anno decisivo per vincere la battaglia sul Covid19, mettendoci alle spalle due anni lunghi e difficili a causa della pandemia.

E’ per tutti questi motivi che i miei auguri di quest’anno sono ancora più convinti e appassionati: a ciascuno di voi, alle vostre famiglie, all’Italia e ai Paesi dove viviamo voglio trasmettere l’auspicio di trascorrere un Natale all’insegna dei valori universali di solidarietà e giustizia e un passaggio di anno segnato dalla speranza di entrare in una nuova fase di crescita con al centro il diritto di tutti i popoli alla salute e alla prosperità.

Fabio Porta

Fonte: https://www.fabioporta.com/newsletter/070/news-70-it.htm

Mattarella, discorso 2021: il testo integrale del messaggio

Le parole del Presidente della Repubblica:

Care concittadine, cari concittadini,

Ho sempre vissuto questo tradizionale appuntamento di fine anno con molto coinvolgimento e anche con un po’ di emozione. Oggi questi sentimenti sono accresciuti dal fatto che, tra pochi giorni, come dispone la Costituzione, si concluderà il mio ruolo di Presidente. L’augurio che sento di rivolgervi si fa, quindi, più intenso perché, alla necessità di guardare insieme con fiducia e speranza al nuovo anno, si aggiunge il bisogno di esprimere il mio grazie a ciascuno di voi per aver mostrato, a più riprese, il volto autentico dell’Italia: quello laborioso, creativo, solidale. Sono stati sette anni impegnativi, complessi, densi di emozioni: mi tornano in mente i momenti più felici ma anche i giorni drammatici, quelli in cui sembravano prevalere le difficoltà e le sofferenze. Ho percepito accanto a me l’aspirazione diffusa degli italiani a essere una vera comunità, con un senso di solidarietà che precede, e affianca, le molteplici differenze di idee e di interessi. In questi giorni ho ripercorso nel pensiero quello che insieme abbiamo vissuto in questi ultimi due anni: il tempo della pandemia che ha sconvolto il mondo e le nostre vite.

Ci stringiamo ancora una volta attorno alle famiglie delle tante vittime: il loro lutto è stato, ed è, il lutto di tutta Italia. Dobbiamo ricordare, come patrimonio inestimabile di umanità, l’abnegazione dei medici, dei sanitari, dei volontari. Di chi si è impegnato per contrastare il virus. Di chi ha continuato a svolgere i suoi compiti nonostante il pericolo. I meriti di chi, fidandosi della scienza e delle istituzioni, ha adottato le precauzioni raccomandate e ha scelto di vaccinarsi: la quasi totalità degli italiani, che voglio, ancora una volta, ringraziare per la maturità e per il senso di responsabilità dimostrati. In queste ore in cui i contagi tornano a preoccupare e i livelli di guardia si alzano a causa delle varianti del virus – imprevedibili nelle mutevoli configurazioni – si avverte talvolta un senso di frustrazione. Non dobbiamo scoraggiarci. Si è fatto molto.

I vaccini sono stati, e sono, uno strumento prezioso, non perché garantiscano l’invulnerabilità ma perché rappresentano la difesa che consente di ridurre in misura decisiva danni e rischi, per sé e per gli altri. Ricordo la sensazione di impotenza e di disperazione che respiravamo nei primi mesi della pandemia di fronte alle scene drammatiche delle vittime del virus. Alle bare trasportate dai mezzi militari. Al lungo, necessario confinamento di tutti in casa. Alle scuole, agli uffici, ai negozi chiusi. Agli ospedali al collasso. Cosa avremmo dato, in quei giorni, per avere il vaccino? La ricerca e la scienza ci hanno consegnato, molto prima di quanto si potesse sperare, questa opportunità. Sprecarla è anche un’offesa a chi non l’ha avuta e a chi non riesce oggi ad averla. I vaccini hanno salvato tante migliaia di vite, hanno ridotto di molto – ripeto – la pericolosità della malattia. Basta pensare a come l’anno passato abbiamo trascorso le festività natalizie e come invece è stato possibile farlo in questi giorni, sia pure con prudenza e limitazioni. La pandemia ha inferto ferite profonde: sociali, economiche, morali. Ha provocato disagi per i giovani, solitudine per gli anziani, sofferenze per le persone con disabilità. La crisi su scala globale ha causato povertà, esclusioni e perdite di lavoro. Sovente chi già era svantaggiato è stato costretto a patire ulteriori duri contraccolpi.

Eppure ci siamo rialzati. Grazie al comportamento responsabile degli italiani – anche se tra perduranti difficoltà che richiedono di mantenere adeguati livelli di sicurezza – ci siamo avviati sulla strada della ripartenza; con politiche di sostegno a chi era stato colpito dalla frenata dell’economia e della società e grazie al quadro di fiducia suscitato dai nuovi strumenti europei. Una risposta solidale, all’altezza della gravità della situazione, che l’Europa è stata capace di dare e a cui l’Italia ha fornito un contributo decisivo. Abbiamo anche trovato dentro di noi le risorse per reagire, per ricostruire. Questo cammino è iniziato. Sarà ancora lungo e non privo di difficoltà. Ma le condizioni economiche del Paese hanno visto un recupero oltre le aspettative e le speranze di un anno addietro. Un recupero che è stato accompagnato da una ripresa della vita sociale. Nel corso di questi anni la nostra Italia ha vissuto e subito altre gravi sofferenze. La minaccia del terrorismo internazionale di matrice islamista, che ha dolorosamente mietuto molte vittime tra i nostri connazionali all’estero. I gravi disastri per responsabilità umane, i terremoti, le alluvioni. I caduti, militari e civili, per il dovere. I tanti morti sul lavoro. Le donne vittime di violenza. Anche nei momenti più bui, non mi sono mai sentito solo e ho cercato di trasmettere un sentimento di fiducia e di gratitudine a chi era in prima linea. Ai sindaci e alle loro comunità. Ai presidenti di Regione, a quanti hanno incessantemente lavorato nei territori, accanto alle persone. Il volto reale di una Repubblica unita e solidale. È il patriottismo concretamente espresso nella vita della Repubblica. La Costituzione affida al Capo dello Stato il compito di rappresentare l’unità nazionale. Questo compito – che ho cercato di assolvere con impegno – è stato facilitato dalla coscienza del legame, essenziale in democrazia, che esiste tra istituzioni e società; e che la nostra Costituzione disegna in modo così puntuale.

Questo legame va continuamente rinsaldato dall’azione responsabile, dalla lealtà di chi si trova a svolgere pro-tempore un incarico pubblico, a tutti i livelli. Ma non potrebbe resistere senza il sostegno proveniente dai cittadini. Spesso le cronache si incentrano sui punti di tensione e sulle fratture. Che esistono e non vanno nascoste. Ma soprattutto nei momenti di grave difficoltà nazionale emerge l’attitudine del nostro popolo a preservare la coesione del Paese, a sentirsi partecipe del medesimo destino. Unità istituzionale e unità morale sono le due espressioni di quel che ci tiene insieme. Di ciò su cui si fonda la Repubblica. Credo che ciascun Presidente della Repubblica, all’atto della sua elezione, avverta due esigenze di fondo: spogliarsi di ogni precedente appartenenza e farsi carico esclusivamente dell’interesse generale, del bene comune come bene di tutti e di ciascuno. E poi salvaguardare ruolo, poteri e prerogative dell’istituzione che riceve dal suo predecessore e che – esercitandoli pienamente fino all’ultimo giorno del suo mandato – deve trasmettere integri al suo successore. Non tocca a me dire se e quanto sia riuscito ad adempiere a questo dovere. Quel che desidero dirvi è che mi sono adoperato, in ogni circostanza, per svolgere il mio compito nel rispetto rigoroso del dettato costituzionale.

È la Costituzione il fondamento, saldo e vigoroso, della unità nazionale. Lo sono i suoi principi e i suoi valori che vanno vissuti dagli attori politici e sociali e da tutti i cittadini. E a questo riguardo, anche in questa occasione, sento di dover esprimere riconoscenza per la leale collaborazione con le altre istituzioni della Repubblica. Innanzitutto con il Parlamento, che esprime la sovranità popolare. Nello stesso modo rivolgo un pensiero riconoscente ai Presidenti del Consiglio e ai Governi che si sono succeduti in questi anni. La governabilità che le istituzioni hanno contribuito a realizzare ha permesso al Paese, soprattutto in alcuni passaggi particolarmente difficili e impegnativi, di evitare pericolosi salti nel buio. Ci troviamo dentro processi di cambiamento che si fanno sempre più accelerati. Occorre naturalmente il coraggio di guardare la realtà senza filtri di comodo. Alle antiche diseguaglianze la stagione della pandemia ne ha aggiunte di nuove. Le dinamiche spontanee dei mercati talvolta producono squilibri o addirittura ingiustizie che vanno corrette anche al fine di un maggiore e migliore sviluppo economico. Una ancora troppo diffusa precarietà sta scoraggiando i giovani nel costruire famiglia e futuro. La forte diminuzione delle nascite rappresenta oggi uno degli aspetti più preoccupanti della nostra società. Le transizioni ecologica e digitale sono necessità ineludibili, e possono diventare anche un’occasione per migliorare il nostro modello sociale.

L’Italia dispone delle risorse necessarie per affrontare le sfide dei tempi nuovi. Pensando al futuro della nostra società, mi torna alla mente lo sguardo di tanti giovani che ho incontrato in questi anni. Giovani che si impegnano nel volontariato, giovani che si distinguono negli studi, giovani che amano il proprio lavoro, giovani che – come è necessario – si impegnano nella vita delle istituzioni, giovani che vogliono apprendere e conoscere, giovani che emergono nello sport, giovani che hanno patito a causa di condizioni difficili e che risalgono la china imboccando una strada nuova. I giovani sono portatori della loro originalità, della loro libertà. Sono diversi da chi li ha preceduti. E chiedono che il testimone non venga negato alle loro mani. Alle nuove generazioni sento di dover dire: non fermatevi, non scoraggiatevi, prendetevi il vostro futuro perché soltanto così lo donerete alla società. Vorrei ricordare la commovente lettera del professor Pietro Carmina, vittima del recente, drammatico crollo di Ravanusa. Professore di filosofia e storia, andando in pensione due anni fa, aveva scritto ai suoi studenti: «Usate le parole che vi ho insegnato per difendervi e per difendere chi quelle parole non le ha. Non siate spettatori ma protagonisti della storia che vivete oggi. Infilatevi dentro, sporcatevi le mani, mordetela la vita, non adattatevi, impegnatevi, non rinunciate mai a perseguire le vostre mete, anche le più ambiziose, caricatevi sulle spalle chi non ce la fa. Voi non siete il futuro, siete il presente. Vi prego: non siate mai indifferenti, non abbiate paura di rischiare per non sbagliare…». Faccio mie – con rispetto – queste parole di esortazione così efficaci, che manifestano anche la dedizione dei nostri docenti al loro compito educativo.

Desidero rivolgere un augurio affettuoso e un ringraziamento sincero a Papa Francesco per la forza del suo magistero, e per l’amore che esprime all’Italia e all’Europa, sottolineando come questo Continente possa svolgere un’importante funzione di pace, di equilibrio, di difesa dei diritti umani nel mondo che cambia. Care concittadine e cari concittadini, siamo pronti ad accogliere il nuovo anno, ed è un momento di speranza. Guardiamo avanti, sapendo che il destino dell’Italia dipende anche da ciascuno di noi. Tante volte abbiamo parlato di una nuova stagione dei doveri. Tante volte, soprattutto negli ultimi tempi, abbiamo sottolineato che dalle difficoltà si esce soltanto se ognuno accetta di fare fino in fondo la parte propria. Se guardo al cammino che abbiamo fatto insieme in questi sette anni nutro fiducia. L’Italia crescerà. E lo farà quanto più avrà coscienza del comune destino del nostro popolo, e dei popoli europei.

Buon anno a tutti voi! E alla nostra Italia!

Gli inarrestabili Måneskin, il populismo di Fedez e le lacrime per la Carrà: successi, addii e polemiche del 2021

Si sono beccati un grazie da Mick Jagger, subito dopo aver aperto il concerto dei Rolling Stones a Las Vegas. E hanno pure scattato un bel selfie ricordo. Già questo basterebbe a renderli i Fab Four italiani del 2021. Ma i Måneskin hanno fatto di più: hanno vinto tutto quello che si poteva vincere. Prima Sanremo con Zitti e buoni. Poi l’Eurovision Song Contest (era da 31 anni che l’Italia non ce la faceva). Damiano, Victoria, Thomas ed Ethan hanno riportato il rock nostrano in cima alle classifiche e sono diventati il volto dell’Italia nel mondo. Giovani, sensuali, ribelli, sfrontati, e soprattutto pieni di talento. Così hanno conquistato l’America, tanto da essere invitati al Tonight Show di Jimmy Fallon.

Zitti e buoni e I Wanna Be Your Slave sono entrate subito nelle chart internazionali di Spotify e Billboard, ma Beggin’ è stata la ciliegina sulla torta: si è piazzata in vetta alla classifica mondiale di Spotify e ha raggiunto il tredicesimo posto della Billboard Hot 100. Risultati memorabili di un anno storico, che si è chiuso il 9 dicembre, come a disegnare un fantastico cerchio, quando sono stati ospiti della finale di X Factor.

Il ritorno di Friends

Per alcuni è stato il momento nostalgia dell’anno, per altri quello più atteso da anni. La reunion di Friends con Courteney Cox, Lisa Kudrow, Matt LeBlanc, Matthew Perry e David Schwimmer – oggi tutti cinquantenni – ha riportato alla memoria i bei tempi andati. Quando ci si sintonizzava davanti alla tv (la prima puntata fu lunedì 23 giugno 1997, alle otto della sera, su Raitre) e non esistevano ancora Netflix e compagnia bella. Gli attori, durante la rimpatriata, hanno ripercorso gli anni dello storico telefilm svelando aneddoti e retroscena. Lacrime e batticuore per tutti i fan.

I lutti

Quest’anno ci hanno lasciato personaggi che hanno segnato profondamente la storia della musica, della tv e del cinema: Franco Battiato, Raffaella Carrà e Lina Wertmüller. Il musicista visionario dalla poetica irraggiungibile è morto a 76 anni, di mattina, nella sua adorata casa di Praino di Milo. Erano già diversi anni che giravano brutte notizie sul suo precario stato di salute, ma le voci non si sono mai trasformate in un becero gossip.

Lina Wertmüller, una delle più grandi registe italiane, se n’è andata invece a 93 anni nella sua casa romana. Ironica, elegante – merito forse anche delle origini aristocratiche – ma con uno spirito da guerriera. Tutti la ricordano così. È stata la prima donna nella storia ad essere candidata all’Oscar, nel 1977, come migliore regista (ma anche per il miglior film straniero e migliore sceneggiatura) per «Pasqualino Settebellezze». Ha vinto un David, e nel 2020 ha ricevuto la statuetta d’oro alla carriera. Non era una femminista oltranzista, ma è sempre stata una combattente che ha saputo far sentire la sua voce.

Il 5 luglio, a 78 anni, ha abbandonato il palco della vita Raffaella Carrà. L’icona della tv, che ha segnato oltre 50 anni di storia italiana, aveva tenuto per sè la sua malattia. Anticonformista, rivoluzionaria, con il Tuca Tuca, Carramba e quel «Com’è bello far l’amore da Trieste in giù» è diventata un mito per tutti. Raffa era un icona per la tv, per il cinema e anche per la musica (nella sua carriera ha venduto sessanta milioni di dischi).

Fedez, Chiara Ferragni e le polemiche

Dove c’è Fedez c’è sempre polemica. E infatti il rapper è stato protagonista di uno scontro epico con la Lega e la Rai, relativo alla mancanza di certezze per i lavoratori dello spettacolo durante la pandemia e al ddl Zan. Il discorso al Concertone del Primo Maggio, le accuse di censure, le smentite: un polverone che è andato avanti per mesi. Ma è stato l’anno di Fedez anche per l’uscita del nuovo album Disumano, in cui ha affrontato temi politici e sociali, e soprattutto per la serie The Ferragnez su Amazon Prime. Un’intrusione ancora più dettagliata (con tanto di sedute di terapia di coppia) nella quotidianità di Federico, Chiara Ferragni e i figli. Dopotutto Fedez non poteva che essere il re del social: con i suoi 18,3 milioni di follower complessivi tra Facebook, Twitter e Instagram, si conferma il più bravo nell’arte di fare followers.

Alice Castegneri (pubblicato da La Stampa il 30/12/2021)

Fonte: Gli inarrestabili Måneskin, il populismo di Fedez e le lacrime per la Carrà: successi, addii e polemiche del 2021 – La Stampa

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