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October 2021

Il mate argentino punta all’Europa

Il mate è più di una bevanda. È tradizione, rito e (forse) anche cultura. Secondo la guida di Lonely Planet, gli argentini ne consumano una media annua pro capite di 5 chilogrammi. E ora, insieme con altri infusi di frutta ed erbe in bustina, hanno iniziato a esportarlo in tutta l’America latina. Con vista sull’Europa e sugli Stati Uniti.

Pharmamerican è un’azienda produttrice di infusi con sede a Mar della Plata, in provincia di Buenos Aires. Fondata nel 1994 da Manuel Mesa e Jorge Manfredi, oggi conta una settantina di dipendenti, la maggior parte con contratto a tempo indeterminato. Il marchio di tisane della società si chiama Saint Gottard. E il 20% della produzione di 600 mila bustine mensili è destinato al mercato estero tramite distributori o catene di distribuzione.

Mesa ha raccontato che il padre della sua compagna era un farmacista con una grande conoscenza delle erbe medicinali. Il fondatore di Pharmamerican ha preso spunto da lui per creare uno dei maggiori produttori di infusi dell’Argentina. «Cerchiamo di migliorare questo modello e siamo specializzati nello sviluppo e nella produzione di infusi di erbe e frutta in bustine sino a quando non saremo in grado di guidare il mercato nazionale degli infusi premium», ha spiegato Mesa.

La qualità dei prodotti confezionati in Argentina ha permesso a Pharmamerican di espandersi e di iniziare a esportare infusi, ma anche integratori alimentari e farmaci erboristici. Al di fuori del Sud America il gruppo ha avuto la prima esperienza nell’export con la Russia, dove, dal 2007 al 2010, ha venduto i suoi infusi di mate a un importatore che in seguito ha deciso di autoprodursi.

Il cuore del giro d’affari di Pharmamerican è l’America Latina. Dal Brasile al Perù, dal Cile alla Bolivia, gli infusi Saint Gottard sono sempre più richiesti. Il canale di esportazione varia in base alle caratteristiche dei mercati. In generale i distributori acquistano e immagazzinano in quelli più piccoli, mentre in quelli più grandi il marchio va direttamente nei supermercati.

Il segmento più in crescita è quello delle tisane terapeutiche. Poi ci sono gli infusi star, ai vertici delle vendite di Pharmamerican sia sul mercato nazionale sia su quello estero. I dirigenti della società argentina importano le materie prime dall’Egitto, dall’Asia e dall’Europa. I frutti sono naturali e vengono coltivati con un trattamento speciale. «Non vengono confusi col tè nero aromatizzato, ed è anche per questo che il prezzo è più alto», ha detto Mesa al quotidiano La Nación.

L’azienda ha la certificazione Fssc 22000, che viene applicata ai sistemi di sicurezza alimentare per garantire che i prodotti soddisfino tutti gli standard di qualità: dall’ingresso all’uscita dalla fabbrica, l’intero schema produttivo è tracciabile.

Nel medio termine, il gruppo argentino studia lo sbarco in Europa e negli Usa con l’incorporazione di prodotti biologici, un altro settore con la domanda in costante aumento. La richiesta maggiore, però, è sempre quella di erba mate. Un infuso che a livello internazionale, rispetto all’Argentina, ha un valore meno spirituale e più commerciale: viene consumato soprattutto come bevanda energetica.

Filippo Merli (pubblicato su ItaliaOggi.it il 14/10/2021)

Fonte: Mate argentino punta all’Europa – ItaliaOggi.it

Elezioni Comites 2021: Daniel Amoroso, candidato per la Lega si impegna per dare visibilità al Comites e mantenere lo jus sanguinis

È un imprenditore, ha con alcuni soci un’agenzia di pubblicità che dirige. Insieme hanno deciso di chiamarla Italia Comunicación proprio in segno di riconoscimento e gratitudine verso i nonni italiani.

Afferma che il Comites non funziona, nessuno sa della sua esistenza: “bisogna renderlo operativo e farlo diventare un effettivo strumento di supporto per il Consolato Generale”.

Chi è stato il primo della Sua famiglia a immigrare in Argentina?

I miei nonni paterni. Mio nonno Prospero è venuto dal paese di Catenanuova, in provincia di Enna, in Sicilia.

Sa se per suo nonno è stato facile adattarsi alla sua nuova realtà?

È sempre difficile arrivare in un nuovo paese e adattarsi anche se dobbiamo riconoscere che l’Argentina è stato ed è un paese ospitale, che ha steso la mano a tutti gli italiani, li ha ricevuti e li ha protetti come fossero suoi cittadini. Senza dubbio i miei nonni avranno provato molta tristezza per aver dovuto lasciare la loro terra natale e parte della famiglia, ma sicuramente il fatto d’aver incontrato qui tanti compaesani gli avrà reso meno doloroso lo sradicamento e più facile l’adattamento.

Cosa Le ha trasmesso nonno Prospero della sua cultura d’origine?

I principi tipici della cultura italiana e la coscienza che la famiglia è prima di tutto, che è il valore più importante di ogni persona. Per questo mi piace festeggiare la domenica riunendo tutti i mei familiari attorno a una grande tavola, come facevano i nostri genitori e nonni, adulti e bambini insieme per condividere un momento unico. Sono molto orgoglioso della mia italianità anche quando posso godere di un piatto tipico italiano o ascoltare i grandi cantanti.
Da buon “tano” sono un fanatico di tutto ciò che è di origine italiana, dal caffè, la roba, la marca dell’automobile o della motocicletta. Come non pensare alla Fiat 500, alla Vespa o alla Ferrari?

È andato a conoscere il paese d’origine di suo nonno?

Sì, e ci ho vissuto momenti indimenticabili. È un’esperienza emozionante tornare alle origini. Ci sono andato quando mia moglie, Claudia, ha ottenuto il riconoscimento della cittadinanza italiana per naturalizzazione. Ci sono andato con tutta la famiglia con i passaporti italiani. Per noi è stato molto commovente tornare nel luogo da dove era partito il nonno e da cui è iniziata la nostra storia in Argentina.

A che età ha iniziato a lavorare?

Da molto giovane, avevo smesso di studiare e mio padre mi ha detto che se non studiavo dovevo lavorare. Ho iniziato a farlo in una officina meccanica nel rione di Floresta.

Lei è candidato per il Comites, perché si sta presentando in queste elezioni?

Ho sempre coltivato i miei vincoli con l’Italia e la collettività italiana, ma non mi ero mai interessato di politica. Dopo aver avuto una brutta esperienza nel Consolato, cercando di portare a termini alcune pratiche, ho pensato che tanti altre persone devono aver avuto i miei stessi problemi, ho deciso allora che bisognava fare qualcosa. Mi sono reso conto che la maggior parte dei connazionali non sa nulla dell’esistenza dei Comites e tanto meno ne conosce la funzione.

Cosa si potrebbe fare per migliorare il funzionamento dei Comites?

Molto. Per incominciare dargli visibilità, fare in modo che tutta la collettività sia al corrente della loro esistenza, secondo trasformarli in luoghi aperti al pubblico, dove tutti coloro che vogliono partecipare possano farlo.
È fondamentale che compiano la funzione per la quale sono stati istituiti, che è quella di consigliare e assistere i connazionali, difendere i diritti di tutti gli italiani nei confronti del Consolato e delle alte istituzioni.

Allora, rendere visibilità ai Comites perché il pubblico vi si rechi alla ricerca di una guida e poi?

Uno dei nostri principi è quello di difendere e sostenere lo Jus Sanguinis, affinché i nostri figli e nipoti, cresciuti nell’amore all’Italia, possano continuare a chiedere il riconoscimento della cittadinanza italiana.

Il signor Daniel Amoroso ha inviato una raccomandata con ricevuta di ritorno al presidente del Comites di Buenos Aires, Dario Signorini per chiedergli la consegna dei bilanci preventivi e consultivi degli esercizi 2019 – 2020.

Ha mandato la stessa raccomandata per conoscenza al signor Console generale Marco Petacco per metterlo al corrente della sua richiesta.

Edda Cinarelli

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I nostri parlamentari e le chiacchiere

Ci sono le elezioni per i Comites e non si fa altro che parlare di liste e di candidati, a dire il vero ce ne sono molti e per tutti i gusti, alcuni sono veramente interessanti. Il capolista di Italia Futura per il Comites di Buenos Aires è il professor Claudio Morandi, un pezzo da novanta, amatissimo e rispettato dai suoi ex alunni ed ex compagni di lavoro, statisticamente dovrebbe vincere queste elezioni. Ci sono poi Daniel Amoroso, della Lega, Signorini e Santarsieri del MAIE e tante professioniste molto preparate.

Direi che c’è l’imbarazzo della scelta: le persone che si presentano per le elezioni del Comites meritano quasi tutte di vincere. Su questo non ci piove, forse qualcuno sarà meglio di un altro ma sicuramente dalle elezioni dovrebbe sorgere un gruppo formato da gente in gamba.

Ma che bilancio fare di questi anni in cui dal 2006 ad oggi abbiamo avuto deputati e senatori nel Parlamento italiano? Un bilancio negativo, i nostri rappresentanti ci fanno fare una brutta figura, sia per il sospetto dei presunti brogli, sia perché non sanno esprimersi in un italiano fluido, sia perché alcuni di loro si confondono quando chiedono la parola. Salta evidente che non conoscono la politica italiana né la storia dell’immigrazione italiana né le necessità di noi emigrati italiani in Argentina. Ma allora perché hanno fatto tanto per essere eletti? Chi rappresentano?

La risposta della prima domanda è che hanno cercato di sistemarsi, quella della seconda è che rappresentano sé stessi. Avrebbero potuto darsi da fare per raggiungere qualche obiettivo per noi italiani residenti in Argentina e invece niente.  Avrebbero potuto lavorare per ottenere l’omologazione di qualche titolo universitario, invece avevamo l’omologazione della professione dello psicologo e ora non c’è più nemmeno quella.

Infine l’unico dei nostri politici che si dà da fare, informando, facendo proposte è Fabio Porta, coordinatore del Pd per il Sud America. Sì signori, proprio quello che hanno lasciato fuori con i presunti brogli. E’ stato il parlamentare eletto all’estero più attivo, l’unico a salire sul podio dei primi tre deputati (su seicentotrenta) della severissima classifica di “Openpolis”, l’istituto che effettua quotidianamente il monitoraggio dell’attività parlamentare in Italia.

Praticamente abbiamo perduto l’unico parlamentare che ci rappresentava veramente, aveva dei progetti e li seguiva.

Edda Cinarelli

28 ottobre 1948: nasce Ushuaia italiana

Il 28 ottobre, Ernesto Tagliani era emozionato, lo sguardo perso come se vedesse un panorama distante, ricordava infatti quando un 28 ottobre di 73 anni fa è arrivato a Ushuaia con l’impresa di Carlo Borsari, di cui il padre era socio, per costruire il porto e il nucleo della città.

In Italia, era da poco finita la guerra e Ernesto negli orecchi, nel corpo e nello spirito ricordava ancora il sibilo delle bombe, la loro posteriore esplosione e i morti. Quanto dolore e quanto spavento. Chi ha vissuto quei momenti non se li può dimenticare. Nella Terra del Fuoco i dipendenti dell’impresa hanno trovato un freddo intenso e hanno dovuto combattere una nuova guerra, questa volta contro il clima, ma dopo l’orrore vissuto ce l’hanno messa tutta per sopravvivere e per lavorare con lena anche per non sentire il gelo.

Quando sono arrivati a Ushuaia c’erano poco più di duemila abitanti e con la chiusura del carcere nel 1947 la città rischiava di spopolarsi. L’impresa aveva firmato un contratto con il Ministero della Marina argentino per costruire diverse opere pubbliche da portare a termine in due anni. Così sono arrivati due contingenti di impiegati dell’impresa Borsari con macchine e materiali. Un gruppo è venuto con la nave Genova, il 28 ottobre 1948, l’altro con il Giovanna Costa, il 6 settembre 1949.

Gli operai italiani, con ingegneri e personale specializzato hanno costruito alberghi, il mattatoio e il frigorifero, le scuole, la centrale elettrica, le case per i militari, la diga per portare l’acqua, le fogne, i rioni Solier e Almirante Brown, quest’ultimo lo chiamavano, tra loro, la Nuova Bologna. Hanno edificato il nucleo dell’attuale città, che è divenuta piano piano uno dei centri turistici più importanti dell’Argentina. Un luogo da sogno, con monti innevati, laghi trasparenti e tanti boschi.

Quasi tutti gli italiani arrivati con la spedizione Borsari -Tagliani sono andati via da Ushuaia, ne sono rimasti pochi, ma anche quelli che se ne sono andati continuano a ricordare a sognare quei monti e il canale di Beagle, un paesaggio unico e mozzafiato. Con molto diritto possiamo dire che Ushuaia è quasi italiana, lo è la sua anima.

Edda Cinarelli

PD Brasile: simplificare le procedure e favorire l’accesso ai ruoli degli impiegati a contratto locale presso la rete estera

Torniamo ad occuparci del concorso, per esami, a 375 posti di collaboratore di amministrazione, contabile e consolare, seconda area F2, indetto dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Pubblicato sulla G.U. 4° Serie speciale del 26 febbraio 2021, dopo tre rinvii da parte dell’Amministrazione, il 25 ottobre u.s. sono state rese note le modalità di espletamento delle prove preselettive, in base ad un preciso calendario e con delle stringenti regole da rispettare.

Le presenti disposizioni, se da un lato sono volte a fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 in corso, dall’altro creano delle difficoltà oggettive nell’espletamento della prova da remoto, creando ostacoli difficili da superare tali da mettere in dubbio il principio di costituzionalità secondo il quale: “tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”.

Nello specifico, il candidato deve essere in possesso di una strumentazione tecnologica di ultima generazione, dotata di specifiche tecniche particolarmente elevate (smartphone di ultima generazione, computer dotati di processori e sistemi operativi veloci, connessioni stabili etc.) nonché postazioni fisiche che abbiano caratteristiche difficili da rispettare dalla maggioranza dei partecipanti (stanze con determinate metrature, una sola porta). Questi problemi sono ancora più gravi per i contrattisti a legge locale che partecipano dai luoghi più disparati del Mondo (Brasile, Argentina, Canada) che gli costringono ad effettuare la prova in orari impensabili, in base ai fusi orari locali.

Ci chiediamo per quale motivo il MAECI – al fine di accelerare lo svolgimento delle prove e ripartire con le assunzioni – non abbia adottato l’ultimo D.L. 44/2021, in base alla fase preselettiva svolta per soli titoli?

Stando ai fatti ed ai problemi su esposti, si prevedono una valanga di ricorsi, tali da rallentare ulteriormente il già lento e farraginoso reclutamento nella pubblica amministrazione. Ciò andrà ad intaccare ulteriormente la funzionalità della rete estera del MAECI che, negli ultimi anni, ha raggiunto livelli particolarmente alti principalmente a causa della carenza di personale ma soprattutto alla luce dell’incremento della domanda di servizi.

La soluzione immediata sarebbe quella di riproporre la ratio della legge 21 dicembre 2001, n. 442, che disponeva il passaggio nei ruoli organici del MAECI del personale a contratto della rete estera, mediante concorso riservato e rispettando determinati requisiti, come la cittadinanza italiana e l’esperienza minima di 5 anni. Questo personale non necessita di formazione in quanto già in possesso di tutti i requisiti richiesti dal MAECI (disponibilità alla mobilità, conoscenze tecniche, pratiche, amministrative e linguistiche). Si auspicano, dunque, azioni concrete che vadano in questo senso.

San Paolo, 29 ottobre 2021

Segreteria della Federazione del Partito Democratico del Brasile

Elezioni Comites 2021: la candidata per Italia Futura Maria Soledad Balsas punta sulla promozione culturale

E’ ricercatrice del Conicet, si presenta in Italia Futura, una lista con una maggioranza di candidate donne nate in diversi comuni della Circoscrizione di Buenos Aires. Dice con un sorriso “Sono molto contenta di candidarmi insieme a Italia Futura per rappresentare la collettività italiana. Mi sento piena di energia e mi fa piacere incontrarmi con altre persone per scambiare opinioni e cercare di preparare programmi. Per ora il bilancio di questa esperienza è molto positivo:”

Perché ha accettato di candidarsi per le elezioni del Comites?

Sono una ricercatrice di ruolo del Conicet e dal 2004 analizzo le immigrazioni italiane in Argentina da diversi punti di vista. Ho accettato questa candidatura per portare avanti un progetto culturale derivato dai temi di ricerca di cui mi occupo e anche per poter raggiungere un pubblico più ampio rispetto a quello dell’Accademia. D’altronde, mi rende entusiasta mettere al servizio degli italiani a Buenos Aires la mia esperienza e le mie conoscenze.

Il suo progetto nasce da un’indagine seria sull’immigrazione?

Diciamo che nel corso della mia carriera universitaria ho maturato delle idee che vorrei vedere attuate. Penso di avere molti elementi, molte risorse cognitive per contribuire a rappresentare gli italiani che risiedono in Argentina. Per esempio mi sono occupata dei nuovi flussi d’italiani che sono arrivati dal 2008 ad oggi. Un tema che non è molto conosciuto né in Argentina né in Italia. Ho indagato anche sul rapporto tra gli italiani in Argentina e la Rai, la relazione che c’è tra la ricezione del canale internazionale della Rai, il diritto di voto e la partecipazione politica.

Si spieghi meglio

Si suppone che in democrazia il cittadino debba essere informato per poter esercitare il suo diritto di voto e scegliere le autorità da cui desidera essere rappresentato. Osservando come decidono di votare le persone che risiedono in Argentina la premessa dell’informazione è fortemente questionata. Dalle indagini emergono diverse criticità. Si tende a considerare gli italiani in Argentina come un tutto omogeneo quando formano gruppi diversi. Realtà differenti che non possono essere appiattite in una stessa immagine.

Ci sono i nuovi migrati, i discendenti di italiani, persone che vanno e vengono. Per informarsi contano molto anche le conoscenze linguistiche e i media cui si ha accesso. Per esempio, i discendenti degli italiani conformano il gruppo più numeroso e

spesso non sono italofoni. Questo determina che debbano informarsi quasi esclusivamente dai media argentini che danno l’informazione a loro convenienza e presentano le vicende politiche, che succedono in Italia, da un proprio approccio particolare. Se una persona conosce l’italiano può accedere a mezzi d’informazione tramite internet e altri canali allora può contrastare quello che dicono i media locali con quello che dicono i media italiani. Si può fare un’idea critica personale e prendere una posizione strategica tra le due realtà. Non si registrano quindi delle condizioni appropriate per la formazione di un’utenza in grado di questionare. Si vede anche che gli ultimi arrivati hanno con il loro paese un rapporto affettivo ma hanno perso, in molti casi, interesse verso la politica e la realtà italiane.

In che cosa può aiutare i suoi elettori?

La mia proposta gira intorno a tre punti principali:

Innanzitutto vorrei stimolare la presenza delle donne all’interno delle associazioni, cercare di ottenere che ne diventino protagoniste e riuscire ad avere rappresentanti donne nel Parlamento italiano. Dal 2006 ad ora ne abbiamo avuta solo tre: Mirella Giai, Mariza Antonietta Bafile Romani e Renata Bueno quando le donne sono maggioranza sia nell’elenco degli elettori sia nel Registro Italiani all’Estero (AIRE). Evidentemente in campo rappresentativo non abbiamo raggiunto la parità.

ll secondo punto?

Rendere visibili figure italiane molto positive come i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino quindi far conoscere la cultura italiana che non sia solo quella folcloristica. Per esempio, nel rione di Palermo, qui a Buenos Aires, c’è piazza Sicilia, lì c’è un monumento di Pirandello, donato dalla collettività siciliana nel 1991. Mi sembrerebbe opportuno collocare nello stesso spazio un busto o una targa dedicata ai due giudici sopra menzionati. Vorrei promuovere una cultura italiana della coscienza e della legalità, della lotta civica per i valori, di cui Falcone e Borsellino sono stati icone. Negli ambiti accademici sono molto conosciuti ma non lo sono dalla gente comune, vorrei farli conoscere da tutti per additarli come degli esempi da seguire perché non si può ammirare ciò che non si conosce.

Per quanto mi riguarda essendo parte del sistema scientifico argentino, il mio compito è cercare di rendere esplicito il rapporto che avevano Falcone e Borsellino con l’Argentina.

Siamo arrivati al terzo punto. Qual è?

Riguarda le politiche dell’informazione e della comunicazione. Ci sono diverse criticità che riguardano il coinvolgimento delle audience dall’estero per partecipare appunto della pianificazione delle strategie dei palinsesti loro rivolti. Non è quello che l’Italia vuol farci vedere ma quello che noi vogliamo vedere. Ogni anno viene

chiesta al Comites un’opinione sul palinsesto della Rai. Bisognerebbe cercare di ottenere dei programmi Rai più soddisfacenti, di dirigerli verso gli interessi dei diversi pubblici. La Rai deve trasmettere sì o no le partite? Ci sono opinioni incontrate, tutto questo dev’essere oggetto di studio. Un altro punto critico riguarda la programmazione per bambini, ce n’è poca, non è nell’orario giusto e forse bisognerebbe preparare programmi in sintonia con le nuove infanzie. Se ci fossero i sottotitoli il raggio di utenza si allargherebbe. Le politiche di comunicazione richiamano un consenso sociale che in un certo qual modo bisogna raccogliere, sia attraverso gli strumenti della ricerca, sia attraverso le assemblee, sia attraverso forum elettronici.

Non ha detto niente del male servizio dei consolati, per molti è il piatto forte della campagna.

Con Italia Futura ci poniamo come un’alternativa a quello che c’è, altre liste fanno bandiera di questo tema. Il nostro non è un approccio strumentale dell’identità e della rappresentanza, ma una semina a lungo termine. Va tenuto in conto che i Comites sono organi consultivi non sono esecutivi, non hanno un potere decisionale. Ci proponiamo di accompagnare la collettività per risolvere questi problemi ma di ottenere anche un coinvolgimento di tutti gli italiani nel territorio della nostra circoscrizione.

Edda Cinarelli

Elezioni del Comites 2021: Vito Santarsieri, un imprenditore di successo

Arrivato in Argentina all’età di tre anni, al giorno d’oggi è un noto imprenditore, proprietario di
“Constructora Forenza”. Il denaro non gli ha dato alla testa, è un uomo cortese, umile che conserva i valori tipici degli italiani, come l’amore alla famiglia, al lavoro e valorizzazione dell’amicizia. Lucano di Forenza (PZ), da molti anni frequenta la Federazione delle Associazioni della Basilicata in Argentina, dove ha lavorato per promuovere varie manifestazioni culturali e stringere vincoli tra la Regione e i suoi emigrati all’estero. Emerge per la sua attività di amministrazione dei fondi che la Basilicata manda per i suoi emigrati indigenti. Ha raggiunto vari obiettivi dando prova di solidarietà, creatività e di capacità di gestione. È candidato come consigliere alle prossime elezioni per il Comites nella lista del MAIE.

Com’è la Sua storia d’immigrazione?

È come quella di molti altri. Mio padre è venuto in Argentina nel 1949, nel secondo dopoguerra quando in Italia c’erano tanti problemi. Avevo due mesi. Nel 1952 ha mandato a mia mamma il biglietto di viaggio e l’abbiamo raggiunto, avevo tre anni.

Ha sofferto molto per lo sradicamento?

No, non mi ricordo molto, so che quando siamo arrivati siamo andati a vivere in casa di un fratello di mia nonna, quello che aveva mandato il foglio di chiamata a mio padre. Mia madre ha insistito perché andassimo a vivere in un altro posto e ci siamo trasferiti in una stanza di quattro per quattro Come vede è una storia simile a quella di molti immigranti. Mio padre era un uomo straordinario ma la forte della famiglia era mia madre, cuciva camicie, pantaloni ed era una donna molto lavoratrice e intelligente.

Perché nella pizzeria Guerrin c’è un murale in cui è ritratto Suo padre?

Carlos Sesto, uno dei padroni di Kentucky, l’impresa proprietaria della pizzeria omonima, di Guerrin, dei bar Dandy e delle pizzerie Sbarro, ha un deposito di fronte al mio ufficio. Abbiamo fatto amicizia e lui si è affezionato molto a mio padre. Mi diceva sempre che era un tipo geniale, che la sua generazione aveva contribuito a fare l’Argentina e mi raccomandava di occuparmi di lui.

Nel 2019 ha creato un panettone Guerrin cotto nel forno a legna. Me ne ha regalato uno e la notte di Natale mentre mio padre apriva il panettone gli ho scattato una foto, che poi ho mostrato a Sesto. Quando mio padre è morto Carlo ha voluto rendergli omaggio, con questo murale che riproduce tale e quale quella foto. Si trova nel cortile “patio” napoletano, dietro la pizzeria e costruito proprio dove prima c’era un “conventillo”. Nello stesso murale c’è Pavarotti, di fronte il Golfo di Napoli con Sofia Loren e Alberto Sordi

Parliamo di Lei, so che ha sempre frequentato la Federazione delle Associazioni della Basilicata in Argentina (FABA), e che da circa 10 anni è consultore della Regione Basilicata.

In effetti sono stato consultore della Basilicata per l’America Meridionale fino al mese di dicembre scorso quando c’è stata una nuova elezione e non mi ci sono presentato perché ogni 10 anni, secondo la legge, bisogna rinnovare le autorità.

È un incarico complicato?

È un incarico di responsabilità. I consultori della Basilicata sono quattro: c’ero io per l’America Meridionale, poi c’erano Joe Di Giacomo per Australia, Domenico Pinto per l’America del Nord, Luigi Abati per l’Italia e Giuseppe Ticchio per l’Europa. I consultori si riuniscono una volta all’anno per esaminare i progetti presentati per il sostegno delle associazioni, la realizzazione di corsi, seminari, riunioni, lingua, conferenze, per mantenere vivo il legame tra i lucani e la Regione e si votavamo.

So che realizzate anche un grande lavoro di aiuto per gli emigrati lucani più sfortunati.

La Basilicata ha il petrolio e la regione riceve delle regalie di cui il 3% è destinato agli emigrati lucani nel mondo in stato di necessità. La Regione dal 2001 ha mandato per tre anni consecutivi molte migliaia di dollari che con Cifarelli, De Bonis e il Consiglio Direttivo della FABA abbiamo distribuito tra i lucani non abbienti.

Sono riuscito a far consegnare dei fondi ad alcune associazioni lucane e ho ottenuto dalle Regione 120 mila euro per la Casa degli anziani che si è allestita nella Città di Buenos Aires con il Governo della Città. Noi lucani abbiamo 20 stanze per 20 anni con servizio completo, cioè i quattro pasti, con servizio medico, infermeria e i nostri anziani vivono lì.

Mi può dire di più su questo convegno?

Cifarelli e De Bonis avevano firmato un convegno cornice e il 9 aprile 2013 si è firmato un accordo di cooperazione istituzionale. Per quella data era venuto il presidente della Commissione di Lucani all’estero, Lugi Scaglione.

L’accordo impegna le autorità della Città di Buenos Aires e quelle della Regione allo scambio di esperienze, a realizzare progetti in comune nelle aree della salute, turismo, sviluppo sociale, economico, comunale e della cultura. In quell’occasione abbiamo collocato in Piazza Roma un busto in bronzo del poeta latino Orazio e abbiamo realizzato molte cerimonie.

Tra le tante manifestazioni culturali che abbiamo realizzato c’è stato un concerto nel Teatro Colon del pianista Alessandro Vena, corsi di cucina tipica lucana con degustazione e pubblicazione di un libro, laboratori per insegnare artigianato lucano, come la carta pesta.

Mi ricordo di una visita di Gianni Alemanno quando era ministro di Agricoltura e di politiche forestali.

Nel 2001 ci ha mandato 10 container de fiocchi di patate liofilizzati. L’Italia si è fatta carico delle spese fino all’arrivo dei container in Argentina, una volta arrivati ho fatto fronte ai costi di logistica e di distribuzione. Ho mandato alcuni container al Patronato Italiano, poi alla Provincia di Buenos Aires, a Corrientes, a Santa Fe. Otto mesi dopo ho ricevuto dall’assessore Zanon del Veneto altri container carichi di alimenti e anche di camere ortopediche che sono state distribuiti in alcuni ospedali. Sono stato consultore per tanti anni e nei libri dei conti non c’è una sola spesa mia.

Perché si presenta come candidato a Consigliere nella lista del MAIE?

Mi piacerebbe essere nominato consigliere ma non voglio altri incarichi. Mi piacerebbe mettere la mia esperienza e la mia competenza e i miei contatti al servizio del Comites per poter applicare la mia esperienza.
Continuare a fare gestioni e a risolvere problemi dei nostri connazionali.

La Basilicata continua a mandare le regalie?

Dal 2001 al 2015 le ha mandate, ora le sta mandando, bisogna risolvere un problema tecnico e sicuramente arriveranno.

Edda Cinarelli

Porta: “Siamo in dirittura d’arrivo con il faccia a faccia tra Cario e me”

Con una decisione senza precedenti la Giunta per le elezioni del Senato ha aperto all’unanimità la procedura di contestazione dell’elezione di Adriano Cario, esponente dell’USEI passato poi al MAIE, accogliendo la richiesta avanzata dal relatore, Senatore Giuseppe Cucca, a conclusione del lungo iter del ricorso presentato più di tre anni fa da Fabio Porta, per due volte deputato PD ed attuale coordinatore del partito in Sudamerica.

“Gente d’Italia”, tra i pochi organi di informazione ad aver seguito fin dall’inizio la vicenda, ne ha parlato con il protagonista di questa complessa  situazione, finalmente vicina ad una sua definizione.

On. Porta, dopo oltre tre anni e mezzo dall’inizio della legislatura come giudica questa decisione del Senato: giusta, tardiva, o addirittura beffarda ?

Una premessa, anzi due: intanto grazie a “Gente d’Italia” per aver accompagnato dal primo giorno questa vicenda, per certi versi paradossale e per altri paradigmatica. Non tutti gli organi di informazione per gli italiani all’estero lo hanno fatto e mi sembrava giusto questo riconoscimento. Ho sempre sostenuto che la mancanza di una informazione coraggiosa e approfondita destinata agli italiani nel mondo sia stata in questi anni il terreno ideale per tante manipolazioni e strumentalizzazioni, anche della loro volontà politica, e per questo il vostro lavoro va evidenziato.   Voglio poi sottolineare che se è vero che la decisione della Giunta segna l’esito di un lungo processo di esame del ricorso, non siamo ancora di fronte alla decisione finale e per questo vorrei evitare di commentarla, rispettando il lavoro che in totale autonomia i membri della Giunta per le elezioni del Senato stanno svolgendo.

Comprendiamo il suo riserbo e il suo tradizionale ‘aplomb’ istituzionale, ma ci permetta di insistere: dopo questa lunga traversata nel deserto, quando sembrava inevitabile un’archiviazione del suo ricorso, la decisione della Giunta l’ha sorpresa ? Non è il momento di togliersi qualche sassolino dalle scarpe ?

Dal giorno in cui con Luciano Vecchi (Responsabile italiani nel mondo del PD, NdR) presentammo il primo esposto alla Corte d’Appello di Roma quando lo scrutinio era ancora in corso a Castelnuovo di Porto, non ho mai smesso non soltanto di lottare ma anche di credere al corso della giustizia.  Per questo presentai un ricorso al Senato e per questo ho presentato un esposto alla Magistratura italiana.  L’ho fatto con convinzione, assumendomi i costi (non solo economici) di queste decisioni perché ero convinto che fare luce su quanto accaduto sarebbe stata una condizione necessaria anche se forse non sufficiente per ridare credibilità all’intero sistema del voto all’estero, più di una volta infangato da episodi che non possono continuare a rimanere impuniti.  Per i “sassolini” c’è ancora tempo; non siamo ancora di fronte all’esito finale, lo ripeto, e dobbiamo quindi attendere ancora qualche settimana prima di conoscere la decisione della Giunta e poi dell’aula del Senato.

Tra qualche settimana ci sarà la seduta pubblica con il contraddittorio tra lei e il Senatore Cario, ultimo capitolo prima della decisione del Senato. Ritiene che questo confronto potrà contribuire a quel chiarimento necessario, al quale lei faceva riferimento, sui brogli del 2018 ?

Spero di sì e credo che sia interesse di tutti andare fino in fondo su questa vicenda e fornire alla Giunta e di conseguenza ai nostri elettori tutti gli elementi per una decisione corretta ed esemplare.  Non c’è e non deve esserci nulla di personale dietro a tutto questo ma soltanto la volontà, spero comune a tutti, di fornire un quadro completo di quanto è successo e soprattutto di arrivare ad una giusta decisione.   Non dimentichiamoci che parallelamente al Senato sta andando avanti l’importante lavoro della Procura della Repubblica di Roma che ha già prodotto diverse perizie scientifiche (grafologiche e chimiche) sulle schede elettorali, contribuendo ad offrire alla Giunta del Senato elementi fondamentali per arrivare a questo giudizio.   Senza trascurare, infine, la parallela denuncia presentata in Argentina dal mio collega di partito Alberto Becchi che si appresta a trasmettere anche alla Camera dei Deputati gli esiti di queste evidenze, anche a seguito di quanto emerso dalle perizie disposte dal PM a Roma e dagli sviluppi del caso al Senato.

Mimmo Porpiglia (pubblicato da Gente d’Italia il 15/10/2021

Fonte: Porta: “Siamo in dirittura d’arrivo con il faccia a faccia tra Cario e me” – Gente d’Italia (genteditalia.org)

Italiani in Argentina oggi

Dopo essere stata per circa cent’anni un paese d’immigrazione, l’Argentina è diventata negli ultimi anni un paese d’emigrazione. Una situazione che si accentua giorno dopo giorno. Nel 2019, secondo un Rapporto dell’ONU, contava 1,013,414 emigrati partiti alla ricerca di stabilità economica e opportunità di lavoro. Erano passati tre anni da quando il Dossier Statistico sull’Immigrazione 2017 di Idos e Confronti affermava che “L’Argentina si conferma il primo paese scelto dagli italiani fuori dell’Europa”.

Secondo lo stesso Dossier inoltre più di centomila italiani emigravano ogni anno a metà degli anni ‘10 e per i tre quarti di loro la meta preferita era una destinazione europea, ma per gli altri l’Argentina restava sempre prima del Brasile, Canada, Stati Uniti, confermandosi come il destino preferito oltreoceano.

In assenza di dati ufficiali le cifre riportate suggerivano che diverse migliaia di giovani italiani fossero arrivati a Buenos Aires a causa della crisi del 2008. Invece i dati pubblicati dalla Dirección Nacional de Migraciones evidenziano che tra il 2011 e il 2015 erano state presentate 1,841 richieste di soggiorno da parte di cittadini italiani, ovvero solo lo 0,28% di un totale 646.524 pratiche che coinvolgevano immigranti dalle più variate nazionalità, cominciando da 255.826 cittadini paraguaiani ormai divenuti la prima minoranza di stranieri con quasi il 40% delle residenze richieste nello stesso periodo.

Di questi connazionali alcuni sono già rientrati dopo essersi scontrati con una realtà molto difficile, altri con qualifiche speciali sono rimasti perché si sono trovati al posto giusto nel momento giusto. Questi ultimi cercano di riunirsi e di stare insieme ma a differenza delle generazioni anteriori, che cercavano una vicinanza fisica, e si riunivano per affinità di idee: l’Unione e Benevolenza, 1858; La Nazionale Italiana, 1861; o di lavoro: l’Unione Operai Italiani, 1874; la Camera italiana di Commercio, 1884; quelli del secondo dopoguerra in associazioni di tipo etnico, gli attuali scelgono i sistemi virtuali, i social network o i mezzi elettronici. Abbiamo allora Italiani a Buenos Aires, che ha un sito ed è presente sulle principali reti sociali o il gruppo google Seratanas, quest’ultimo formato da sole donne, tutte nate in Italia, nella maggioranza nel Nord.

In generale i nuovi migranti si interessano di politica locale ed italiana. Però anche se alcuni di loro sono molto conosciuti si tratta di gruppi di alcune centinaia di persone perché la tendenza ad andarsene continua. Oggigiorno si calcola che almeno cento argentini al giorno, tra loro anche italo argentini, lascino l’Argentina per ricominciare la loro vita in un altro posto. In questa situazione con un’emorragia tanto grande di abitanti, è molto difficile calcolare veramente quanti siano gli italiani in Argentina.

Si sa che sono oltre un milione gli iscritti all’AIRE e che sono moltissime le richieste di riconoscimento della cittadinanza italiana, ma è risaputo che nella maggior parte dei casi, questa riscoperta delle origini si deve al desiderio di molte persone di partire dall’Argentina e di ricominciare la propria vita in un altro paese. Preferibilmente la Spagna, poi gli USA e infine l’Italia.

Edda Cinarelli

Smart working, clima e digitalizzazione della Pubblica Amministrazione

Quasi sconosciuto in Italia fino a qualche anno fa, poco implementato nel settore privato e ancor meno nell’ambito della pubblica amministrazione, lo smart working (o lavoro agile) ha acquisito notorietà con la pandemia da Covid-19 che ha colpito l’Italia e il mondo intero.  

Lo smart working, oltre a creare condizioni favorevoli ormai note per lavoratori e lavoratrici (miglioramento della conciliazione tra vita privata e lavoro, flessibilità dell’orario lavorativo, aumento della produttività), ha un impatto positivo anche riguardo il territorio.  

Nelle grandi città è stata accertata una considerevole diminuzione dell’inquinamento atmosferico e acustico grazie alla minore circolazione degli automezzi (che consente inoltre una forte riduzione dell’infortunistica stradale), mentre nei piccoli centri si assiste ad un rafforzamento della coesione territoriale, fenomeno dovuto alla possibilità offerta dallo smart working di svolgere le mansioni lavorative “a distanza”, nel paese di origine, a quanti sono stati costretti a migrare nelle metropoli. 

In modalità agile, dunque, non ci sono vincoli relativamente alla scelta di strumenti, orari e luoghi di lavoro (salvo la necessaria prudenza nella scelta di luoghi al fine di non incorrere facilmente in infortuni), realizzando in tal modo la conciliazione dei tempi di vita con i tempi di lavoro. 

Cosa ha portato e cosa porterà nell’immediato in termini di benefici per il territorio?  

I benefici dello smart working per l’ambiente derivano dal contenimento degli spostamenti casa lavoro e, di conseguenza, dell’inquinamento dovuto alle emissioni di CO2 con una riduzione di costi e di stress a carico dei lavoratori, nonché del traffico e di incidenti stradali. 

Ci sono poi gli impatti sull’ecosistema che ci circonda; il lavoro agile favorisce la ripopolazione di quelle aree precedentemente sfavorite in quanto “distanti” dal luogo di lavoro. 

Lo smart working è una soluzione alla mobilità sostenibile contribuendo attivamente ai grandi obiettivi per un futuro sostenibile definiti dall’ “Agenda 2030” delle Nazioni Unite, che prevede di rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili e garantire a tutti di poter usufruire di un sistema di trasporti sicuro, conveniente, accessibile e sostenibile. 

Le città del futuro dovranno essere green, obiettivo raggiungibile attraverso la riduzione degli impatti negativi sull’ambiente. 

La sostenibilità ambientale dei territori rappresenta uno degli obiettivi della strategia smart working che risulta importante in quanto costituisce l’occasione per migliorare i processi produttivi e renderli più efficienti: riduzione dei costi, aumento della produttività, aumento della sicurezza sul lavoro e conciliazione vita privata e vita lavorativa. La comunicazione diventa un aspetto essenziale per trasmettere le informazioni a tutti gli attori, nessuno ne è escluso, né deve essere lasciato indietro lungo il cammino necessario per portare il mondo sulla strada della sostenibilità. 

Nella Pubblica Amministrazione italiana si é invece tornati prepotentemente al lavoro “in presenza”. 

Una scelta che appare sinceramente disastrosa, incoerente ed incommensurabilmente lontana dall’epoca in cui viviamo; incapace, non solo di adeguarsi ai profondi cambiamenti ed alle nuove sfide del nostro tempo, ma addirittura di disegnare un “piano strategico” , un percorso di rinnovamento efficace. 

Eppure la parola d’ordine è: “trasformazione digitale del settore pubblico”, “passaggio al cloud computing” e al “cloud storage”, adottando le ultime tecnologie di “multi-edge, multi-cloud o edge-to-cloud”.  

Alcune amministrazioni pubbliche, come le agenzie fiscali, sono già fortemente digitalizzate ma questo non le ha messe al riparo da problemi e disfunzioni; spesso anzi i difetti del software vengono utilizzati per coprire disservizi che sono di tutt’altra natura: incompetenze di dirigenti e interferenze della politica. 

Negli ultimi 20 anni ci sono stati ripetuti tentativi di introdurre meccanismi incentivanti nel pubblico impiego. anche mettendo in piedi nuove strutture – come gli Organismi Interni di Valutazione (OIV) – volti ad assicurare una corretta applicazione delle scelte e degli obiettivi di gestione. 

L’esperienza non è stata affatto incoraggiante e gli OIV sono risultati assai poco incisivi, diventando spesso strumenti per spartirsi poltrone.  

L’unica riforma seria consiste nello scegliere bene i dirigenti, fissare per le amministrazioni nel loro complesso obiettivi verificabili, e reclutare persone competenti. Per anni queste scelte sono state dettate da pressioni politiche e sindacali: il risultato è che le componenti premiali delle retribuzioni sono quasi sempre distribuite in modo uniforme. 

Per troppo tempo inoltre si sono permessi ingressi al di fuori dei concorsi; e anche quando i concorsi sono stati fatti hanno spesso premiato le “conoscenze” a dispetto delle competenze.  

Anche l’ormai famoso PNRR (Piano nazionale di recupero e resilienza) risulta carente e preoccupante. Non si parla, per esempio, di come cambiare i processi di selezione dei dirigenti della PA, né di come far ripartire sistematicamente i concorsi. 

Si fa solo un timido  accenno all’immancabile “portale di reclutamento”, come se il problema fosse quello di far sapere che ci sono concorsi pubblici e non quello di scegliere bene a partire da platee sterminate di candidati. 

Non si dice nulla su come selezionare i commissari dei concorsi, né su come remunerarli in modo da attrarre persone davvero capaci di valutare i candidati. Se le commissioni d’esame devono lavorare per mesi a tempo pieno e gratuitamente sarà quasi impossibile trovare commissari all’altezza di questo compito cruciale; si finirà come sempre a nominare commissioni autoreferenziali tutte di interni. 

Niente di tutto questo si trova neanche nel Patto sottoscritto l’11 marzo coi sindacati. 

È vero che nel patto si propone l’ingresso nella PA di nuove competenze, ma sono solo parole se non si specifica come verranno reclutate e con quali prospettive. Si parla di assunzioni con contratti a tempo determinato, ma non per questo si può essere meno selettivi. Le pressioni sindacali per trasformare queste posizioni in contratti a tempo indeterminato sempre e comunque saranno poi fortissime. Cosa succederà in questo scenario assai prevedibile? 

È poi fondamentale che le nuove professionalità non diventino anch’esse un corpo separato come gli avvocati, i medici delle amministrazioni, i tecnici edilizi e così via. Questo significa costruire percorsi di carriera per questo tipo di personale, che spesso non ha le caratteristiche per assumere responsabilità gestionali, né l’ambizione di farlo. In altre parole, per i professionisti della PA deve essere possibile avere incrementi retributivi anche senza necessariamente diventare responsabili di strutture apicali. 

Questo è possibile solo rivedendo la scala retributiva che oggi premia eccessivamente i dirigenti, spesso pagati più che nelle amministrazioni pubbliche di altri paesi, mentre penalizza le seconde linee: c’è un salto immenso fra i 240.000 euro di alcuni dirigenti di prima fascia e i 70.000 dei dirigenti di seconda. 

Tra le nuove professionalità di cui la PA ha maggiormente bisogno c’è quella degli ingegneri gestionali: la digitalizzazione che serve non è quella imposta dai mega piani elaborati magari da società di consulenza esterne, ma quella scelta in un processo certosino di reingegnerizzazione dei processi, vincendo le tante complicazioni e lentezze burocratiche imposte da una cultura spesso unicamente giuridica e dalle invasioni della politica nella gestione.  

Come per l’emergenza climatica, anche nella digitalizzazione e nella diffusione dello Smart working è urgente abbandonare i “bla bla bla” simpaticamente (ma perentoriamente) evocati da Greta Thumberg nel recente “Youth4Climate” di Milano.  

Rosario Grenci

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