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August 2021

A Santa Margherita Ligure il primo G20 sulla parità di genere

È iniziata questa mattina a Santa Margherita Ligure (Genova) la prima conferenza di un G20 dedicata esclusivamente al tema dell’empowerment femminile.
Presieduta dalla Ministra per le pari opportunità, Elena Bonetti, alla conferenza partecipano Ministri responsabili per le pari opportunità del Paesi del G20 e dei Paesi ospiti, rappresentanti di organizzazioni internazionali (UN Women, OIL, OCSE), del mondo delle imprese, dell’accademia e della società civile.

Due le aree di approfondimento al centro dei lavori: Stem, competenze finanziari e digitali, ambiente e sostenibilità; Empowerment lavorativo ed economico e armonizzazione dei tempi di vita.

Ai partecipanti è giunto il saluto del Presidente del Consiglio, Mario Draghi, che si è detto “molto orgoglioso” che “la prima conferenza sulla parità di genere nella storia del G20 si svolga sotto la Presidenza italiana. Ringrazio la Ministra Bonetti per l’eccellente lavoro preparatorio svolto”.

L’Italia, assicura il Premier, “è pienamente impegnata nella lotta contro le disuguaglianze di genere e riteniamo che il G20 possa svolgere un ruolo fondamentale nel sostenere le donne in tutto il mondo. Durante la Presidenza italiana, abbiamo adottato misure concrete per migliorare la posizione delle donne nel mondo del lavoro, promuovere la loro emancipazione e rimuovere gli ostacoli che frenano le loro carriere”.

A giugno, ricorda Draghi, “abbiamo adottato una tabella di marcia volta a raggiungere e superare l’obiettivo fissato a Brisbane, che prevede di ridurre del 25% entro il 2025 i divari di genere nel tasso di partecipazione alla forza lavoro nei Paesi del G20. La tabella comprende 17 indicatori che consentono di monitorare i progressi raggiunti verso la piena parità di genere nel mondo del lavoro. Ogni perdita di talento femminile è una perdita per tutti noi”.

Inevitabile l’attenzione all’Afghanistan: “la riunione odierna è stata resa ancora più urgente dalla crisi in Afghanistan”, scrive Draghi. “Non dobbiamo illuderci: le ragazze e le donne afghane sono sul punto di perdere la loro libertà e la loro dignità, di tornare alla triste condizione in cui si trovavano vent’anni fa. Rischiano di diventare ancora una volta cittadine di seconda classe, vittime di violenza e di discriminazioni sistematiche, soltanto per il fatto di essere donne”.

Per questo, sottolinea, “il G20 deve fare tutto il possibile per garantire che le donne afghane mantengano le loro libertà e i loro diritti fondamentali, in particolare il diritto all’istruzione. Le conquiste raggiunte negli ultimi vent’anni devono essere preservate. In quanto paesi del G20, abbiamo degli obblighi non soltanto nei confronti dei nostri cittadini, ma anche nei confronti della comunità globale. Dobbiamo difendere i diritti delle donne ovunque nel mondo, soprattutto dove esse sono minacciate”. (aise) 

Fonte: A Santa Margherita Ligure il primo G20 sulla parità di genere (aise.it)

Fabrizio Lucentini nuovo Ambasciatore a Buenos Aires

È Fabrizio Lucentini il nuovo Ambasciatore d’Italia a Buenos Aires. Alla luce del gradimento da parte delle autorità argentine alla designazione decisa dal Governo italiano, il diplomatico inizia oggi il suo mandato nella capitale argentina, dove succede a Giuseppe Manzo.

Romano, classe 1967, Lucentini si laurea in Scienze Politiche all’Università di Roma ed entra in carriera diplomatica nel 1995.

Il primo incarico alla Farnesina è alla Direzione Affari Politici; nominato Secondo Segretario Commerciale presso l’Ambasciata d’Italia a Tokyo nel gennaio 1999, è stato confermato presso la stessa sede come Primo Segretario Commerciale l’anno successivo.

Nel 2002 è Primo Segretario Commerciale presso l’Ambasciata d’Italia a Parigi, dove nel 2005 viene confermato come Consigliere Commerciale.

Nel maggio 2006 torna alla Farnesina, dove ricopre diversi incarichi presso la Segreteria Generale.

Nel 2012 è destinato alla Rappresentanza Permanente presso l’Unione Europea a Bruxelles. Nell’agosto 2016 torna a Roma: per tre anni è Direttore Generale per le Politiche di Internazionalizzazione e Promozione degli Scambi del Ministero di Sviluppo Economico.

Dal settembre 2019 ha ricoperto la carica di Capo di Gabinetto del Ministro per gli Affari Europei. Nel 2017 è stato insignito del grado di Cavaliere Ufficiale dell’Ordine “Ordine al Merito della Repubblica”. (aise) 

Fonte: Fabrizio Lucentini nuovo Ambasciatore a Buenos Aires (aise.it)

Tommaso Claudi, il console italiano e la foto simbolo a Kabul: «Quel bimbo salvato non è stato l’unico»

Giovane incaricato d’affari con soltanto cinque anni di carriera diplomatica alle spalle, a nemmeno 31 anni (da compiere il 30 agosto) Tommaso Claudi si trova a dovere gestire in prima linea una delle più gravi crisi politiche ed umanitarie del nuovo millennio. «In effetti la crisi a cui assistiamo è molto grave e la situazione all’ingresso dell’aeroporto estremamente critica, per via delle tantissime persone che vi si accalcano. E arrivare all’aeroporto dalla città di Kabul è ormai difficilissimo se non impossibile» .

Marchigiano di Camerino (Macerata), Tommaso Claudi è stato promosso al ruolo di console ad interim per gestire l’esodo dall’aeroporto dopo che l’ambasciata di Kabul è stata evacuata verso Roma assieme all’ambasciatore Vittorio Sandalli. «Che continua a svolgere naturalmente un ruolo fondamentale», spiega Claudi.

La sua figura di giovane diplomatico sul campo è diventata una sorta di simbolo dell’Italia che aiuta, dopo che tre giorni fa una fotografia lo ha ritratto con elmetto e giubbotto antiproiettile mentre prendeva in braccio un bambino in lacrime dalla folla e lo traeva in salvo al di là del muro dell’aeroporto. «Un momento che mi ha molto colpito. Non è facile vivere certe scene. Quel bambino è poi stato consegnato ai famigliari, lui con loro sani e salvi. Ma non è stato l’unico bambino». Ne ha salvati altri? «Alcuni altre volte, sì».

Claudi insiste sul valore della collaborazione tra la Farnesina e il ministero della Difesa ricordando che il nostro è stato tra i primi Paesi ad attivare in modo concreto il ponte aereo su Kabul. «Stiamo portando in salvo un grandissimo numero di persone, tra cui tutti i nostri connazionali che ne hanno fatto richiesta e quasi 2.700 cittadini afghani. Il numero muta continuamente e crescerà con i prossimi voli in programma. Ad oggi il numero di italiani evacuati si aggira sulla settantina, dalla crisi di metà agosto. E si stima che un’altra ventina siano ancora nel Paese, di cui la grande maggioranza collaboratori di Emergency».

Aggiunge, tuttavia, che il lavoro è svolto in pieno coordinamento tra Kabul e Roma assieme al ministro degli Esteri Luigi Di Maio e al segretario generale della Farnesina Ettore Sequi. Che di recente, su Twitter, lo ha pubblicamente ringraziato.

Claudi vive in un locale all’interno dell’aeroporto, dove esercita un’incessante opera di rimpatrio degli italiani e degli afghani. Lo incontriamo nella zona affidata agli italiani, in una palazzina che si affaccia sulla pista principale dell’aeroporto. Appare visibilmente stanco ma anche deciso a continuare nel suo lavoro fino alla fine dell’evacuazione. Che secondo quanto ha confermato il presidente degli Stati Uniti Joe Biden dovrebbe avvenire entro il 31 agosto . «Noi qui siamo per servire il nostro Stato e partiremo quando l’ordine ci verrà impartito da Roma». Una delle attività più importanti del console con la sua équipe è continuare a vagliare le domande di aiuto che arrivano dai civili afghani. Un lavoro potenzialmente senza fine.

Lorenzo Cremonesi (pubblicato da Il Corriere della Sera il 26/08/2021)

Fonte: Tommaso Claudi, il console italiano in Afghanistan e la foto simbolo a Kabul- Corriere.it

Santa Margherita, il messaggio di Draghi al G20 delle donne: “Ogni perdita di talento femminile è una perdita per tutti noi”

“La giornata di oggi segna la prima conferenza sulla parità di genere nella storia del G20. Sono molto orgoglioso che si svolga sotto la Presidenza italiana e ringrazio la ministra Bonetti per l’eccellente lavoro preparatorio svolto”.

Lo dice il presidente del Consiglio, Mario Draghi in un messaggio inviato alla Conferenza G20 sull’empowerment femminile a Santa Margherita Ligure.

“L’Italia è pienamente impegnata nella lotta contro le disuguaglianze di genere e riteniamo che il G20 possa svolgere un ruolo fondamentale nel sostenere le donne in tutto il mondo- prosegue Draghi- Durante la Presidenza italiana, abbiamo adottato misure concrete per migliorare la posizione delle donne nel mondo del lavoro, promuovere la loro emancipazione e rimuovere gli ostacoli che frenano le loro carriere”.

A giugno, prosegue il presidente del Consiglio, “abbiamo adottato una tabella di marcia volta a raggiungere e superare l’obiettivo fissato a Brisbane, che prevede di ridurre del 25% entro il 2025 i divari di genere nel tasso di partecipazione alla forza lavoro nei Paesi del G20. La tabella comprende 17 indicatori che consentono di monitorare i progressi raggiunti verso la piena parità di genere nel mondo del lavoro. Ogni perdita di talento femminile è una perdita per tutti noi”.

Ciò detto, conclude Draghi, “vi auguro una conferenza di grande successo e attendo con interesse le vostre conclusioni”.

“Sappiamo bene che le diseguaglianze tra donne e uomini si radicano già nella prima infanzia. E sappiamo che finché permetteremo discriminazioni sulle bambine, negheremo di fatto l’affermazione che i diritti dei bambini sono universali, affermazione che già ci impegna nella Convenzione sui diritti del bambino”. Così la ministra alle Pari Opportunità Elena Bonetti, nel suo intervento di apertura della Conferenza. “Abbiamo bisogno – ha aggiunto- di contrastare in ogni ambito, anche in quello familiare ed educativo oltre che nel lavoro, le diseguaglianze che gravano sulle donne, sulle bambine e le ragazze”.

Fonte: Santa Margherita, il messaggio di Draghi al G20 delle donne: “Ogni perdita di talento femminile è una perdita per tutti noi” – la Repubblica

Claudio Morandi, una vita per l’insegnamento tra gli italiani all’estero

Il professor Claudio Morandi, nato in Provincia di Mandova e laureatosi in Lettere con indirizzo moderno alla Facoltà di Lettere e Filosofia presso la Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, con innumerevoli altre specializzazioni post lauream, ha lavorato per anni nella Scuola Cristoforo Colombo di Buenos Aires, nel Centro Culturale di Olivos, nella Scuola Leonardo da Vinci de la Plata e anche nella Scuola Italiana di Montevideo, sia come professore sia come preside. E’ una persona che ha lasciato un meraviglioso ricordo di sé tra gli ex professori e gli ex alunni di quelle scuole che gli sono molto legati, in effetto mi sono spianta a fargli un’intervista per costituirmi in un ponte virtuale tra lui e loro, unire il passato con il presente.

E’ professore dal 1973, prima a Mantova, poi al Cario, in Argentina e anche in Uruguay, quale l’aspetto della Sua professione che Le piace di più?

Non è facile rispondere perché professione e vita in un docente si intersecano in modo indissolubile, almeno per me. Credo che una delle caratteristiche che ti offre questa professione, almeno per chi la sceglie per vocazione e non per altre ragioni, è il suo dinamismo sia perché ti obbliga a una continua interazione con le giovani generazioni, e non è una sfida di poco momento, sia perché professionalmente si è chiamati a un continuo aggiornamento. Sono sempre stato uno spirito inquieto e curioso. Nato nella “bassa pianura padana” in un villaggio minuscolo, nel periodo difficile del dopoguerra, con pochi mezzi e molte illusioni, il mio universo era costituito dai miei libri e dal desiderio bruciante di conoscere il mondo.

Crede che al giorno d’oggi il latino e il greco siano ancora utili per la formazione dei giovani o che siano sufficienti le scienze esatte o le materie tecnologiche come l’informatica e la robotica?

La mia formazione è classica essenzialmente e quindi mi sento molto partigiano e poco obiettivo di fronte a questa domanda, credo fermamente che il mondo classico costituisca lo zoccolo duro della nostra civiltà occidentale e non intendo solo quella del mondo delle lettere e della filosofia, che pure grandissima parte hanno avuto, ma anche la scienza. In ogni caso ricordo che la lingua veicolare della cultura europea, in tutte le università fino al settecento, è stato il latino, così come oggi è l’inglese.

Non c’era trattato di filosofia o di scienza che non fosse scritto in latino. Ma io penso soprattutto al grandissimo patrimonio di poesia che il mondo classico ci ha lasciato e quali strumenti più idonei ad attingere a questo tesoro se non il greco e il latino? Parrebbe un discorso passatista nell’era cibernetica eppure molto spesso grandi imprese o importanti istituti bancari cercano giovani laureati in Lettere o in Filosofia, non solo per la duttilità della loro mente in grado di apprendere facilmente i funzionamenti della tecnica o dell’economia, ma anche per la qualità umana per quel QUID in più che possiedono rispetto a chi ha una preparazione esclusivamente tecnica.

Lei hai avuto una formazione classica, ha studiato arte, fotografia, lingue, come si sente nel mondo attuale in cui bisogna usare programmi informatici e dare lezioni su Zoom.

Non sono un parruccone, un insensato LAUDATOR TEMPORIS ACTI, sono un curioso, come ti ho detto, quindi mi interessa tutto ciò che di nuovo appare nell’ambito della didattica e che possa essere utile all’apprendimento. Non ho mai demonizzato gli strumenti informatici, al contrario, come coordinatore didattico, soprattutto nella Scuola Italiana di Montevideo, la mia ultima esperienza lavorativa formale, ho promosso corsi di aggiornamento ai colleghi sull’uso delle TIC, come utilizzare al meglio le possibilità della LIM e in particolare come trasformare il “diabolico” telefonino in uno strumento di apprendimento, ci sono a proposito dei programmi interessantissimi per l’insegnamento di varie discipline, scaricabili attraverso le app del cellulare!

Per parlare delle piattaforme informatiche che permettono la teleconferenza, intendo zoom o google meet, in tempo pandemico uniche possibilità di DAD, le ho utilizzate ultimamente con i miei alunni di Moron, dove per tre anni, nella Società Italiana, ho insegnato Italiano come L2 agli adulti, devo dire che un certo beneficio hanno sortito “fault de mieux”, è pur sempre una forma palliativa.

Pensa che le lezioni virtuali possano sostituire quelle in presenza o che l’interesse e l’affetto dei docenti non possano essere mediati da uno schermo?

Dicendo che la DAD è un palliativo intendo dire che la lezione in presenza è insostituibile, non solo perché più dinamica ed interattiva per non essere “mediata” da uno strumento elettronico che a volte fa pure i capricci! ma soprattutto per il fatto che viene meno quella parte della comunicazione non verbale che ha un peso grandissimo nel rapporto didattico tra docente e discente. L’insegnante è anche una sorta di istrione che può creare atmosfere, un clima di tensione didattica che nessuno strumento tecnico può sostituire.

Cosa rimpiange maggiormente della Sua vita d’insegnante? Le illusioni di quando era giovane o la maturità con cui ha affrontato gli anni d’insegnamento nelle scuole in America Latina?

Io mi ritengo fortunato perché nel mio lavoro ho potuto coniugare le passioni che ho sempre avuto fin da giovane, l’insegnamento e conoscere il mondo. Avere vinto il concorso presso il MAECI per insegnare all’estero è stato un vero colpo di fortuna. Ho conosciuto soprattutto l’Egitto, il Cairo, dove ho lavorato nel Liceo Scientifico Italiano S. Francesco d’Assisi per cinque anni, ma ho avuto pure la possibilità di essere in commissione d’esame a Mogadiscio e ad Addis Abeba. Trasferito in Argentina, ho cominciato la mia esperienza lavorativa alla Cristoforo Colombo, dove pure ho avuto in due periodi successivi, la responsabilità della direzione didattica.

Devo senz’altro ammettere che la mia formazione umana e professionale sia avvenuta proprio qui. A contatto con culture diverse, di fronte a problematiche sociali e umane alle quali non ero abituato, mi ha aperto un orizzonte che sicuramente non avrei neppure intravisto se fossi rimasto a insegnare nella mia pur bellissima Mantova. Mi sono sprovincializzato e Buenos Aires ha contribuito in modo sostanziale a questa mia maturazione. Non ho rimpianti, mi sento realizzato!

Per quale ragione crede che molta gente si ricordi di Lei con affetto?

A questa domanda non saprei cosa rispondere, credo che lo dovrebbero fare i miei ex alunni e sarebbe molto interessante anche per me sapere la risposta. Per quel che mi riguarda, sicuramente anche come credente, ho sempre avuto un enorme rispetto dei miei alunni, prima di tutto cercando di essere un buon docente, ho sempre scrupolosamente preparato le mie lezioni, poi cercando di dimostrare con l’esempio della puntualità dell’accuratezza della persona che erano le persone più importanti per me e che loro avrebbero dovuto fare lo stesso tra di loro e con tutti i docenti.

So che Le chiedono spesso di tornare a Scuola ma che non accetta, perché? Considera indispensabili la forza e la vivacità per insegnare?

Ormai ho settantatré anni e qualche acciacco, credo che con i giovani bisogna avere energia e non un eccessivo GAP generazionale, se non c’è intesa a vari livelli il rischio che il dialogo didattico si inceppi. Sono convinto che ciascuno sappia quando è giusto tirare i remi in barca e lasciare ai giovani insegnanti il dovuto spazio.

A parte questo periodo di chiusura per il Covid considera che i ragazzi siano cambiati dal 1973 ad ora e che di conseguenza ci sia stata la necessità di un aggiornamento costante nel modo d’insegnare?

I ragazzi sono senza dubbio cambiati, ma ci sono delle costanti che non mutano nel tempo: la voglia di avere uno spazio loro, il desiderio di essere ascoltati e non giudicati, una grande voglia di affetto in particolare nella solitudine in cui spesso si trovano nonostante la fuorviante eccessiva comunicazione, l’essere considerati individui con i propri gusti e i propri pensieri.

Per quanto riguarda l’aggiornamento, ricordo che in uno dei parecchi corsi a cui ho partecipato, un docente disse che gli insegnanti che iniziano la loro carriera studiano i primi quattro anni e poi, per il resto della loro vita professionale, ripetono le stesse cose studiate in quegli anni. Mi parve terribile, ma credo che un fondo di verità purtroppo ci sia.. Io che ho sempre amato studiare e che avrei voluto essere studente tutta la vita, non ho mai smesso di farlo, non tanto per coltivare alcuni pruriti culturali che pure avevo e che ho sacrificati, ma per poter conoscere meglio le discipline che insegnavo e per arricchire la mia esperienza didattica per trasmetterle con maggiore efficacia. Un insegnante che non studia e non si aggiorna è un burocrate non un docente!

Perché ha scelto di restare qua?

Domanda difficile a cui potrei dare anche risposte contraddittorie. La mia vita professionale, come ho detto si è realizzata qui, ma anche la mia vita come uomo che ha ordito una profonda rete di affetti e di conoscenze. La stimolante vita di questa città che è al tempo stesso metropoli e provincia nei suoi quartieri più tradizionali, le offerte culturali, la possibilità di continuare a insegnare fino alla mia veneranda età, tutto ciò non l’avrei avuto nella mia città e in Italia in generale e che pure amo come il mio paese quello che mi ha dato la mia identità, dove risiede parte della mia famiglia e che è uno scrigno di straordinari tesori.

Non si trova più a Suo agio in Italia? Cos’è cambiato?

Come corollario della risposta precedente, dopo più di quaranta anni di vita fuori dall’Italia, quando rientro mi sento un “pesce fuor d’acqua” non ne intendo più i meccanismi soprattutto quelli fiscali e burocratici in generale, sento insomma che mentre io sono cambiato, anche l’Italia che conoscevo è cambiata, camminiamo su binari diversi; mi piace andarvi in vacanza, non c’è dubbio, ma non potrei più viverci normalmente senza un grande sforzo e sacrificio.

Ormai la mia vita è qui e mi sento realizzato qui.

Edda Cinarelli

“Italiani d’Argentina. Da Manuel Belgrano ad Astor Piazzolla e oltre” nel borgo di Senarega (Genova)

La Valbrevenna ricorda l’epopea degli italiani in Argentina con una intensa giornata di manifestazioni. Domani, sabato 21 agosto, alle ore 18, presso l’Oratorio di Senarega (Genova) si svolgerà la conferenza “Italiani d’Argentina. Da Manuel Belgrano ad Astor Piazzolla e oltre” (con visioni e ascolti) di Ferdinando Molteni.

Si tratta del racconto del contributo italiano alla cultura argentina attraverso i suoi grandi protagonisti. L’Argentina degli italiani o, ricordando la popolare canzone di Ivano Fossati, gli “Italiani d’Argentina”.

La relazione tra lo sconfinato Paese sudamericano e il nostro è stretto come nessun altro. Qualcuno ha calcolato che più della metà dei cittadini argentini sia d’origine italiana e, di questi, la maggior parte d’origine ligure. In ogni caso, tutti o quasi, gli italiani d’Argentina sono passati per il porto di Genova. Il progetto parte proprio da lì.

La rassegna, ideata dall’Associazione Allegro con Moto di Savona, continuerà, sempre domani, ma alle ore 21, presso lo stesso oratorio con il concerto “Astor Piazzolla e note sudamericane” dedicato ai cento anni dalla nascita di Piazzolla.

Un concerto del Trio Aelia formato dai musicisti Elena Bacchiarello, clarinetto; Davide Nari, saxofono; Nadio Marenco, fisarmonica.

L’ingresso alle iniziative è gratuito nel rispetto delle norme vigenti anti-Covid.

La manifestazione è organizzata, oltre che dall’Associazione Allegro con Moto, anche dalla Pro loco Valbrevenna insieme al Comune di Valbrevenna, al Parco Antola, dall’Associazione “Borghi autentici d’Italia” con il sostegno della Regione Liguria. (aise) 

Fonte: “Italiani d’Argentina. Da Manuel Belgrano ad Astor Piazzolla e oltre” nel borgo di Senarega (Genova) (aise.it)

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