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June 2021

Il Presidente Argentino Fernández e l’Identità Sudamericana

Mezzo mondo ha riso (o forse si è indignato) per le parole del presidente argentino Alberto Fernández riferite al suo parigrado spagnolo Pedro Sánchez. Diceva che i messicani discendono dagli indiani, i brasiliani dalla foresta e gli argentini dalle navi provenienti dall’Europa. La versione originale della frase viene attribuita al premio Nobel messicano Octavio Paz e poi semplificata dal musicista argentino Lito Nebbia di cui il presidente è un estimatore. Fernández chiede continuamente scusa da mercoledì 9 giugno e addirittura ha esposto un quesito all’INDADI, ovvero l’Istituto Nazionale contro la Discriminazione, la Xenofobia e il Razzismo.

La questione dell’identità è ricorrente nella storia argentina e sembra sia destinata a rimanere tale. Appare come una conseguenza diretta delle costruzioni nazionali nel tentativo di definire e separare il “noi” dagli “altri” (gli estranei, i “non noi” ma anche possibili avversari) che in questo caso sono le altre nazioni. E quando si tratta di una nazione giovane queste conseguenze sono più notevoli, fino ad arrivare all’estremo del sovranismo protezionista.

I partiti politici odierni che fanno leva sulla questione dell’identità identificano gli “altri” con gli stranieri, gli immigranti, tutti coloro che non sono “noi” e minacciano la nostra presunta essenza. La conseguenza diretta è la xenofobia.

L’identità a cui si riferiscono i sovranisti si rifà molto spesso ai ricordi del passato, i bei tempi che furono, visti con gli occhi di chi ha cancellato le brutte esperienze e vive i ricordi con nostalgia: la famiglia di origine e l’infanzia, la scuola. Sono ricordi che rimangono indelebili di fronte ad una realtà che cambia e dinamica con gli occhi posti a un futuro incerto. Quelli che in Argentina (come del resto anche in Italia) si impegnano per una nazione dalle sembianze bianche, di religione cattolica ed erede diretta di un grandissimo periodo di splendore, solo devono andare per strada e fare un inventario di quello che vedono.

Nella grande spiegazione esposta da Fernández come giustificazione o (disperato) chiarimento, lo stesso ha fatto leva sul fatto che “l’Argentina è il risultato di un dialogo tra culture”. Sembra una frase fatta e affrettata, molto simile alla definizione storica “Argentina es un crisol de razas”, ma è il minimo necessario per risolvere una questione destinata già in partenza a suscitare troppe polemiche.

Paolo Cinarelli

Arrivederci Argentina: il videomessaggio dell’Ambasciatore Manzo a conclusione del mandato

“Dopo tre anni e mezzo sto per lasciare l’Argentina, dove ho vissuto un’esperienza straordinaria. Porterò con me una valigia in un più piena di sentimenti per le amicizie fatte di soddisfazioni fatte per il lavoro svolto. Piena di immagini indimenticabili. Un bagaglio di entusiasmo che anche in questi mesi di difficoltà ci spinge a proseguire con forza la nostra missione grazie al patrimonio di amicizia tra Italia e Argentina, nella cultura, nell’impresa, nella scienza”. Con queste parole l’Ambasciatore d’Italia a Buenos Aires, Giuseppe Manzo, ha salutato l’Argentina dopo la conclusione del suo mandato.
“Qui – ha aggiunto in un videomessaggio – ho trovato qualcosa di unico: milioni di persone, migliaia di associazioni e centinaia di città e piccoli centri, teatri di provincia e importanti musei: un patrimonio di italianità che a 12 mila km dall’Italia ogni giorno mi ha ricordato i valori e le radici del mio paese. Ho dedicato ogni giorno del mio lavoro a questo patrimonio, per rinnovarlo, per orientarlo verso l’Italia di oggi e per rafforzarlo, con l’aiuto della più grande comunità italiana nel mondo e puntando sui giovani”.
“Con la mia famiglia – ha concluso Manzo – abbiamo dato tutti noi stessi, ma è forte la sensazione di aver ricevuto di più. Grazie a chi ci ha fatto sentire a casa, a loro e all’Argentina auguro prosperità e benessere. Per loro l’Italia ci sarà sempre. Arrivederci Argentina”. (aise) 

Fonte: Arrivederci Argentina: il videomessaggio dell’Ambasciatore Manzo a conclusione del mandato (aise.it)

A Miami il primo club di amici dello Sportivo Italiano 

Grande emozione e soddisfazione, domenica 27 giugno, nello stadio “Republica de Italia” del Club Sportivo Italiano, per l’istituzione del primo club di amici, con sede a Miami, dell’associazione sportiva. Un grande successo della nuova commissione direttiva e di Marcelo Bomrad, presidente della sottocommissione di RR. dello Sportivo Italiano, membro del Consiglio Direttivo della Camera di Commercio Italiana in Argentina e coordinatore nazionale in Argentina della Lega Salvini premier. Un’unione quella tra Bomrad e lo Sportivo basata su forti motivazioni di lavoro in comune, tanta voglia di fare e la ricerca di successo, come risultato di un’attività quotidiana e costante, garanzia di sempre maggiori trionfi. 

Il Consiglio direttivo di “El Tano”, uno dei soprannomi affettuosi dello Sportivo Italiano, è formato da giovani dinamici e pieni di buona volontà, Antonio Amerise presidente, Christián Iorio, vice presidente primo; Fernando Iantorno, vice presidente secondo; Fabio Chiarbonello, segretario; Andres Rinaldi vice segretario e altri, tutti uniti dall’età, ideali, scopi. Insieme, loro e Bomrad costituiscono un volano che si è proposto di mantenere vivi la cultura italiana e l’orgoglio dell’italianità in Argentina e all’estero, e hanno individuato nel calcio il vettore giusto. Da Miami, li appoggia con altrettanta convinzione e intraprendenza Matías Alvarez Demaldé, appassionato di calcio, che ha avuto l’idea di istituire il primo Gruppo di amici all’estero dello Sportivo Italiano, l’ha realizzata e ha raccolto, tra gli italiani argentini della città nordamericana, la bella somma di 330mila dollari da donare al Club.  

La cerimonia di presentazione del Gruppo di amici a Miami dello sportivo italiano è stata un ampio successo istituzionale ed ha contato anche sulla partecipazione di Michele D’Angelo, presidente del Centro Culturale Italiano, antico amico del Club. Tra i presenti, Gianpaolo Scarton, direttore di BioArs, socio della Camera di Commercio Italiana in Argentina, e riferimento in Argentina del test Covid. L’incontro ha segnato un punto d’inflessione positivo nella storia dell’associazione e ha espresso l’appagamento per gli obiettivi ottenuti. Il presidente Amerise ha dato il benvenuto ai presenti, ha ringraziato il giovane collaboratore per il suo straordinario apporto e ha comunicato che la somma raccolta sarà impiegata per comprare test covid per i bambini e ragazzini che frequentano il club con fini amatoriali. Bomrad ha espresso soddisfazione e ringraziato coloro che collaborano con idee, amore e lavoro, e Matías ha aggiunto un’altra perla alla riunione affermando che la sede di Miami avrà il nome di Enrique Massei, presente in sala, famoso attaccante della squadra di calcio e suo allenatore da anni. Indimenticabile l’emozione di Massei.  

Edda Cinarelli

Nella foto: Bomrad, Alvarez, Amerise e Massei

L’Ambasciatore Manzo riceve la Gran Croce dell’Orden de Mayo

Ambasciatore italiano in Argentina, Giuseppe Manzo è stato ricevuto sabato a Palacio San Martin dal Ministro degli Esteri, Commercio Internazionale e Culto Felipe Solà.
Al termine dell’incontro il Ministro Solà ha presieduto la cerimonia di consegna all’Ambasciatore della Gran Croce dell’Orden de Mayo al Merito per aver contribuito all’approfondimento del “legame fraterno” che unisce le due nazioni.
Durante l’incontro, riporta il ministero degli esteri argentino, Solá ha evidenziato in particolare il lavoro di Manzo, ambasciatore in Argentina dal febbraio 2018, e la promozione di iniziative bilaterali nel campo del commercio, della cultura, della scienza e della tecnologia, evidenziando in particolare il Programma “Italia in 24”.
Durante l’incontro, ambasciatore e ministro hanno fatto il punto anche sulla cooperazione tecnologica-spaziale tra Italia e Argentina, delle sfide comuni poste dalla pandemia di COVID-19 e della necessità di stabilire più meccanismi di solidarietà a livello globale.
Solá ha quindi elogiato il lavoro che il governo italiano ha svolto durante la Presidenza del G20 e ha confermato la sua partecipazione alla riunione ministeriale del Gruppo che si terrà a Matera il prossimo 29 giugno. (aise) 

Fonte: Buenos Aires: l’Ambasciatore Manzo riceve la Gran Croce dell’Orden de Mayo (aise.it)

Le parole italiane nel cuore del mondo: le più usate all’estero

Da popolo di “santi, poeti e navigatori”, a patria della cucina e delle specialità gastronomiche. La società evolve. E, in parallelo, lo fa anche la lingua. Così la parola italiana più conosciuta al mondooggi, è indubbiamente “pizza”, accompagnata però nelle parti alte della particolarissima classifica da altri termini culinari, come “cappuccino” o “spaghetti”.

La cucina mondiale parla italiano

La crescita della diffusione delle parole italiane legate alla cucina nei vocabolari stranieri è evidenziata dall’analisi del libro “L’italiano del cibo”, pubblicato nel 2015 dall’Accademia della Crusca.

Lo studio, effettuato su 66 lingue, ha mostrato come il 70% dei termini nostrani usati abitualmente fuori dai nostri confini nazionali abbiano origine alimentare, con una crescita progressiva con il passare degli anni.
Spaghetti”, sottolinea il professor Lorenzo Coveri, accademico della Crusca, è così presente in 54 dei vocabolari presi in considerazione e “cappuccino” in 40.

Un dato confermato dal sondaggio europeo effettuato dalla Società Dante Alighieri, riportato nel 2017 in un articolo della scuola di lingue di Venezia “Easy Italian Language”.

Insieme ai tre “cibi-parole” già citati, sul gradino più alto del podio si colloca anche “espresso”. E, appena dietro, arrivano “mozzarella” e “tiramisù”, quest’ultimo di origine veneto-friulana.

Solo dopo si cambia ambito, passando alla musica con “bravo” e “allegro”. L’evoluzione è particolarmente evidente in inglese, con il sorpasso di coloro che conoscono il significato di “pizza” e “spaghetti” rispetto a quelli che sanno cosa vuol dire “villa” o “balletto”.

L’italiano nel tempo

“Ci lamentiamo molto dell’invasione delle parole straniere, ma è interessante notare come anche la nostra lingua doni e abbia donato nei secoli molti termini al mondo – commenta Coveri – Ad esempio nel 1500 termini militari come  soldato, caporale, colonnello o di belle arti come facciata, al fresco(affresco), piedistallo; nel 1600 ancora belle arti con i termini cupola e miniatura o teatrali come opera, comparsa, virtuoso; nel 1800 termini come spaghetti o cappuccino legati all’emigrazione degli italiani soprattutto negli Usa; nel 1900 pizza, pizzeria, vespa o anche lambretta”.

Italianismi e parole straniere diventate “nostre”

Il fenomeno della trasmigrazione delle parole di lingua in lingua è insomma continuo e in costante evoluzione.
Da un lato si moltiplicano nel nostro parlare comune i termini stranieri, in particolare inglesi, molti dei quali talmente diffusi da non esserne più percepita l’origine.

Dall’altro, gli stranieri si appropriano di parole italiane, accompagnando così anche l’evoluzione sociale. Perché, sottolinea Coveri, non sono solo le grandi migrazioni a far spostare le parole (oltre che le persone) di Paese in Paese. Anche eventi speciali come, ad esempio, la vittoria dell’Italia ai Mondiali di calcio del 1982, possono determinare un boom anche della nostra lingua. Nello specifico con termini di tecnica calcistica, da “libero” a “tifoso”.

Nel contempo, come visto, cambiano anche gli ambiti. L’Italia che “detta legge” in campo artistico e musicale viene così nel tempo superata da quella che dà il meglio di sé ai fornelli. Sdoganando, in questo modo, anche la parte più verace del nostro Paese: quella che si esprime nella vita di tutti i giorni in dialetto, i cui termini gastronomici passano così direttamente dalla stretta dimensione locale a quella globale. Senza necessità di quel fenomeno di intermediazione che, ad esempio, ha portato dallo “sciao” (“schiavo vostro”, come omaggio all’interlocutore) veneziano, al “ciao” , una delle parole italiane più conosciute al mondo.

Una lingua che piace

C’è di più. “E’ questo un momento questo  in cui c’è una forte simpatia verso l’italiano in tutti i settori – rileva ancora Coveri -. Si pensi per esempio alla musica. Il fatto che i Maneskin cantino  in italiano e non in inglese pur facendo del rock, è un fenomeno interessante per la presenza italiana nel mondo”.

Va letto in questo senso anche l’esito di uno studio, riportato da Easy Italian Language, dal quale emerge una curiosa conferma: ci sono popoli, come i Giapponesi, che si appropriano delle parole italiane a volte solo per la loro musicalità.

L’italian sounding

Le sfaccettature, nei rapporti linguistici, sono però estremamente variegate. Le eccellenze italiane riconosciute a livello mondiale, e qui si torna ancora in primis alla cucina, condizionano ad esempio la creazione di neologismi che richiamano la lingua del nostro Paese.

Senza addentrarci nel fenomeno della concorrenza commerciale sleale, che “spaccia” per italiani formaggi stranieri solo in apparenza simili a nostri prodotti dop, non è un’invenzione quella del turista che viene da noi curioso di gustare “the real italian moka-cioca-cino”.

L’italianismo di ritorno

Particolare è anche il fenomeno dell’italianismo di ritorno. Ovvero di quei termini che nascono italiani, si affermano modificati all’estero e poi tornano nel nostro linguaggio come apparenti “furti” a un idioma straniero.

Sempre in ambito alimentare, “baguette” è semplicemente il francesismo per il nostro “bacchetta”. La “ciabatta” polesana, per chiudere il cerchio continuando a parlare di pane, ha invece iniziato a diffondersi nel mondo con il suo nome.

Dalle parole allo stile. E viceversa

“Un caso interessante – racconta il professor Coveri -è quello di Starbucks, la nota catena che riprende lo stile italiano del caffè: se noi prendiamo il menu  vediamo che ci sono un sacco di italianismi che Starbucks ha indicato come marchi registrati  come latte macchiato o le quantità dei bicchieri come “grande”. A new york ad esempio mi è capitato di vedere sulle camicette dei ragazzi che servono al banco l’etichetta con la scritta barista”.

Fonte: Le parole italiane nel cuore del mondo: le più usate all’estero (metropolitano.it)

Referendum del 2 giugno 1946: storia di una spaccatura

Oggi si celebra il settantacinquesimo anniversario della Repubblica Italiana, il 2 giugno 1946, infatti, il popolo italiano fu chiamato a scegliere con suffragio universale tra la Monarchia e la Repubblica, occasione in cui le donne votarono per la prima volta. Il risultato del Referendum fu inficiato da sospetti di brogli probabilmente ingiustificati ma se le irregolarità non ci furono, è indiscusso che il suffragio si realizzò in un clima influenzato dalle potenze che avevano vinto la guerra: USA, Gran Bretagna, Francia, che non avevano mai ritenuto l’Italia loro pari. Per ricordare il clima di diffidenza verso il risultato del voto si ricorda che il giornale Italia Nuova scrisse che i votanti sarebbero dovuti essere ventuno milioni invece furono ventitré milioni e mezzo. Comunque numeri in mano la Repubblica ottenne 12.718.641, pari al 54,3% degli elettori, la Monarchia 10.718.502 e le schede nulle o bianche furono 1.498.136. La forbice fu di circa un milione e ottocentomila voti.

Al referendum non parteciparono la popolazione di Bolzano, che aveva 297.000 abitanti, né quella di Trieste con 345.000 abitanti, né i prigionieri di guerra, che dovevano ancora tornare, stimati intorno agli 800 mila né possiamo supporre come avrebbero votato. L’Italia entrata in guerra dalla mano del governo fascista il 10 giugno 1940, accanto alla Germania e contro la Francia e l’Inghilterra, nel 1943, dopo la caduta del governo fascista 25 luglio 1943, deposizione di Mussolini e inizio del governo Badoglio, aveva firmato il 3 settembre un armistizio con gli alleati ed era passata da amica dei tedeschi e nemica degli Inglesi, Francesi e USA nella posizione opposta, i nemici erano diventati amici. L’armistizio fu reso pubblico l’8 settembre data che segnò l’inizio della Resistenza, lo stesso giorno il Re e Badoglio scapparono lasciando in una sensazione di abbandono la maggior parte della popolazione italiana che probabilmente li considerò dei traditori. Dal 3 all’8 settembre milioni di tedeschi invasero l’Italia centro-settentrionale che, da quel momento, si trasformò per poco meno di due anni in un campo di battaglia tra le forze tedesche solidamente e le truppe alleate.

Concretamente a prescindere dai supposti brogli probabilmente infondati, il risultato del Referendum mostrò un’Italia spaccata in due, esattamente come ora. Finì una tappa e ne iniziò un’altra che dura tuttora.

Edda Cinarelli

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