Da popolo di “santi, poeti e navigatori”, a patria della cucina e delle specialità gastronomiche. La società evolve. E, in parallelo, lo fa anche la lingua. Così la parola italiana più conosciuta al mondo, oggi, è indubbiamente “pizza”, accompagnata però nelle parti alte della particolarissima classifica da altri termini culinari, come “cappuccino” o “spaghetti”.
La cucina mondiale parla italiano
La crescita della diffusione delle parole italiane legate alla cucina nei vocabolari stranieri è evidenziata dall’analisi del libro “L’italiano del cibo”, pubblicato nel 2015 dall’Accademia della Crusca.
Lo studio, effettuato su 66 lingue, ha mostrato come il 70% dei termini nostrani usati abitualmente fuori dai nostri confini nazionali abbiano origine alimentare, con una crescita progressiva con il passare degli anni.
“Spaghetti”, sottolinea il professor Lorenzo Coveri, accademico della Crusca, è così presente in 54 dei vocabolari presi in considerazione e “cappuccino” in 40.
Un dato confermato dal sondaggio europeo effettuato dalla Società Dante Alighieri, riportato nel 2017 in un articolo della scuola di lingue di Venezia “Easy Italian Language”.
Insieme ai tre “cibi-parole” già citati, sul gradino più alto del podio si colloca anche “espresso”. E, appena dietro, arrivano “mozzarella” e “tiramisù”, quest’ultimo di origine veneto-friulana.
Solo dopo si cambia ambito, passando alla musica con “bravo” e “allegro”. L’evoluzione è particolarmente evidente in inglese, con il sorpasso di coloro che conoscono il significato di “pizza” e “spaghetti” rispetto a quelli che sanno cosa vuol dire “villa” o “balletto”.
L’italiano nel tempo
“Ci lamentiamo molto dell’invasione delle parole straniere, ma è interessante notare come anche la nostra lingua doni e abbia donato nei secoli molti termini al mondo – commenta Coveri – Ad esempio nel 1500 termini militari come soldato, caporale, colonnello o di belle arti come facciata, al fresco(affresco), piedistallo; nel 1600 ancora belle arti con i termini cupola e miniatura o teatrali come opera, comparsa, virtuoso; nel 1800 termini come spaghetti o cappuccino legati all’emigrazione degli italiani soprattutto negli Usa; nel 1900 pizza, pizzeria, vespa o anche lambretta”.
Italianismi e parole straniere diventate “nostre”
Il fenomeno della trasmigrazione delle parole di lingua in lingua è insomma continuo e in costante evoluzione.
Da un lato si moltiplicano nel nostro parlare comune i termini stranieri, in particolare inglesi, molti dei quali talmente diffusi da non esserne più percepita l’origine.
Dall’altro, gli stranieri si appropriano di parole italiane, accompagnando così anche l’evoluzione sociale. Perché, sottolinea Coveri, non sono solo le grandi migrazioni a far spostare le parole (oltre che le persone) di Paese in Paese. Anche eventi speciali come, ad esempio, la vittoria dell’Italia ai Mondiali di calcio del 1982, possono determinare un boom anche della nostra lingua. Nello specifico con termini di tecnica calcistica, da “libero” a “tifoso”.
Nel contempo, come visto, cambiano anche gli ambiti. L’Italia che “detta legge” in campo artistico e musicale viene così nel tempo superata da quella che dà il meglio di sé ai fornelli. Sdoganando, in questo modo, anche la parte più verace del nostro Paese: quella che si esprime nella vita di tutti i giorni in dialetto, i cui termini gastronomici passano così direttamente dalla stretta dimensione locale a quella globale. Senza necessità di quel fenomeno di intermediazione che, ad esempio, ha portato dallo “sciao” (“schiavo vostro”, come omaggio all’interlocutore) veneziano, al “ciao” , una delle parole italiane più conosciute al mondo.
Una lingua che piace
C’è di più. “E’ questo un momento questo in cui c’è una forte simpatia verso l’italiano in tutti i settori – rileva ancora Coveri -. Si pensi per esempio alla musica. Il fatto che i Maneskin cantino in italiano e non in inglese pur facendo del rock, è un fenomeno interessante per la presenza italiana nel mondo”.
Va letto in questo senso anche l’esito di uno studio, riportato da Easy Italian Language, dal quale emerge una curiosa conferma: ci sono popoli, come i Giapponesi, che si appropriano delle parole italiane a volte solo per la loro musicalità.
L’italian sounding
Le sfaccettature, nei rapporti linguistici, sono però estremamente variegate. Le eccellenze italiane riconosciute a livello mondiale, e qui si torna ancora in primis alla cucina, condizionano ad esempio la creazione di neologismi che richiamano la lingua del nostro Paese.
Senza addentrarci nel fenomeno della concorrenza commerciale sleale, che “spaccia” per italiani formaggi stranieri solo in apparenza simili a nostri prodotti dop, non è un’invenzione quella del turista che viene da noi curioso di gustare “the real italian moka-cioca-cino”.
L’italianismo di ritorno
Particolare è anche il fenomeno dell’italianismo di ritorno. Ovvero di quei termini che nascono italiani, si affermano modificati all’estero e poi tornano nel nostro linguaggio come apparenti “furti” a un idioma straniero.
Sempre in ambito alimentare, “baguette” è semplicemente il francesismo per il nostro “bacchetta”. La “ciabatta” polesana, per chiudere il cerchio continuando a parlare di pane, ha invece iniziato a diffondersi nel mondo con il suo nome.
Dalle parole allo stile. E viceversa
“Un caso interessante – racconta il professor Coveri -è quello di Starbucks, la nota catena che riprende lo stile italiano del caffè: se noi prendiamo il menu vediamo che ci sono un sacco di italianismi che Starbucks ha indicato come marchi registrati come latte macchiato o le quantità dei bicchieri come “grande”. A new york ad esempio mi è capitato di vedere sulle camicette dei ragazzi che servono al banco l’etichetta con la scritta barista”.
Fonte: Le parole italiane nel cuore del mondo: le più usate all’estero (metropolitano.it)