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October 2020 - page 2

Rivendicando il merito di Cristoforo Colombo – di Alberto Fioretti

Cristoforo Colombo rimane, ancora dopo secoli, un personaggio molto enigmatico. Le sue origini, personalità e traiettoria sono seminati da opinioni divise, teorie contrastanti, calunnie, leggende e molte speculazioni. Paesi come l’Italia, la Spagna e il Portogallo, si sono contesi la sua cittadinanza. All’interno dell’Italia stessa, si discute ancora se il Navigatore fosse genovese, bensì provenisse da una località del Piemonte o se fosse nato addirittura in Sardegna.

La sua data di nascita è incerta, si dice che fosse tra i mesi di agosto e ottobre, fra il 1447 e il 1451. Anche le sue origini familiari sono tema di polemiche. Secondo alcune ricerche al quanto solide, il Navigatore non era affatto figlio di un umile artigiano tessile. C’è l’ipotesi che egli fosse in realtà un membro della nobile famiglia aristocratica “Colombo” di Cuccaro, del marchesato del monferrato in Piemonte”. A parlarne in questo giorno dove si celebra il giorno della cosiddetta “scoperta dell’America”, è Alberto Fioretti, su quest’articolo pubblicato su “Il Corriere di Panama”, quotidiano italiano online edito nel paese centroamericano.

Riscoprendo Colombo.
Tutti concordano sul fatto che suo padre si chiamava Domenico Colombo. Molti testi sostengono che si trattava di un artigiano tessile genovese che sposò Susanna di Fontanarossa e che “Cristophoro” era uno dei suoi quattro figli.

Tuttavia, d’altra parte si sostiene che suo padre, era di nobile origine: Signore di Cuccaro, e sua madre, non era Susanna, ma, una certa Marietta, nobile signora dei marchesi di Ceva, Signori di Lesegno.

I sostenitori della nobile origine del famoso navigatore, sottolineano che il padre di Marietta, presunto nonno, si chiamava anche lui con l’insolito nome di Cristoforo. Si dice anche che l’ammiraglio mantenesse stretti legami di parentela con famiglie araldiche piemontesi come i Monferrato e i Savoia; con potenti famiglie genovesi come gli Spinola, i Fieschi e i Fregoso. Questo può spiegare come egli è stato in grado di accedere ed essere ben accolto delle Corti del Portogallo e della Castiglia. Ció chiarirebbe anche come è stato in grado di sposare in Portogallo l’aristocratica Felipa Muñiz Pierestelo, con la quale ha avuto un solo figlio, Diego, anche se sembra non fosse l’unico.

Gli storici Boccianti e Biagioli contribuiscono a complicare la faccenda, affermando con certezza che Cristoforo non era il figlio biologico di Domenico e Susanna, ma il risultato di un rapporto subdolo suscitato a Napoli tra i nobili Gianbattista Cibo e Anna Colonna. Suo padre diventó poi cardinale di Genova e in seguito salì al trono di San Pietro sotto il nome di Papa Innocenzo VIII. Sbalorditi vero? Proprio come si legge: Cristoforo Colombo potrebbe essere il figlio illegittimo di un Papa, dato in adozione a Domenico e Susanna a Genova.

Lo studioso Ruggero Marino, che afferma di essere l’autore della teoria auspicata da Boccianti e Biaggioli, aggiunge che nel Vaticano riposano prove sufficienti in quanto il viaggio di Colombo è stato in realtà un’iniziativa della Chiesa, proprio di Papa Innocenzo VIII. L’ammiraglio sarebbe stato un inviato del Papato, a cambio del quale i monarchi cattolici dovevano finanziare una nuova crociata in Terra Santa per liberare Gerusalemme e il Santo Sepolcro. Questa teoria sarà rispondevole? Chi lo sa, ma spesso le immagini contano più della cronaca e in questo caso attira l’attenzione, il fatto che in diverse illustrazioni, legate all’arrivo di Colon in America, una croce è chiaramente mostrata: una croce templare, simbolo delle crociate.

Un uomo nobile e colto.
Approfondendo sulla personalità dell’ammiraglio, Ruggero Marino ci illustra un carattere di statura morale e intellettuale decisamente superiore alla media dell’epoca e di ciò che ci è stato raccontato per più di cinquecento anni attraverso una falsa tradizione basata sulla calunnia. Cristoforo Colombo era uno scienziato, un rinomato navigatore, che senza dubbio aveva nozioni di alchimia e persino di cabala, come era consuetudine all’epoca.

La scrittura del Navigatore impressiona con la sua vivacità e il suo ritmo sorprendente. L’analisi grafologica rivela una mente acuta, dotata di intuizione e creatività, di un’intelligenza raffinata, incline alla curiosità e allo spirito di osservazione. Il pensiero, originale, è sempre aperto alla novità. Colombo scriveva con perfetta calligrafia. Le sue lettere rivelarono sempre grandi contenuti concettuali e un pensiero profondo. La sua cultura si estendeva ai testi cristiani, islamici ed ebraici. Un umile marinaio potrebbe avere avuto tale bagaglio culturale in un mondo come allora, dove dominava l’analfabetismo?

L’Almirante e l’Università.
Questa domanda ci porta a rivelare il rapporto di Cristoforo Colombo con l’Università della città di Pavia, dato che c’è una fondata ipotesi che l’ammiraglio abbia imparato le prime nozioni nautiche proprio lì.

Va notato che molti studiosi genovesi non hanno mai accettato il fatto che Colombo possa aver studiato a Pavia.

Tuttavia a sostegno della relazione fra il navigante e l’Università c’è Fernando Colombo, nel suo libro “Historie” pubblicato nel 1521. Oltre a lui Bartolomé de Las Casas, amico personale dell’ammiraglio. Per rafforzare queste affermazioni, dobbiamo notare che, nel 1800 è stata istituita una commissione presieduta dall’allora rettore dell’Università di Genova, che ha concluso senza dubbio che Cristoforo Colombo aveva studiato a Pavia. Tuttavia, nel secolo successivo questa dichiarazione è stata rimessa in discussione.

La circostanza di Pavia ci riporta alle origini familiari di Colombo, sostenendo la teoria che Domenico, suo padre, non poteva essere un umile artigiano tessile. Come avrebbe potuto darsi il lusso di mandare suo figlio a studiare allo “Studium Ticinense”, come allora si chiamava l’Università di Pavia?

Non si deve perciò escludere che la famiglia dell’ammiraglio sia effettivamente venuta da Cuccaro, in Piemonte, dove era nobile e feudale sotto il marchesato del Monferrato e da dove era stata cacciata dall’invasione dei Visconti di Milano. Domenico, il padre di Colombo, sarebbe stato quindi un nobile decadente che, tuttavia in fuga verso Genova, rimase legato a potenti famiglie in quella città.

Un italiano con un progetto.
Il fatto è che il contesto storico, con l’occupazione di Costantinopoli da parte dei turchi, ci presenta un declino del commercio con l’Asia, a causa della difficoltà di transitare la tradizionale via di terra stabilita da un altro grande personaggio come Marco Polo. Questo costringe l’Europa a cercare alternative alle rotte commerciali. Si sollevarono varie teorie. Nel XV secolo, il portoghese Enrico il Navigatore propose una rotta di mare lungo le coste africane, per raggiungere l’Asia.

Un’altra tesi fu quella del saggio fiorentino Paolo Pozo Toscanelli, che sosteneva che salpando dalla Gomera, una delle Isole Canarie, 3.540 miglia nautiche, sempre in direzione ovest attraverso l’Atlantico, si sarebbe raggiunto Cipango (nome con cui il Giappone era conosciuto).

Così il futuro “scopritore” comincia a coltivare l’idea di trovare, attraverso la navigazione, un percorso che porti l’Europa a contatto con l’Oriente. Concepisce un progetto basato sulla tesi di Toscanelli. Nel 1484 e più tardi nel 1488, l’ammiraglio chiese al re del Portogallo, Giovanni II, finanziamenti per effettuare la spedizione, ma in entrambe le occasioni ottenne una risposta negativa perché il Sovrano considerava corretta la tesi di Enrico il Navigatore.

In considerazione di questa situazione Colombo cerca un’altra forma di finanziamento e attraverso il duca di Medinacelli, si recò per la prima volta ai Monarchi Cattolici, ad Alcalà de Henares, nel gennaio 1486, ricevendo anche qui il rifiuto al progetto.

Nel 1491 Cristoforo Colombo, dopo il secondo rifiuto del re di Portogallo, ha avuto una nuova opportunità, grazie al suo fedele amico, Frate Juan Pérez, uno dei confessori titolari della regina Isabella di Castiglia, per presentare e difendere il progetto davanti a Sua Maestà. In quell’occasione ebbe il sostegno di Luis de Santangel, di origine ebraica, che offrì 140.000 Maravedies che coprirono gran parte del viaggio. Così sorgono le Capitolazioni di Santa Fe o Trattato Colombino tra la Corona spagnola e il famoso Ammiraglio.

Quattro viaggi per svelare l’America.
Così Colombo ottenne finanziamenti per svolgere quelli che poi saranno quattro viaggi dai porti spagnoli di Cadice e Palos de Moguer, al nuovo continente che fu battezzato l’America. Colombo salpò da Puerto Palos per la prima volta il 3 agosto 1492, con tre navi: Santa Maria, Niña e Pinta. Arrivò a San Salvador, oggi Bahamas, dove il leggendario grido “Terra, terra, terra…” fu prodotto il 12 ottobre 1492, pronunciato, tra sorpresa e incredulità, da Rodrigo de Triana, soldato e disertore, più che marinaio, dalla caravella Pinta.

Il secondo viaggio in partenza da Cadice iniziò il 25 settembre 1493. Poi un terzo viaggio il 30 maggio 1498.
Cristoforo Colombo ormai era convinto di non essere arrivato in Asia e non giaceva di fronte al proposito di trovare un passaggio fra le nuove terre per continuare la rotta verso l’Oriente. Ciò lo indusse a trascurare e delegare il governo locale mentre programmava ed eseguiva y susseguenti viaggi.

Il tallone d’Achille di Colombo.
A questo punto della storia è quando il record ineccepibile dell’Ammiraglio viene macchiato da una gestione chiaramente negligente nelle competenze terrenali, affidate in gran parte ai suoi fratelli Bartolomeo e Diego a la Hispaniola (oggi Santo Domingo), che era diventata la sede del potere locale.

Il confronto tra tribù e coloni non fu adeguatamente gestito dall’Ammiraglio che non aveva come sovrano pari doni a quelli di navigatore. Sorsero atti di vendetta, tortura e oppressione, che Cristoforo Colombo non fermò o punì correttamente o in modo tempestivo.

La situazione sembrava fuori controllo e la Corona decise di intervenire. Il marinaio colto e incomparabile, sognatore di spedizioni impensabili e impossibili, fu poi arrestato da Francisco Bobadilla, investito con i poteri dalla Corona. Contro alcune versioni, l’Ammiraglio non solo non resistette, ma invitò i suoi fratelli ad arrendersi. La sua fedeltà ai Re era indiscutibile. Cristoforo Colombo era allora un uomo stanco, che aveva visto la vanità e gli onori svanire, in uno scenario più che ingiusto. In un viaggio drammatico, uno degli uomini indicato dalla storia, per occupare un posto unico e irraggiungibile per i comuni mortali, fu riportato in Spagna per inginocchiarsi di fronte a Sua Maestà.

Forse il più palese torto dell’Ammiraglio, causa di un grosso malinteso con la Regina, fu quello di iniziare a imbarcare e inviare verso la Spagna, a scopo di lucro, schiavi cannibali.

Le sue divergenze con la Corona furono presto acqua passata, attenuate dalle giustificazioni dell’Ammiraglio e dagli atti di contrizione. La Regina non considerò di più in là che tagliare alcuni dei suoi poteri. Riabilitato agli occhi della Corona, Cristoforo Colombo, intraprese il suo quarto e ultimo viaggio, salpando sempre da Cadice, il 3 aprile 1502.

Il tramonto dell’ammiraglio.
Colombo rientra definitivamente in Spagna nel novembre del 1504, dopo dodici anni di viaggi tra la Spagna e il Nuovo Continente. Era in condizioni fisiche deplorevoli, privato di tutta la sua arguzia, abilità politica, diplomazia e sorriso caratteristico. Pochi giorni dopo, la sua protettrice, la regina Isabella, morì.

Colombo visse per alcuni mesi a Siviglia, poi si trasferì a Valladolid, dove morì il 20 maggio 1506, dopo aver ricevuto i sacramenti. Le sue ultime parole furono: “Nelle tue mani, Signore, affido il mio spirito”.

Re Ferdinando spostò i suoi resti al monastero di Cartujos a Siviglia nel 1509 e fu inciso sulla sua tomba, il seguente epitaffio:
“Da Castiglia e da Leon, il Nuevo Mundo ha scoperto Colombo.”
Colombo muore ancora una volta in questa vita, gettato tra le braccia della calunnia e condannato dai suoi errori, piuttosto che elevato allo status di mito a causa della sua incredibile impresa.

Il destino non ha permesso nemmeno che il nome del nuovo continente fosse ispirato al suo. Solo la Colombia è stato il paese a volerlo ricordare.

Incertezza sui suoi resti.
L’ignoto ha perseguito l’illustre Navigatore oltre la sua morte. La discussione degli esperti si concentra anche sul tentativo di chiarire dove Colombo è effettivamente sepolto.

E la verità è che il dubbio sembra ragionevole, considerando che i suoi resti mortali hanno viaggiato quasi quanto il Lui in vita.

Si dice che nel 1523 i resti di Cristoforo Colombo furono trasferiti insieme a quelli di suo figlio Diego, sull’isola di Hispaniola. Lì, nella Cattedrale di Santo Domingo, il suo corpo ha riposato fino a quando nel 1795 la Spagna cedette alla Francia l’intera isola a seguito del Trattato di Basilea. I loro corpi furono nuovamente riesumati e trasferiti nella Cattedrale dell’Avana, fino a quando Cuba ottenne l’indipendenza dalla Spagna nel 1898 e i resti di Colombo tornarono a Siviglia per essere sepolti nella sua cattedrale.

Tuttavia, sia la Spagna che la Repubblica Dominicana continuano a garantire fino ad oggi che i resti mortali di Colombo rimangano nel suo territorio. La Spagna basa la sua affermazione sui test del DNA condotti sulle ossa. Repubblica Dominicana dalla sua parte sostiene che i resti dell’Ammiraglio non hanno mai lasciato l’isola, dato che il 10 settembre 1877, mentre alcuni lavori erano in corso nella Chiesa metropolitana della capitale caraibica, alcuni muratori hanno trovato una scatola di metallo che portava la scritta “Cristoforo Colombo” e conteneva resti di ossa.

La verità è che di fronte a questa constatazione, alla presenza di monsignor Rocco Cocchia, delegato apostolico alle Repubbliche di Santo Domingo, Haiti e Venezuela, sono state confezionate tre ampolle di vetro contenenti, ognuna, una piccola quantità di ceneri, presumibilmente di Cristoforo Colombo. Queste vesciche erano destinate rispettivamente al Pontefice, alla città di Genova e all’Università di Pavia. Le ampolle lasciarono Santo Domingo solo tre anni dopo, il 25 marzo 1880, con un atto firmato dallo stesso monsignor Cocchia, con i sigilli del notaio Joaquin Maria Perez e del console italiano a Santo Domingo, Luigi Cambiasso.

L’eredità di Colombo.
Contro ogni opinione, contaminata dall’ideologia, l’impresa del noto Navigatore genera, con la sua colossale “rivelazione”, l’impulso decisivo per un’espansione economica senza precedenti della civiltà europea. È il punto di partenza per la conquista e la colonizzazione, da parte di varie potenze occidentali, del continente americano, con la terribile inerzia delle guerre e dei conflitti sorti tra di loro, per capitalizzare i benefici di quel nuovo mercato.

Tuttavia, Cristoforo Colombo non può essere giudicato, figuriamoci incolpato, per alcuni tristi capitoli della storia che sono venuti dopo la scoperta.

Dobbiamo imparare a contestualizzare i fatti del passato. Il pensiero moderno è molto diverso da quello di cinquecento anni fa. Le azioni passate devono essere osservate e valutate nella loro complessità e non giudicate in retrospettiva.

Al momento della scoperta del nuovo continente e nei secoli a venire, l’occupazione, il dominio e l’evangelizzazione erano pratiche comuni e ammesse in tutto il mondo. Tuttavia Colombo venne in America sotto l’egida dei Monarchi Cattolici che coltivarono un progetto che era originariamente molto diverso da quello della fredda dominazione.

Con tutti i suoi limiti, peccati e deviazioni, Cristoforo Colombo è stato l’architetto di un progetto culturale grandioso e rischioso che ha favorito, tra le altre cose, l’evangelizzazione delle popolazioni indigene, molte delle quali immerse nel paganesimo e nella pratica di riti crudeli, selvaggi e barbarici.

L’attacco alla memoria storica.
Tanto meno favoriscono il panorama i recenti deplorevoli atti di vandalismo e irrazionalità, che sono stati diretti contro l’immagine dell’illustre Navigatore, mascherati sotto la bandiera “dell’antirazzismo”.

Imbarazzante, ad esempio, quello che si è verificato di recente nella capitale dello Stato dell’Ohio, dove la statua dedicata a Cristoforo Colombo è stata rimossa. Il sindaco democratico Andrew Ginther aveva dichiarato che la statua “rappresentava il patriarcato, l’oppressione e la divisione”. È abbastanza strano se consideriamo che la città si chiama Columbus in onore del noto Ammiraglio.

Rimuovere il passato, demolire le statue dei suoi protagonisti, cancellare i loro nomi dalle strade, impedire che si parli nelle scuole e nelle università, sono pretese ideologiche. Storicamente sono sorti molti movimenti violenti, come quello dei “Black Lives Matter”, che ora ha nel mirino l’ammiraglio italiano. Sono sempre nati in nome della giustizia e poi portano alla rivoluzione, con l’unico obiettivo di scalare al potere. Dove si è visto che coloro che agiscono in nome della giustizia mettono intere città a ferro e fuoco, distruggono simboli e rimuovono statue?
Le accuse dei cosiddetti “movimenti per i diritti civili” contro lo scopritore d’America hanno portato alcuni Stati americani a pensare all’abolizione del Columbus Day, una festa ormai tradizionale a cui partecipa la comunità italo-americana, pretendendo trasformare quel giorno in “Indigenous Day”.

É opportuno ricordare il precedente in Venezuela. Nel 2002, l’allora presidente Hugo Chavez firmò un decreto con il quale il tradizionale “Giorno della Razza” fu ribattezzato “Giorno della Resistenza Indigena”. Due anni dopo, il 12 ottobre 2004, diversi gruppi violenti legati alla sua rivoluzione abbattevano la statua di Colombo, che si trovava nella centrale Piazza Venezuela della capitale.

Cristoforo Colombo “non si tocca”.
In difesa di uno dei simboli italiani nel mondo, scende in piazza il presidente degli USA Donald Trump affermando come l’impresa coraggiosa di Colombo abbia ispirato tanti altri a perseguire i propri sogni e convinzioni anche di fronte a grandi incertezze e ostacoli. Ha inoltre sottolineato gli stretti legami tra gli Stati Uniti e il paese di origine del Navigatore, l’Italia, sottolineando che Cristoforo Colombo “rappresenta la ricca storia dell’importante contributo italo-americano alla crescita e allo sviluppo della nostra nazione”.

Nel frattempo, un gran numero di cittadini di New York, si é rivolta al sindaco Bill Di Blasio, avvertendolo di non cedere alle richieste di rimuovere la statua dell’Ammiraglio che è stata eretta dal 1892 a Columbus Circle”. (aise)

Fonte https://www.aise.it/rassegna-stampa/rivendicando-il-merito-di-cristoforo-colombo-di-alberto-fioretti/151347/157

Rientro dall’estro: nuovo focus MAECI

Nuovo focus con ulteriori aggiornamenti per i cittadini italiani in rientro dall’estero e per i cittadini stranieri in Italia: lo ha diffuso oggi la Farnesina illustrando le ultime misure in vigore sul territorio nazionale e le più recenti disposizioni sugli spostamenti da e per l’estero, alla luce delle ordinanze del 7 ottobre.

Dalla pagina dedicata sul sito del Maeci è possibile scaricare il modello di autodichiarazione in caso di entrata in Italia dall’estero e compilare il questionario informativo.

Il testo del Focus

LE MISURE SUL TERRITORIO NAZIONALE

Il Consiglio dei Ministri ha deliberato, il 7 ottobre 2020, la proroga dello stato di emergenza sul territorio nazionale fino al 31 gennaio 2021, in conseguenza del rischio sanitario connesso alla diffusione di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, con particolare riferimento al nuovo coronavirus SARS-CoV-2 e alla patologia ad esso associata, COVID-19.

Fino all’adozione di un nuovo Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM), prevista entro il 15 ottobre, continua ad applicarsi quanto stabilito con il DPCM 7 agosto 2020 e con il DPCM 7 settembre 2020.
Il DPCM 7 agosto 2020, tra le altre cose, ha disciplinato gli spostamenti da/per l’estero dal 9 agosto al 7 settembre 2020.

Il DPCM 7 settembre 2020 ha prorogato, con alcune, lievi modifiche ed integrazioni, la disciplina degli spostamenti da/per l’estero già contenuta nel decreto del 7 agosto 2020, dall’8 settembre al 7 ottobre 2020. Il 7 ottobre, oltre alla proroga dello stato di emergenza, è stata approvata anche una nuova Ordinanza del Ministro della Salute, che prevede alcune variazioni rispetto all’elenco dei Paesi al rientro dai quali vige l’obbligo del test molecolare o antigenico.

La disciplina contenuta nel DPCM 7 agosto, DPCM 7 settembre e nell’Ordinanza del 7 ottobre rimane in vigore fino al 15 ottobre.

Possono ancora essere disposte limitazioni per specifiche aree del territorio nazionale o specifiche limitazioni in relazione alla provenienza da specifici Stati e territori esteri.

Singole Regioni potrebbero imporre a chi proviene da alcuni Stati o territori esteri il rispetto di particolari obblighi. Prima di partire per rientrare in Italia, si raccomanda di verificare eventuali disposizioni aggiuntive da parte delle Regioni di destinazione, contattandole direttamente o visitandone i rispettivi siti web (clicca qui).

È disponibile un questionario per chi è in partenza per l’estero o deve rientrare in Italia, basato sulla normativa italiana attualmente in vigore. Il questionario ha carattere meramente informativo, non ha valore legale e il risultato ottenuto non garantisce l’ingresso in Italia né nel Paese di destinazione.

In caso di dubbi, per il rientro in Italia si raccomanda di contattare la Polizia di Frontiera, la Prefettura o l’Azienda Sanitaria competente per territorio. Per spostamenti dall’Italia all’estero, si raccomanda di consultare la Scheda Paese di interesse su ViaggiareSicuri e di prendere contatto anche con l’Ambasciata o il Consolato del Paese di interesse in Italia.

SPOSTAMENTI DA E PER L’ESTERO

Il nuovo DPCM 7 settembre 2020 ha ripreso i precedenti elenchi contenuti nell’Allegato 20 del DPCM 7 agosto e li ha meglio precisati nell’Allegato C, che continua ad individuare 6 gruppi di Paesi, per i quali sono previste differenti limitazioni.

A – San Marino e Città del Vaticano: nessuna limitazione.

B – PAESI UE (tranne la Romania, che fa parte dell’elenco C, e con specifiche disposizioni per Belgio, intera

Francia, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Spagna), SCHENGEN, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (con specifiche disposizioni indicate di seguito), Andorra, Principato di Monaco: sono consentiti senza necessità di motivazione, quindi anche per TURISMO, e senza obbligo di isolamento al rientro, gli spostamenti da/per i Paesi dell’UE. Rimane l’obbligo di compilare un’autodichiarazione. Con Ordinanza del Ministro della Salute 21 settembre 2020, in vigore dal 22 settembre e fino al 15 ottobre 2020, alla Bulgaria, precedentemente in elenco C, si applica la disciplina prevista per l’elenco B.

Belgio, intera Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Spagna, (come da Ordinanza del Ministro della Salute del 7 ottobre 2020, in vigore dall’8 ottobre e fino al 15 ottobre 2020): coloro che entrano/rientrano in Italia da questi Paesi (dopo soggiorno o anche solo transito nei 14 giorni precedenti l’ingresso in Italia), oltre a compilare un’autodichiarazione, devono anche:

a) presentare un’attestazione di essersi sottoposti, nelle 72 ore antecedenti all’ingresso nel territorio nazionale, ad un test molecolare o antigenico, effettuato per mezzo di tampone e risultato negativo;
in alternativa
b) sottoporsi ad un test molecolare o antigenico, da effettuarsi per mezzo di tampone, al momento dell’arrivo in aeroporto, porto o luogo di confine (ove possibile) o entro 48 ore dall’ingresso nel territorio nazionale presso l’azienda sanitaria locale di riferimento.

Le persone che hanno soggiornato o transitato in questi Paesi nei 14 giorni precedenti l’arrivo in Italia devono anche comunicare il loro ingresso nel territorio italiano al Dipartimento di Prevenzione dell’Azienda Sanitaria competente. Gli stessi casi di eccezione indicati dal DPCM 7 agosto 2020, all’articolo 6, commi 6 e 7, per isolamento e sorveglianza sanitaria, si estendono anche all’obbligo di tampone.

Non rientrano più in questo sotto-elenco, dall’8 ottobre, Croazia, Grecia e Malta, dai quali non è più richiesto il test molecolare o antigenico all’ingresso in Italia.

ATTENZIONE: l’Allegato C del DPCM 7 settembre 2020 chiarisce che rientrano nell’elenco E tutti i territori francesi, britannici e olandesi, comunque denominati, collocati al di fuori del continente europeo. Rientrano invece nell’elenco B: le isole Far Oer, la Groenlandia, le isole Svalbard e Jan Mayen, Gibilterra, Isole del Canale, Isola di Man, basi britanniche nell’isola di Cipro, Azzorre e Madeira, territori spagnoli nel continente africano.
La rimozione delle limitazioni agli spostamenti dall’Italia verso alcuni Paesi non esclude che questi Paesi possano ancora porre dei limiti all’ingresso. Si raccomanda di consultare sempre la Scheda del Paese di interesse su ViaggiareSicuri, per verificare eventuali restrizioni all’ingresso da parte delle Autorità locali.

C – Romania: sono consentiti gli spostamenti per qualsiasi ragione da/per questi Paesi ma, al rientro in Italia, vige l’obbligo di isolamento fiduciario e sorveglianza sanitaria, è necessario compilare un’autodichiarazione e si può raggiungere la propria destinazione finale in Italia solo con mezzo privato (è consentito il transito aeroportuale, senza uscire dalle zone dedicate dell’aerostazione). Alla Bulgaria, dal 22 settembre (giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Ordinanza 21 settembre 2020 del Ministro della Salute), si applica la disciplina prevista per i Paesi UE (elenco B). Di conseguenza, per chi ha soggiornato o è transitato dalla Bulgaria nei 14 giorni precedenti l’ingresso in Italia, non vige più l’obbligo di isolamento fiduciario. La rimozione delle limitazioni agli spostamenti dall’Italia verso alcuni Paesi non esclude che questi Paesi possano ancora porre dei limiti all’ingresso. Si raccomanda di consultare sempre la Scheda del Paese di interesse su ViaggiareSicuri, per verificare eventuali restrizioni all’ingresso da parte delle Autorità locali.

D – Australia, Canada, Georgia, Giappone, Nuova Zelanda, Ruanda, Repubblica di Corea, Tailandia, Tunisia, Uruguay: sono consentiti gli spostamenti da/per questi Paesi senza necessità di motivazione, quindi anche per TURISMO. Tuttavia, al rientro in Italia, è necessario sottoporsi ad isolamento fiduciario e sorveglianza sanitaria, compilare un’autodichiarazione e si può raggiungere la propria destinazione finale in Italia solo con mezzo privato (è consentito il transito aeroportuale, senza uscire dalle zone dedicate dell’aerostazione). La rimozione delle limitazioni agli spostamenti dall’Italia verso alcuni Paesi non esclude che questi Paesi possano ancora porre dei limiti all’ingresso. Si raccomanda di consultare sempre la Scheda del Paese di interesse su ViaggiareSicuri, per verificare eventuali restrizioni all’ingresso da parte delle Autorità locali.

E – Resto del mondo: gli spostamenti da/per il resto del mondo sono consentiti solo in presenza di precise motivazioni, quali: lavoro, motivi di salute o di studio, assoluta urgenza, rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza. Non sono quindi consentiti spostamenti per turismo. Il rientro/l’ingresso in Italia da questo gruppo di Paesi è sempre consentito ai cittadini italiani/UE/Schengen e loro familiari, nonché ai titolari di regolare di permesso di soggiorno e loro familiari. Il DPCM 7 settembre 2020 introduce inoltre la possibilità di ingresso in Italia, dai Paesi dell’elenco E, per le persone che hanno una relazione affettiva comprovata e stabile (anche se non conviventi) con cittadini italiani/UE/Schengen o con persone fisiche che siano legalmente residenti in Italia (soggiornanti di lungo periodo), che debbano raggiungere l’abitazione/domicilio/residenza del partner (in Italia).

All’ingresso/rientro in Italia da questi Paesi, è necessario compilare un’autodichiarazione nella quale si deve indicare la motivazione che consente l’ingresso/il rientro. L’autodichiarazione va mostrata a chiunque sia preposto ad effettuare i controlli. È opportuno essere pronti a mostrare eventuale documentazione di supporto e a rispondere a eventuali domande da parte del personale preposto ai controlli. Si può raggiungere la propria destinazione finale in Italia solo con mezzo privato (è consentito il transito aeroportuale, senza uscire dalle zone dedicate dell’aerostazione). È inoltre necessario sottoporsi ad isolamento fiduciario e sorveglianza sanitaria. Sono previste alcune eccezioni, per le quali si raccomanda la lettura dell’elenco a fondo pagina. Alla Serbia, precedentemente in elenco F, con Ordinanza 21 settembre 2020 del Ministro della Salute, si applica la disciplina prevista per i Paesi in elenco E. L’Ordinanza è in vigore dal 22 settembre al 15 ottobre. Si raccomanda di consultare sempre la Scheda del Paese di interesse su ViaggiareSicuri, per verificare eventuali restrizioni all’ingresso da parte delle Autorità locali.

F – Armenia, Bahrein, Bangladesh, Bosnia Erzegovina, Brasile, Cile, Kuwait, Macedonia del Nord, Moldova, Oman, Panama, Perù, Repubblica Dominicana: per coloro che provengono dai Paesi dell’elenco F o che vi hanno soggiornato/transitato nei 14 giorni precedenti il tentativo di ingresso in Italia, è ancora in vigore un divieto di ingresso, con l’eccezione dei cittadini UE (inclusi i cittadini italiani) e loro familiari che abbiano la residenza anagrafica in Italia da prima del 9 luglio 2020. Sono esclusi dal divieto di ingresso anche equipaggi e personale viaggiante dei mezzi di trasporto e funzionari e agenti diplomatici e personale militare nell’esercizio delle loro funzioni. Gli spostamenti dall’Italia verso questi Paesi sono consentiti solo in presenza di precise motivazioni: lavoro, motivi di salute o di studio, assoluta urgenza, rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza. Non sono quindi consentiti spostamenti per turismo. Al rientro in Italia da questi Paesi, è necessario sottoporsi ad isolamento fiduciario e sorveglianza sanitaria, compilare un’autodichiarazione nella quale si deve indicare la motivazione che consente il rientro (possesso di cittadinanza UE/Schengen o condizione di familiare di cittadino UE e residenza in Italia) e si può raggiungere la propria destinazione finale in Italia solo con mezzo privato (è consentito il transito aeroportuale, senza uscire dalle zone dedicate dell’aerostazione).

Kosovo, Montenegro: da questi Paesi è ancora in vigore un divieto di ingresso, con l’eccezione dei cittadini UE (inclusi i cittadini italiani) e loro familiari che abbiano la residenza anagrafica in Italia da prima del 16 luglio 2020. Sono esclusi dal divieto di ingresso anche equipaggi e personale viaggiante dei mezzi di trasporto e funzionari e agenti diplomatici e personale militare nell’esercizio delle loro funzioni. Gli spostamenti dall’Italia verso questi Paesi sono consentiti solo in presenza di precise motivazioni: lavoro, motivi di salute o di studio, assoluta urgenza, rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza. Non sono quindi consentiti spostamenti per turismo. Al rientro in

Italia da questi Paesi, è necessario sottoporsi ad isolamento fiduciario e sorveglianza sanitaria, compilare un’autodichiarazione nella quale si deve indicare la motivazione che consente il rientro (possesso di cittadinanza UE/Schengen o condizione di familiare di cittadino UE e residenza in Italia) e si può raggiungere la propria destinazione finale in Italia solo con mezzo privato (è consentito il transito aeroportuale, senza uscire dalle zone dedicate dell’aerostazione). Con Ordinanza 21 settembre 2020, la Serbia, precedentemente inclusa in elenco F, passa nell’elenco E (vedere paragrafo dedicato). L’Ordinanza è in vigore dal 22 settembre e fino al 15 ottobre.

Colombia: da questo Paese è in vigore un divieto di ingresso, con l’eccezione dei cittadini UE (inclusi i cittadini italiani) e loro familiari che abbiano la residenza anagrafica in Italia da prima del 13 agosto 2020. Si applicano le stesse restrizioni previste per i Paesi dei due paragrafi precedenti.

Si raccomanda di consultare sempre la Scheda del Paese di interesse su ViaggiareSicuri, per verificare eventuali restrizioni all’ingresso da parte delle Autorità locali.

Sono previste alcune, limitate eccezioni all’obbligo di isolamento fiduciario, sorveglianza e obbligo di tampone (quest’ultimo solo nel caso di rientro da Belgio, intera Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Spagna, come da Ordinanza del Ministro della Salute del 7 ottobre 2020, in vigore dall’8 ottobre e fino al 15 ottobre 2020, NON dai Paesi dell’elenco F).

A condizione che non insorgano sintomi di COVID-19 e che non ci siano stati soggiorni o transiti in uno o più Paesi di cui agli elenchi C e F nei quattordici (14) giorni antecedenti all’ingresso in Italia, fermi restando gli obblighi di cui all’articolo 5 del DPCM (compilazione di apposita dichiarazione), le disposizioni relative all’obbligo di isolamento fiduciario e sorveglianza sanitaria, all’utilizzo del mezzo privato per raggiungere la destinazione finale e all’obbligo di tampone (in rientro da Belgio, intera Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Spagna, come da Ordinanza del Ministro della Salute del 7 ottobre 2020, in vigore dall’8 ottobre e fino al 15 ottobre 2020) NON si applicano:

a chiunque (indipendentemente dalla nazionalità) fa ingresso in Italia per un periodo non superiore alle 120 ore per comprovate esigenze di lavoro, salute o assoluta urgenza, con l’obbligo, allo scadere di detto termine, di lasciare immediatamente il territorio nazionale o, in mancanza, di iniziare il periodo di sorveglianza e di isolamento fiduciario;
a chiunque (indipendentemente dalla nazionalità) transita, con mezzo privato, nel territorio italiano per un periodo non superiore a 36 ore, con l’obbligo, allo scadere di detto termine, di lasciare immediatamente il territorio nazionale o, in mancanza, di iniziare il periodo di sorveglianza e di isolamento fiduciario;
ai cittadini e ai residentidegli Stati e territori di cui agli elenchi A, B, C e D che fanno ingresso in Italia per comprovati motivi di lavoro;
al personale sanitario in ingresso in Italia per l’esercizio di qualifiche professionali sanitarie, incluso l’esercizio temporaneo di cui all’art. 13 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18;
ai lavoratori transfrontalieri in ingresso e in uscita dal territorio nazionale per comprovati motivi di lavoro e per il conseguente rientro nella propria residenza, abitazione o dimora;
al personale di imprese ed enti aventi sede legale o secondaria in Italia per spostamenti all’estero per comprovate esigenze lavorative di durata non superiore a 120 ore;
ai funzionari e agli agenti, comunque denominati, dell’Unione europea o di organizzazioni internazionali, agli agenti diplomatici, al personale amministrativo e tecnico delle missioni diplomatiche, ai funzionari e agli impiegati consolari, al personale militare e al personale della polizia di Stato nell’esercizio delle loro funzioni;
agli alunni e agli studenti per la frequenza di un corso di studi in uno Stato diverso da quello di residenza, abitazione o dimora, nel quale ritornano ogni giorno o almeno una volta la settimana.

L’obbligo di isolamento fiduciario e sorveglianza sanitaria (nonché di tampone in rientro da Belgio, intera Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Spagna, come da Ordinanza del Ministro della Salute del 7 ottobre 2020, in vigore dall’8 ottobre e fino al 15 ottobre 2020) non si applica:

all’equipaggio dei mezzi di trasporto;
al personale viaggiante;
agli ingressi per motivi di lavoro regolati da speciali protocolli di sicurezza, approvati dalla competente autorità sanitaria;
agli ingressi per ragioni non differibili, inclusa la partecipazione a manifestazioni sportive e fieristiche di livello internazionale, previa specifica autorizzazione del Ministero della salute e con obbligo di presentare al vettore all’atto dell’imbarco e a chiunque sia deputato ad effettuare i controlli dell’attestazione di essersi sottoposti, nelle 72 ore antecedenti all’ingresso nel territorio nazionale, ad un test molecolare o antigenico, effettuato per mezzo di tampone e risultato negativo. In questo caso, il Viaggiatore/Ente/Società Organizzatrice che necessita di una esenzione all’obbligo di quarantena per ragioni non differibili, inclusa la partecipazione a manifestazioni sportive o fieristiche di livello internazionale, dovrà presentare richiesta all’Ufficio 3 della Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria (Coordinamento USMAF-SASN), che la esaminerà ed eventualmente trasmetterà le linee guida alle quali il viaggiatore internazionale deve attenersi per essere esentato dalle suddette misure. Il viaggiatore avrà cura di portare con sé comunicazione dell’ufficio che ha trasmesso il protocollo, l’autodichiarazione sottoscritta a testimonianza dell’applicazione delle linee guida con l’esito del test negativo (effettuato non più di 72 ore dall’ingresso in Italia) da mostrare eventualmente all’Autorità Frontaliera o all’Autorità Sanitaria.

Gli indirizzi ai quali trasmettere la richiesta di autorizzazione sono i seguenti: m.dionisio@sanita.it; coordinamento.usmafsasn@sanita.it; dgprev@postacert.sanita.

Tale esenzione non si applica a viaggiatori che negli ultimi 14 giorni siano transitati o abbiano soggiornato in uno dei paesi dell’elenco F dell’allegato 20 del DPCM 7 agosto 2020.

ALCUNI ESEMPI:

Lettera a)
Il cittadino italiano che, per motivi di salute, fa ingresso in Italia per 3 giorni, provenendo dalla Tunisia, dove è residente, non è sottoposto all’isolamento fiduciario e alla sorveglianza sanitaria.
Il cittadino indiano residente negli Stati Uniti (e da lì proveniente) che, per motivi di lavoro, deve entrare in Italia per 4 giorni, non è sottoposto all’isolamento fiduciario e alla sorveglianza sanitaria.
Un cittadino statunitense, proveniente dal Regno Unito, dove ha trascorso un periodo inferiore a 14 giorni, può entrare in Italia senza obbligo di isolamento fiduciario se lo spostamento è motivato da comprovati motivi di lavoro, salute o assoluta urgenza e se la permanenza in Italia non supera le 120 ore.
Un cittadino ucraino, proveniente direttamente dall’Ucraina o dalla Turchia, può entrare in Italia senza obbligo di isolamento fiduciario, se lo spostamento è motivato da comprovati motivi di lavoro, salute o assoluta urgenza e se la permanenza in Italia non supera le 120 ore.

Lettera b):
Un cittadino moldavo, in transito via terra con la propria auto per recarsi in Spagna, può attraversare l’Italia senza obbligo di isolamento fiduciario se la sua permanenza in Italia non supera le 36 ore.

Lettera c)
Il cittadino australiano che entra in Italia per motivi di lavoro, non è sottoposto all’isolamento fiduciario e alla sorveglianza sanitaria, indipendentemente dalla durata della permanenza in Italia.
Il cittadino tedesco, proveniente dagli Stati Uniti, che debba entrare in Italia per motivi di lavoro, indipendentemente dalla durata del soggiorno di lavoro in Italia, non è sottoposto all’isolamento fiduciario e alla sorveglianza sanitaria.

Il cittadino romeno, che non sia transitato dalla Romania né vi abbia soggiornato nei 14 giorni precedenti l’arrivo in Italia, proveniente dalla Turchia, se entra in Italia per ragioni di lavoro non è sottoposto a isolamento fiduciario né a sorveglianza sanitaria”. (aise)

La settimana della lingua sui social

Da Dante a Leopardi, passando per Gianni Rodari e chiudendo con la Pimpa di Altan. Sono i personaggi in cui si imbatte la bambina protagonista del video di promozione della Settimana della Lingua Italiana nel Mondo.

La Settimana della Lingua Italiana nel Mondo, che giunge quest’anno alla sua XX edizione, è divenuta nel tempo una delle più importanti iniziative di celebrazione della lingua italiana. Gli eventi e le attività previsti verteranno su forme espressive per valorizzare la lingua italiana attraverso l’immagine, con particolare attenzione al fumetto, la novella grafica e più in generale alla filiera dell’editoria per l’infanzia e l’adolescenza.

Posta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e in programma quest’anno dal 19 al 25 ottobre, la Settimana è organizzata dal Ministero degli Esteri e la Cooperazione Internazionale, nell’ambito della strategia vivere all’italiana, coinvolgendo la rete diplomatico-consolare e gli Istituti Italiani di Cultura e con la collaborazione del Ministero dei Beni Culturali e il Turismo, del Ministero della Pubblica Istruzione e Università e dei principali partner della promozione linguistica nel mondo (Accademia della Crusca, Società Dante Alighieri, RAI), oltre che, come ormai consuetudine, l’Ambasciata della Confederazione Elvetica.

La campagna di comunicazione informa sulla Settimana della Lingua Italiana nel Mondo, che mira a rafforzare la consapevolezza del valore della nostra lingua come strumento di promozione dell’immagine del Paese all’estero, veicolo di messaggi, forme comunicative e contenuti pienamente inseriti nella contemporaneità e a fornire all’estero aggiornamenti sulle iniziative di promozione linguistica, anche in risposta alle difficoltà causate dalla pandemia.
Destinatari della comunicazione, in Italia e all’estero, sono giovani e anziani, imprese, ma anche scuole e università.

Lo spot è realizzato attraverso la tecnica dell’animazione e rende omaggio a personaggi italiani conosciuti in tutto il mondo (come ad esempio Dante, Verdi, Leopardi, Manzoni, Rossini) che hanno contribuito a plasmare un immaginario culturale non solo italiano. Protagonista del video è una bambina che, costeggiando un muro sul quale compaiono murales raffiguranti figure chiave del nostro patrimonio letterario, musicale e culturale, instaura un dialogo con le figure ritratte trasformandosi in noti personaggi dei fumetti e della letteratura per ragazzi, oggi veicoli di esportazione della cultura italiana all’estero, come Dylan Dog, Lupo Alberto, Corto Maltese, Diabolik ecc…

La campagna informativa della Settimana è programmata sulle reti RAI (spot tv), sulla stampa quotidiana e periodica e sui profili social del MAECI. Il video è disponibile on line anche attraverso il canale YouTube del governo italiano. (aise)

Fonte https://www.aise.it/primo-piano/la-settimana-della-lingua-sui-social/151232/160

Primo bilancio universitario di genere: «Le ragazze si laureano prima e meglio dei maschi»

Una studentessa che sceglie corsi di studio più lunghi, va in Erasmus più dei suoi coetanei, si laurea (un po’) prima dei colleghi e con voti migliori. Ecco l’identikit che emerge da alcune anticipazioni del primo bilancio di genere dell’Università di Genova che sarà presentato Lunedì 12 ottobre 2020, alle ore 17, nell’Aula Magna del Palazzo dell’Università in Via Balbi 5 a Genova.

«Se le studentesse sono infatti il 55% del totale degli iscritti a UniGe, questa percentuale non è uniformemente rilevata in tutti i settori: sono tante, e in aumento, le studentesse a Farmacia (77%), a Medicina (63%) e a Scienze Matematiche, fisiche e naturali (43%). Male Ingegneria (26%) e Informatica (14%). Considerazione diametralmente opposta per Scienze della Formazione e per Lingue Straniere che riportano solo il 20% di iscritti uomini. I dati evidenziano la sussistenza, per questi percorsi formativi, degli stereotipi di genere sulle carriere femminili e maschili che rischiano di limitare la scelta delle matricole», spiega l’ateneo in una nota.

Sono 5.306.548 gli stranieri residenti in Italia

Sono 5.306.548, rappresentano il 10,7% degli occupati totali nel nostro Paese e contribuiscono al Pil nazionale con 139 miliardi di euro; 860mila bambini e ragazzi frequentano le scuole italiane. Sono il 10% del totale della popolazione scolastica, il 64,4% è nato il Italia ma non ha la cittadinanza. Questa la fotografia degli stranieri residenti in Italia scattata dal Rapporto Immigrazione della Caritas e della Fondazione Migrantes presentato oggi a Roma. “Conoscere per comprendere” il titolo dato all’edizione 2020 che contiene anche una prima analisi degli effetti dei cosiddetti “decreti sicurezza” ma anche del covid sull’occupazione e la salute della popolazione migrante in Italia.

IL RAPPORTO

IL QUADRO INTERNAZIONALE

La crescita dei movimenti migratori nel Mondo e in Europa non accenna a diminuire. Nel 2019 il numero di migranti internazionali è aumentato attestandosi a circa 272 milioni, pari al 3,5% della popolazione mondiale. In 50 anni il numero di immigrati nel mondo è quasi quadruplicato (era pari a 84 milioni nel 1970).

L’India rimane il paese con il maggior numero di emigrati all’estero (17,5 milioni), seguita da Messico e Cina (rispettivamente 11,8 milioni e 10,7 milioni). Gli Stati Uniti, invece, sono il principale paese di destinazione con 50,7 milioni di immigrati internazionali, seguito dall’Arabia Saudita con 13,1 e dalla Russia con 11,9. Di tutte le persone che si spostano a livello globale (272 mln), i migranti per motivi di lavoro sono stimati in un numero pari a 164 milioni.

Secondo il Global Trend Report (UNHCR) la popolazione di migranti forzati, invece, ammonta a 79,5 milioni di persone, di cui 45,7 milioni di sfollati interni, 26 milioni di rifugiati (la Siria rimane al primo posto con 6,6 milioni seguita dal Venezuela con 3,7 milioni), e 4,2 milioni di richiedenti asilo. Il numero di apolidi a livello globale ammonta a 4,2 milioni (la Costa D’Avorio è al primo posto, seguita dal Bangladesh, dal Myanmar e dalla Thailandia).

MOBILITÀ IN EUROPA

Nel 2019 oltre 82 milioni di migranti internazionali risiedevano in Europa, ovvero quasi il 10% in più rispetto al 2015 (75 milioni). Oltre il 50% del totale dei migranti internazionali nella regione (42 milioni) è nato in Europa. I migranti non europei, invece, tra il 2015 e il 2019 sono aumentati da poco più di 35 milioni a circa 38 milioni. La Germania, con oltre 13 milioni di migranti, si attesta come il Paese con il maggior numero di cittadini stranieri residenti (+3 milioni negli ultimi 4 anni). Seguono Regno Unito e Francia con, rispettivamente, 9,5 milioni e 8 milioni.

Con una popolazione che oscilla intorno ai 5 milioni di migranti, l’Italia e la Spagna sono state la quinta e la sesta destinazione in Europa nel 2019. La migrazione di persone dai Paesi dell’ex Unione Sovietica verso la Russia (Ucraina, Kazakistan e Uzbekistan) ha rappresentato il più grande corridoio europeo per i migranti. L’incidenza più elevata sulla popolazione è invece registrata dalla Svizzera (29,9%), seguita da Svezia (20%), Austria (19,9%) e Belgio (17,2%).

Le ragioni familiari hanno rappresentato quasi il 28% dei 3,2 milioni di permessi di soggiorno rilasciati nell’UE, seguiti dai motivi di lavoro il 27%, di studio il 20%; altri motivi, compresa la protezione internazionale, hanno rappresentato il 24%.

Polonia (635 mila), Germania (544 mila) e Regno Unito (451 mila) sono i Paesi con il più elevato numero di primi permessi di soggiorno rilasciati nel 2018. Con riferimento alla cittadinanza di chi ha ricevuto più permessi nell’UE nel 2018, i cittadini ucraini sono quelli che hanno beneficiato di permessi di soggiorno principalmente per motivi di lavoro (65% di tutti i primi permessi di soggiorno rilasciati agli ucraini nel 2018), quelli cinesi per l’istruzione (67%), mentre i cittadini marocchini (61%) hanno beneficiato prevalentemente di permessi di soggiorno per motivi familiari.

PANORAMICA SULL’ITALIA

Gli ultimi dati sulla situazione demografica italiana diffusi dall’Istat confermano le tendenze in atto da alcuni anni: progressiva diminuzione della popolazione residente (-189 mila unità), in particolare nelle regioni del Mezzogiorno; aumento del divario tra nascite e decessi; stagnazione della fecondità a livelli molto bassi; aumento dell’incidenza della popolazione anziana e diminuzione di quella giovane, con il relativo ulteriore innalzamento dell’età media; saldo migratorio con l’estero positivo, anche se in diminuzione; aumento della popolazione residente straniera, sia in termini assoluti che relativi.

Se fino a un decennio fa l’aumento della popolazione straniera seguiva un ritmo significativo, da qualche anno il trend è in diminuzione (dal 2018 al 2019 appena 47 mila residenti e 2.500 titolari di permesso di soggiorno in più), accompagnato da altri segnali “negativi”, come la diminuzione delle nascite (da 67.933 nel 2017 a 62.944 nel 2019) e le minori acquisizioni di cittadinanza (passate da 146 mila nel 2017 a 127 mila del 2019).

Stando ai dati forniti dal Ministero dell’Interno, i permessi di soggiorno validi al 1° gennaio 2020 sono 3.438.707, il 61,2% dei quali è stato rilasciato nel Nord Italia, il 24,2% nel Centro, il 10,8% nel Sud e il 3,9% nelle Isole. I cinque Paesi di provenienza prevalenti fra i titolari di permesso di soggiorno sono, nell’ordine, Marocco (circa 400 mila cittadini), Albania (390 mila), Cina (289 mila), Ucraina (227 mila) e India, che con poco meno di 160 mila soggiornanti ha superato una nazionalità storica come le Filippine.

Considerando, invece, il dato complessivo sui cittadini stranieri residenti in Italia (compresi, dunque, i cittadini comunitari), che in base alle elaborazioni Istat al 1° gennaio 2020 ammontano a 5.306.548 (con un’incidenza media sulla popolazione italiana dell’8,8%), la maggior quota è rappresentata dai rumeni (1.207.919). I motivi dei permessi di soggiorno confermano la tendenza all’inserimento stabile, in quanto, in relazione alla durata, la maggior parte dei permessi è a lunga scadenza (62,3% del totale); mentre quelli di breve durata si attestano sul 37,7%.

Stando ai motivi del soggiorno, si conferma la prevalenza di quelli familiari (pari al 48,6% del totale), seguiti da quelli lavorativi (41,6%). Terzi per volume i permessi collegati all’asilo e alla protezione internazionale (5,7%) e quarti quelli per studio (appena l’1,5%).

I dati del Ministero dell’Interno al 1° gennaio 2020 consentono anche un primo bilancio sulle nuove tipologie di permesso di soggiorno introdotte dal d.l. n. 113/2018 (c.d. decreto Salvini), convertito in legge n. 132/2018. Si è trattato in totale di poco più di 28 mila permessi di soggiorno, che risultano per la quasi totalità di derivazione da tipologie già esistenti prima della riforma o che per effetto di questa hanno subito solamente un cambio di denominazione o di disciplina (ad es., permessi per motivi umanitari ridenominati in “casi speciali”), fatta eccezione per qualche unità di permessi per meriti di valore civile o per calamità naturale, che si sono rivelati dunque assolutamente non coincidenti con le aspettative, i bisogni e le condizioni personali dei migranti nel nostro paese, precarizzandone peraltro i già complessi percorsi di inserimento e integrazione (le nuove fattispecie non sono quasi mai convertibili per lavoro, ad esempio.

Lo scivolamento nell’irregolarità è dunque sempre in agguato. Diversi studi hanno fornito stime circa la consistenza della componente irregolare nel nostro paese, arrivando a parlare di oltre 650.000 persone.

I dati forniti in questa edizione del Rapporto sono quelli relativi ai primi esiti della procedura di regolarizzazione varata fra giugno e agosto 2020 e i dati sui provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale, che continuano a dimostrare di essere strumenti insufficienti e dispendiosi di gestione dell’irregolarità (sono state 41.000 le persone coinvolte), rivelando da oltre 10 anni un tasso di efficacia non superiore al 50% (è il 48,4% nel 2019).

La strada da preferire – secondo Caritas e Migrantes – è dunque certamente quella della regolarizzazione, che consente di restituire i diritti sociali ed economici alle persone, sottraendole alle pratiche di sfruttamento, tanto dannose anche per le casse dello Stato, in termini di evasione fiscale e contributiva.

Nell’approfondimento dedicato all’apporto economico dell’immigrazione si evidenzia che in Italia nel 2018 il contributo dei migranti al PIL è stato di 139 miliardi di euro, pari al 9% del totale.

I circa 2,3 milioni di contribuenti stranieri hanno dichiarato 27,4 miliardi di redditi, versando 13,9 miliardi di contributi e 3,5 miliardi di IRPEF. L’IVA pagata dai cittadini stranieri è stimata in 2,5 miliardi. Si tratta di dati che confermano il potenziale economico dell’immigrazione che, pur richiedendo notevoli sforzi nella gestione, produce senza dubbio benefici molto superiori nel medio-lungo periodo. Anche i costi per la gestione delle emergenze, che sono aumentati dagli 840 milioni nel 2011 ai 4,4 miliardi nel 2017, possono essere ammortizzati nel tempo, soprattutto se sostenuti da politiche capaci di ridurre l’irregolarità, che oggi è stimata in 670 mila persone.
Pertanto, secondo i redattori del Rapporto, una regolarizzazione di tutti i lavoratori stranieri avrebbe garantito entrate superiori ai 3 miliardi di euro. Invece il provvedimento varato ha consentito la presentazione di “appena” 207.542 domande presentate; in particolare per lavoro domestico (85% del totale) e il resto per gli altri settori, quasi interamente rappresentati dall’agricoltura.

La regione nella quale sono state presentate il maggior numero di istanze è la Campania, con 6.962. Segue la Sicilia con 3.584 istanze, il Lazio con 3.419 e la Puglia con 2.871, ma anche il Veneto con un dato significativo di 2.756 domande e l’Emilia Romagna con 2.101.

IL MERCATO DEL LAVORO

In Italia sono 2.505.000 i lavoratori stranieri, che rappresentano il 10,7% degli occupati totali nel nostro Paese. Il tasso di occupazione straniera si attesta intorno al 60,1%, superiore al 58,8% degli autoctoni; parallelamente, il tasso di inattività degli stranieri extra-UE (30,2%), per quanto elevato, risulta comunque inferiore a quello italiano (34,9%).

L’87% degli occupati stranieri in Italia sono lavoratori dipendenti, concentrati soprattutto in alcuni settori: servizi collettivi e personali (642 mila addetti), industria (466 mila), alberghi e ristoranti (263 mila), commercio (260 mila) e costruzioni (235 mila). In merito alle qualifiche prevalenti, nel 2019 si registra un elevato volume di rapporti attivati per braccianti agricoli (584.253 attivazioni), addetti all’assistenza personale (179.502), camerieri e professioni assimilate (158.645) e collaboratori domestici e professioni assimilate (111.562).

Quanto alle tipologie contrattuali, si attesta come preponderante il reclutamento con forme contrattuali temporanee. Esse interessano circa i due terzi delle nuove assunzioni destinate ai cittadini stranieri, fra cui, oltre ai contratti di lavoro a tempo determinato, anche i tirocini e i rapporti di lavoro in somministrazione o stagionali; la retribuzione media annua nel 2019 dei lavoratori extracomunitari è inferiore del 35% a quella del complesso dei lavoratori (14.287 euro rispetto a 21.927 euro); la differenza di genere nell’accesso al mondo del lavoro è marcata e fa registrare tassi di inattività e di disoccupazione nettamente superiori per quanto riguarda la componente femminile; nel confronto con i dati del 2018, aumenta anche il tasso di lavoratori stranieri autonomi (+2,7%), in netta controtendenza rispetto agli italiani.

Cresce il numero di titolari di imprese nati fuori dall’UE (383.462), pari al 12,2% del totale, concentrati soprattutto nel settore commerciale (43,1% del totale) e dell’edilizia (21,1%); nel corso del 2019 gli infortuni verificatesi ai lavoratori stranieri sono stati 108.173 (il 16,9% del totale) e in due casi su tre hanno riguardato cittadini extracomunitari, per i quali c’è stato un aumento del +5% rispetto al 2018.

Le pensioni di invalidità, vecchiaia e superstiti (IVS) erogate dall’INPS a cittadini extracomunitari alla fine del 2019 sono state appena 65.926, pari allo 0,4% del totale delle pensioni INPS dello stesso tipo (16.840.762); le pensioni assistenziali erogate a cittadini extracomunitari sono state invece 100.898, pari all’2,5% del totale (4.030.438).

SCUOLA E UNIVERSITÀ

La presenza degli alunni stranieri si attesta come una componente sempre più fondamentale e consistente: nell’anno scolastico 2018-2019 la perdita di 100 mila studenti italiani (-1,3%) dovuta al calo della natalità è stata compensata da un aumento di studenti con cittadinanza straniera, per lo più di seconda generazione, di quasi 16 mila presenze rispetto all’anno precedente (+1,9%) raggiungendo un totale di circa 860 mila unità ossia il 10% del totale della popolazione scolastica.

Ormai il 64,4% degli alunni stranieri è nato il Italia ma non ha la cittadinanza.

Nelle fasce di età 6-13 anni i sopracitati tassi sono vicini a quelli degli italiani, mentre nell’ultimo biennio di scuola secondaria di II grado scendono al 66,7%.

Circa l’esito dei percorsi scolastici, nell’a.s.2017/2018 gli studenti italiani in ritardo sono risultati il 9,6%, contro il 30,7% degli studenti con cittadinanza non italiana, che sono anche quelli a più alto rischio di abbandono, pari al 33,1%, a fronte di una media nazionale del 14,0%.

Guardando infine i dati sull’inserimento scolastico terziario emerge che si tratta prevalentemente di studenti già presenti sul territorio italiano. Aspetto, quest’ultimo, che mette in evidenza la scarsa attrattività del sistema universitario del nostro Paese.

L’impatto del Covid: dalla rete Scuole Migranti di Roma e del Lazio segnalano che, pur dotati di tablet – il Ministero ne ha fornito un numero notevole – i bambini stranieri non ricevono aiuto dai familiari per scarsa competenza informatica e difficoltà linguistiche. Se il prossimo anno scolastico si svolgerà con un sistema misto di lezioni in presenza e a distanza, potrebbero allargarsi ancora di più le disuguaglianze tra alunni stranieri e italiani.

POVERTÀ IN TEMPO DI COVID

Secondo l’Istat nel 2019 gli individui di nazionalità non italiana in povertà assoluta sono quasi 1 milione e 400 mila, con una incidenza pari al 26,9%, contro il 5,9% dei cittadini italiani. Le famiglie in povertà assoluta sono composte nel 69,6% dei casi da famiglie di soli italiani (1 milione e 164 mila) e per il restante 30,4% da famiglie con stranieri (circa 510 mila), pur rappresentando solo l’8,9% del totale delle famiglie. L’incidenza di povertà assoluta è pari al 22,0% (25,1% nel 2018) per le famiglie con almeno uno straniero (24,4% per le famiglie composte esclusivamente da stranieri) e al 4,9% per le famiglie di soli italiani. Le famiglie in povertà con stranieri dove sono presenti minori mostrano valori pari al 27,0% (282 mila), quelle di soli stranieri sono invece il 31,2%, ossia un valore cinque volte superiore a quello delle famiglie di soli italiani con minori (6,3%).

GIUSTIZIA

Negli ultimi dieci anni, in Italia il numero di reati denunciati all’Autorità giudiziaria dalle Forze di polizia è diminuito del -9,8%: nel 2009 sono stati denunciati 2.629.831 delitti rispetto al 2018, quando erano stimati in 2.371.806. Una diminuzione che prosegue dal 2003 e che investe tutte le fattispecie criminose. Si consolida il dato che vede la criminalità concentrarsi nelle grandi aree urbane, in particolare nella provincia di Milano (9,6% del totale nazionale), di Roma (9,5%) e di Napoli (5,6%). Secondo i dati del Ministero della Giustizia, al 31 gennaio 2020, su una popolazione carceraria di 60.971 detenuti, risultano essere presenti 19.841 cittadini stranieri (erano 20.255 nel 2018).

I cittadini stranieri, piuttosto, sono fra le principali vittime di reati collegati a discriminazioni.

RELIGIONI

Al 1° gennaio 2020 si stima che la maggioranza assoluta degli stranieri residenti in Italia sia di religione cristiana (54,1%), in aumento rispetto ad inizio 2019 (quando era il 53,6%), ma ancora ad un livello inferiore rispetto al 1° gennaio 2018 (57,5%). Nel loro complesso, nel 2019 i cristiani stranieri residenti in Italia sono aumentati di 97 mila unità (+3,4%), dopo la forte diminuzione (145 mila unità) dell’anno precedente, e si attestano ad oltre 2,9 milioni di fedeli e di potenziali fedeli, includendo nel conteggio anche i minori.

Fra gli immigrati cristiani la maggioranza assoluta è ortodossa (29,3%, pari a 1,6 milioni di fedeli, originari soprattutto di Romania, Ucraina e Moldova), mentre più di uno su tre è cattolico (20,1%, con quasi 1,1 milioni di persone, per lo più romeni, filippini, peruviani e albanesi). Proprio i cattolici, però, hanno fatto registrare la crescita maggiore nel 2019, con un aumento di 103 mila unità (+10,5%), superati soltanto – sebbene su livelli quantitativi assoluti minori – dai copti (in aumento di 3 mila unità, +16,7%); lieve la crescita degli ortodossi (+19 mila unità, pari al +1,2%), mentre sono diminuiti gli appartenenti ad altre fedi cristiane (in particolare gli evangelici, diminuiti del 9,1%, vale a dire quasi 17 mila fedeli in meno).

Gli stranieri musulmani residenti in Italia sono risultati stabili in numerosità durante il 2019 (-0,4%, vale a dire circa 6 mila unità in meno fra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2019), dopo il forte aumento fatto riscontrare durante il 2018 (+8,7%, cioè +127 mila unità), mantenendosi poco al di sotto del valore di 1,6 milioni, pur senza considerare gli acquisiti alla cittadinanza italiana e i non iscritti in anagrafe (ma conteggiando i minorenni di qualsiasi età).
Si tratta per lo più di marocchini, albanesi e bangladeshi.

Sul territorio nazionale si segnalano, infine, circa 174 mila stranieri buddisti (3,2% degli immigrati residenti in Italia), 96 mila induisti (1,8%), 51 mila sikh (1,0%) e 44 mila afferenti ad altre religioni (0,8%). Gli atei e gli agnostici sono invece stimabili in circa 531 mila, pari a circa un decimo (9,9%) del totale degli stranieri residenti in Italia. Le tradizioni religiose del Paese d’origine costituiscono da sempre un importante elemento di aggregazione e di rassicurazione identitaria, soprattutto in contesti sociali e culturali molto distanti da quelli nati. (aise) 

Fonte https://www.aise.it/primo-piano/sono-5.306.548-gli-stranieri-residenti-in-italia/151180/160

La caciatta degli italiani dalla Libia – di Vincenzo Nigro

“Gli italiani in Libia avevano tutto: la casa, il lavoro, la famiglia, un’esistenza dignitosa, perfino felice. Avevano una vita. Forse perfino una Patria. Diversa da quell’Italia, estranea e indifferente, in cui si rifugiarono quando nel 1970 il colonnello Muhammar Gheddafi decise di espellerli. Buttarli fuori da un Paese che non era loro, ma che loro avevano contribuito a costruire. Come dice Roberto Costantini, uno degli italiani di Libia ancora oggi più attivi, “i più sfortunati per molti anni furono trasformati in profughi, costretti a vivere nei campi per rifugiati. Eventi che cambiano la vita: l’improvvisa povertà e l’umiliazione furono per la maggior parte di chi aveva una certa età un punto di non ritorno””. A parlarne è Vincenzo Nigro, in questo pezzo pubblicato su “La Repubblica”.

“Esattamente cinquant’anni fa, fra il 7 e il 15 ottobre del 1970, si compì dunque l’epilogo di un esodo che trasferì in Italia gli eredi dei primi coloni. Dopo un’estate di crescente ostilità anti-italiana, ci fu la cacciata definitiva. Tutto in poche settimane: il 9 luglio Gheddafi pronunciò a Misurata un primo discorso durissimo contro gli italiani, contro i figli del colonialismo fascista. Il 9 luglio del 1912, pochi mesi dopo lo sbarco in Libia dell’Italia giolittiana, il Regio esercito aveva conquistato proprio Misurata, seconda città della Tripolitania. E Gheddafi ripercorreva le tappe della storia dell’invasione coloniale italiana, per rovesciarne il corso.

L’Italia monarchica aveva strappato la Libia all’impero ottomano in disfacimento nel 1911. Il regime fascista aveva poi accelerato e anche migliorato la colonizzazione soprattutto a partire dagli anni Trenta, in uno scenario di devastazioni militari e stragi indiscriminate, ma anche di urbanizzazione, di costruzioni senza pari nella storia della Libia. Soltanto Italo Balbo diede il suo nome alla via “Balbia” che univa il confine tunisino a quello egiziano: 1822 chilometri rispetto – ad esempio – ai 760 dell’Autostrada del sole.

Il fascismo perde la Seconda guerra mondiale, la Libia rimane sotto amministrazione britannica. Dal 1950 le Nazioni Unite riconoscono il Paese indipendente, lo affidano alla monarchia di re Idris, che con l’Italia firma un trattato nel 1956. L’Italia paga i danni per la colonizzazione, trasferisce al regno di Libia tutte le proprietà pubbliche e ottiene in cambio protezione per gli italiani rimasti a vivere nel Paese.

Nella notte fra il 31 agosto e il 1° settembre del 1969 il regno di re Idris crolla in poche ore sotto i colpi dei giovani ufficiali filo-nasseriani guidati dall’allora 27enne tenente Gheddafi. La monarchia in Libia nei fatti era finita da mesi: dopo la “guerra dei 6 Giorni” del 1967 contro Israele, quella in cui tutti gli stati arabi si schierarono contro lo stato ebraico, tranne la Libia che non mandò soldati contro Israele. Metà della popolazione e metà dell’esercito ormai erano furiosi col mite re Idris. Erano gli anni del presidente egiziano Nasser, del mito di Nasser, popolare nella nazione araba come un John Kennedy, acclamato anche dopo la sconfitta in guerra.

In quel settembre 1969 l’ambasciatore d’Italia a Tripoli era ancora Carlo Calenda, nonno del leader politico di oggi. Calenda era un diplomatico energico, attivo, mai distratto: capì dal primo momento come sarebbe andata a finire con Gheddafi, e lo scrisse nei suoi telegrammi a Roma. Il colonnello e la sua giunta militare – scriveva Calenda – useranno in ogni modo gli italiani rimasti in Libia per costruire una narrativa “rivoluzionaria” da vendere al popolo, con gli eredi dei colonialisti che inevitabilmente dovranno essere espulsi per dare forma alla nazione libica.

Andò a finire così: dopo il discorso di Misurata, il 21 luglio Gheddafi emanò il decreto di confisca che serviva a “restituire al popolo libico le ricchezze dei suoi figli e dei suoi avi usurpate dagli oppressori” italiani. “Fu la confisca totale, di tutto quello che avevamo”, ricorda Giovanna Ortu, che da anni è la presidente e il motore stesso della Airl, l’Associazione dei rifugiati italiani di Libia. “Ci portarono via tutto, i conti in banca, le case, le aziende agricole, le automobili, perfino le macchine da cucire… furono giorni terribili, in lotta con la burocrazia libica perfino per avere i famigerati “certificati di nullatenenza” necessari per poter essere autorizzati a partire”.

La contabilità delle nuove autorità libiche fu meticolosa: vennero acquisite 372 fattorie per 37 mila ettari; 1750 case, ville e appartamenti, 700 negozi, magazzini, ristoranti, supermercati, cinema e studi professionali, 1200 fra auto, camion aerei e macchine agricole.

Il 7 ottobre Gheddafi emana il decreto finale, quello di “espulsione” secondo cui entro il 15 ottobre l’ultimo italiano dovrà aver lasciato la Libia. “Noi avevamo un’azienda agricola di 600 ettari, un palazzo in città”, ricorda Ortu, “all’aeroporto perquisirono mia madre anche nei capelli, per controllare che non portasse via un gioiello qualsiasi che sarebbe potuto servire alla famiglia una volta rientrati in Italia”.

Erano arrivati in Libia nel 1911 con il governo di Giovanni Giolitti; gli italiani venivano espulsi nel 1970, ai tempi di Moro e Andreotti.

L’accoglienza in Italia fu fredda: da molti erano visti come gli ultimi fascisti, i reduci del regime in Africa. Alcuni di loro si riunivano e conservarono inevitabilmente alcuni dei riti del fascismo, ultimi ricordi del periodo felice e normale vissuto in Libia. Le riunioni con le camicie nere, il saluto fascista, il rimpianto perenne di una vita in Libia che era stata consumata sotto la protezione e la guida del regime fascista.

In Italia questo carattere spesso veniva attribuito generalmente a tutti i 15 mila profughi, suscitò distanza: innanzitutto nel Pci, che già aveva una forte influenza sulla stampa, su buona parte della narrativa che li presentava al Paese. Poi nella stessa Dc, che vedeva questi italiani di Libia come una anomalia capace di turbare l’azione di governo, le aperture di Moro e Andreotti al mondo arabo. Gli unici a difendere i profughi, chiaramente, furono i militanti dell’Msi che li accolsero con gagliardetti e camicie nere. Peggiorando a volte se possibile la percezione di questi italiani d’Africa.

“Questa è stata la nostra traversata, costretti a farci accettare da una nazione che non ci conosceva”, dice Giovanna Ortu. L’unica battaglia in cui hanno potuto impegnarsi in concreto è stata quella dei risarcimenti per gli espropri subiti del regime libico, decisi da Gheddafi contro il Trattato del 1956. Risarcimenti che lo Stato italiano non ha voluto ancora pagare fino in fondo, oppure ha versato col contagocce, come elemosine.

Fascisti o antifascisti, cristiani o ebrei, gli italiani di Libia forse condividono ancora un sentimento comune: quello di aver perduto, di essere stati espulsi da una piccola patria africana. Ma di non essere stati accolti fino in fondo dalla grande Patria italiana”. (aise) 

Fonte https://www.aise.it/rassegna-stampa/la-cacciata-degli-italiani-di-libia-di-vincenzo-nigro/151131/157

Consiglio dei ministri: sì all’obbligo di mascherine all’aperto. Stato di emergenza fino al 31 gennaio

Il Consiglio dei ministri ha approvato con delibera la proroga dello stato di emergenza per il Covid al 31 gennaio 2021. La norma che obbliga l’uso delle mascherine all’aperto è stata approvata con decreto legge. La mascherina è obbligatoria in tutti i luoghi chiusi, tranne le abitazioni private. E’ la novità che è stata introdotta dal Consiglio dei ministri nel nuovo decreto Covid. L’obbligo al chiuso era previsto per i solo luoghi aperti al pubblico: arriva ora un’ulteriore stretta e l’obbligo scatta ovunque tranne che nella propria abitazione.

Eccezioni 
Dunque il consiglio dei ministri ha approvato il decreto Covid che proroga le disposizioni contenute nel Dpcm del 7 settembre fino al 15 ottobre, aggiungendo però l’obbligo di portare sempre con sé la mascherina e indossarla nei luoghi chiusi e all’aperto se in prossimità di altre persone non conviventi. Sono esclusi i soggetti che stanno svolgendo attività sportiva; i bambini di età inferiore ai sei anni; i soggetti con patologie o disabilità incompatibili con l’uso della mascherina, nonché coloro che per interagire con i predetti versino nella stessa incompatibilità.  L’obbligo di indossare la mascherina varrà «in tutti i luoghi all’aperto ad eccezione dei casi in cui sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento» da altre persone. Il nuovo obbligo sarà in vigore subito dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto legge Covid. L’obbligo non vale se si è all’aperto in un luogo isolato con persone conviventi. A Palazzo Chigi, quindi, è stato approvato il decreto legge con le nuove norme di riferimento per fronteggiare l’emergenza Covid, dando contestualmente il via libera alla proroga dello stato di emergenza al 31 gennaio.

Giacomo Galeazzi (pubblicato da Il Secolo XIX il 07/010/2020)

Fonte https://www.ilsecoloxix.it/italia-mondo/politica/2020/10/07/news/consiglio-dei-ministri-si-all-obbligo-di-maschine-all-aperto-1.39391518

L’85,3% degli italiani è d’accordo con la mascherina obbligatoria

La pandemia cambia le paure degli italiani rispetto all’economia, alla salute e il grado di fiducia nella scienza. Sebbene sia forte la preoccupazione per l’economia del Paese per l’85,2% degli italiani, resta alto il timore di potersi contagiare (82,3%) e i luoghi ritenuti meno sicuri sono i mezzi pubblici (29,2%), il supermercato (24,6%), gli ambulatori medici e gli ospedali (13%). Considerate più sicure le relazioni con i famigliari e con gli amici al contrario di quanto dicono gli esperti.

Rispetto al contenimento della pandemia l’85,3% degli italiani si dice d’accordo a rendere obbligatorio l’uso della mascherina per tutta la popolazione, il 75,3% vorrebbe fare tamponi a tutti e il 63,3% ritiene necessario chiudere le attività e isolare i territori dove si verifica un focolaio.

Sorprende anche un 57,9% delle persone che ritiene necessario controllare gli spostamenti degli altri superando i limiti imposti dalla privacy. Permane uno strabismo percettivo: l’83% degli intervistati ha dichiarato di aver cambiato le proprie abitudini e di essere più prudente, ma ritiene che il 44,9% non abbia cambiato le proprie abitudini o alla lunga non lo farà più (34,6%).

Il Covid però ha soprattutto ridotto la fiducia nella scienza: per il 47,9% conta di più l’esperienza di chi ha vissuto una malattia rispetto a quella di un medico o di uno scienziato (era il 20,1% nel 2019). Per il 12,5% delle persone le informazioni mediche che si trovano in internet e sui social network sono più veritiere di quelle degli scienziati, mentre nel 2019 la percentuale si fermava al 3,6%.

Stupisce che la paura delle malattie infettive resti contenuta (9,5%, +8 rispetto al periodo pre Covid) rispetto a tumori (45,3%, un +4,6 rispetto al 2019) e Alzheimer (16,7%, -14,7) che rimangono saldamente in cima alla classifica delle malattie più temute.

Sono questi alcuni dei risultati della nuova edizione dell’indagine promossa da Confindustria Dispositivi Medici e realizzata da Community Research & Analysis sul sentimenti degli italiani nei confronti della salute e del servizio sanitario.

«I dati che emergono ci fanno capire quanto gli italiani abbiano fiducia nei dispositivi medici come ausili salvavita  – commenta Massimiliano Boggetti, Presidente di Confindustria dispositivi medici –. Le persone hanno capito che le tecnologie svolgono un ruolo fondamentale nel contrasto alla pandemia. Sono però molto preoccupato della mancanza di credibilità della scienza rispetto alle notizie trovate su internet, è un dato che non va sottovalutato e su cui tutti gli attori della salute devono investire per un’informazione di qualità»

E ancora: «Condivido inoltre la preoccupazione per il futuro della nostra economia, che ha oggi bisogno di investimenti strategici per utilizzare al meglio i fondi europei per il rilancio del sistema salute. Rilancio che se vuole essere efficacie deve vedere coinvolta tutta la filiera della salute. Per questo sarebbe importante utilizzare i fondi del Mes e richiederli subito».

Fonte https://www.ilsecoloxix.it/genova/2020/10/07/news/confindustria-l-85-3-degli-italiani-e-d-accordo-con-la-mascherina-obbligatoria-1.39391953

Karina Carrescia: pittrice italoargentina e un’esplosione di colori con la scoperta dell’arte pittorica coloniale ispana – americana

Il nome di Karina Carrescia è già molto familiare in Argentina, in Italia e negli Stati Uniti, i paesi in cui ha studiato ed esposto le sue opere. Dopo la presentazione virtuale della sua mostra Maria in America Latina nel Forum del patrimonio vicereale messicano, organizzato dal Museo del Vice regno, di San Luis Potosí- Messico, si è fatta conoscere anche in America Latina, divenendo famosa a livello quasi internazionale. I suoi studi accademici hanno sempre contemplato un approfondito studio dell’arte europea. Si è laureata in arte nell’Universidad Nacional de las Artes – ex Escuela Nacional de Bellas Artes Prilidiano Pueyrredón; ha frequentato un master in “Gestión y Política en Cultura y Comunicación nella Facultad Latinoamericana de Ciencias Sociales” (FLACSO Argentina). Dopo molte esposizioni in America, inclusi gli Stati Uniti, nel 2008 è stata invitata a insegnare nell’Accademia di Belle Arti di Brescia SantaGiulia e nel 2014 nell’International School of Arts in Umbria. Ora si occupa della Direzione Accademica e docente nell’Art Land – Scuola d’arte.

Dopo aver dipinto a olio paesaggi e soggetti vari e in seguito a un periodo di perfezionamento, si è sentita affascinata dal potere dei colori e dall’arte pittorica coloniale ispana – americana.

Attratta da questo genere di espressione artistica, in cui le Vergini sono state una rappresentazione incipiente, ha condotto indagini in varie biblioteche da quella molto ricca del Museo Isaac Fernández Blanco.

Così dopo un accurato studio della Madonna in America Latina, dalle apparizioni, lo studio del culto, dei luoghi in cui le varie devozioni hanno attecchito, alle processioni, ha dipinto le vergini della mostra Maria in America Latina, una rivisitazione delle immagini portate dai missionari francescani e gesuiti dalle diverse ordini religiosi, in chiave contemporanea. Le Madonne hanno vestiti triangolari, riccamente ricamati con lamine d’oro, i lineamenti del viso indigeni, alcune hanno la chioma decorata con fiori autoctoni, altre hanno come sfondo flora e fauna del vice regno specifico e del paese in cui il loro culto si è diffuso.  La Spagna dominava una porzione immensa d’America e di Asia, divisa nei vicereami della Nuova Spagna con: il Messico, la California, molti altri paesi degli USA, la “Capitania General De Guatemala”, la “Capitania General de Cuba”, persino le Filippine, ecc. ecc.; il Nuovo Regno di Granada con la Colombia, il Venezuela, l’Ecuador, la Guayana; il Vice Regno del Perù, che includeva la Capitaneria generale del Cile; il Vice Regno del Plata con l’Argentina, la Bolivia, il Paraguay. In ogni vicereame i culti si sono diffusi in modo diverso e specifico, secondo la storia e la geografia di ogni singolo paese.

Dove sono le tue radici?

In Italia, i miei nonni sono lombardi e i bisnonni emiliani e siciliani.

Hai rivelato presto questa tua vocazione artistica?

Sì, vengo da una famiglia di artisti, sono musicisti, alcuni molto affermati. Da piccola ho incominciato a suonare il violino, il violoncello e a dipingere. Crescendo ho compreso che il mio mezzo di espressione e di comunicazione era la pittura e ho seguito gli studi in tal senso. Credo che l’arte sia nelle mie radici italiane.

Quando sei stata in Italia come professoressa invitata cosa hai provato?

In questa veste ci sono stata due volte, una a Brescia l’altra a Montecastello di Vibio, in Umbria. Le due esperienze sono state molto interessanti e veramente meravigliose. A Montecastello davo lezioni all’aria libera. Allora dipingevo paesaggi a olio, cercando di unire l’arte figurativa ai paesaggi e ai colori tipici di quell’ambiente, incredibilmente dolce, oggetto di “attenzione” da parte di tanti artisti. Posso dire di aver vissuto un’esperienza quasi mistica.

Parliamo della mostra che stai preparando. Mi hanno affascinato particolarmente le tue Vergini perché non avevo mai visto la Madonna presentata in questo modo. Mi provocano una sensazione di piacere vibrante e sconvolgente, come se fossero un prodotto sconosciuto e magico.

Nel primo periodo della colonizzazione i missionari portavano con sé opere d’arte europee, soprattutto spagnole, italiane e fiamminghe. Siamo nel secolo d’oro della cultura spagnola. Le opere erano barocche, quindi con una prevalenza di colori scuri, terra. In America Latina si riproducevano nei laboratori, in cui la testa era europea, ma le mani erano indigene o meticce così il modello europeo incorporava caratteristiche delle culture pre colombiane come i colori forti.

Che materiali hai usato? Sembrano dipinti su carta ma non mi spiego i colori decisi e vibranti.

In effetti, sono su carta e ho usato acquarelli mescolati con  tempera. Se gli acquarelli sono di buona qualità si possono ottenere questi risultati. I ricami e le decorazioni realizzati con lamine d’oro li rendono vibranti.

C’è una festa dei colori, le Vergini hanno vestiti dai colori diversi, secondo il paese in cui si è radicato il loro culto, ma perché e da dove si ricavavano i pigmenti?

Ogni paese aveva i suoi colori, determinati dalla geografia locale. I pigmenti provenivano dai fiori dalla terra, da alcuni insetti o dalle miniere. L’azzurro si ricavava da una pianta chiamata “añil”, il rosso dalle coccinelle messe a essiccare, il bianco e l’oro dalle miniere. Molti si producevano qui, altri erano importati. Il commercio era florido e gli artisti erano riuniti in corporazioni delle arti e dei mestieri che erano organizzate.

Quante saranno le Vergini in totale e che progetti hai per la tua mostra Maria in America Latina? 

I quadri saranno venti in totale, di misure relativamente piccole proprio per poterli spostare con facilità. Vorrei portare le mie vergini in giro per il mondo. Il culto è arrivato dall’Europa e ha attecchito forte in America Latina. Mi sembra bene mostrare al mondo la bellezza, i simboli e i colori di Latinoamerica.

Un sogno?

Dipingere il drappellone o cencio, in senese, che si consegna al vincitore del Palio di Siena.

Edda Cinarelli

“Il viaggio di Colombo” al Rolly Days di Genova

Rolli Days Ottobre 2020 tornano a proporre ai visitatori l’opportunità di entrare di persona nei Palazzi dei Rolli, Patrimonio UNESCO dal 2006, per vedere dal vivo i cicli di affreschi, le collezioni pittoriche e le strepitose sculture eseguite tra il tardo Rinascimento e il pieno periodo Barocco.  Ma in questa nuova edizione “ibrida”, tra presenza fisica ed esperienza digitale, protagonista ci sarà anche Cristoforo Colombo, con La Genova dei Rolli e il viaggio di Colombo”.

L’edizione autunnale anticipa – di un solo giorno – la ricorrenza dell’arrivo su suolo americano del navigatore genovese, avvenuto il 12 ottobre 1492. Un episodio cruciale per la storia europea, che creò le condizioni per l’emergere della potenza spagnola alla quale è legato in larga parte l’exploit politico ed economico dell’aristocrazia genovese del Cinquecento.

Ma chi era Colombo? Cosa conosciamo relativamente alla sua storia, alla sua vita da “genovese”, alla sua formazione e ai suoi viaggi? Quali motivazioni lo spinsero e quali furono – nel bene e nel male – le sue azioni prima e dopo il viaggio che rivoluzionò per sempre la storia del mondo? In un contenuto digitale inedito realizzato per l’occasione, visibile sui canali del Comune di Genova, verranno affrontati questi temi, per restituire al personaggio Colombo la sua reale dimensione, grazie ai documenti e alla ricerca degli storici. Il video sarà anche l’occasione per scoprire i più significativi luoghi “colombiani” della città, tra Palazzi dei Rolli del primo Seicento e memorie più recenti. Incontro con Colombo – Palazzo Lomellino, dal 9 al 18 ottobre: verrà esposto in via Garibaldi, al piano nobile di Palazzo Nicolosio Lomellino Centurione Podestà, il ritratto su tavola di Cristoforo Colombo attribuito a Ridolfo del Ghirlandaio: realizzato nel 1520 e quindi di qualche anno successivo alla sua morte, è probabilmente l’immagine più nota del navigatore. Il dipinto sarà esposto al di sotto degli affreschi a tema colombiano eseguiti dal pittore Bernardo Strozzi. Gli affreschi furono realizzati all’inizio del Seicento per la famiglia Centurione, che fu probabilmente fra i finanziatori dell’impresa colombiana; a lungo ritenuti perduti, sono stati riscoperti negli anni Duemila grazie a un intervento di restauro. Un evento del tutto eccezionale, organizzato grazie alla collaborazione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Genova, del Galata – Museo del Mare e dell’Associazione Palazzo Lomellino.

La sfida dei Divulgatori Scientifici

Anche in occasione di una edizione così innovativa e particolare, tra presenza fisica dei visitatori e proposta digitale, i Rolli Days si propongono come uno strumento formativo e di avviamento professionale. A condurre il pubblico all’interno dei siti saranno, ancora una volta, i Divulgatori Scientifici dei Rolli Days, figure formate ad hoc e selezionate per offrire al pubblico il migliore compromesso tra la ricerca scientifica e una comunicazione adatta a tutti.

“Let history charm you”. La grande DANZA nei Palazzi dei Rolli con Jacopo Bellussi, danzatore genovese primo ballerino dell’Hamburg Ballet di Amburgo, ha regalato alla sua città una coreografia dedicata ai Palazzi dei Rolli.
In coppia con Yun Su Park, anche lei ballerina dell’Hamburg Ballet, ha dato vita a un evento magico, danzando una vera e propria storia negli spazi dei Palazzi dei Rolli, dalle sale di Palazzo Angelo Giovanni Spinola, alla Galleria Dorata di Palazzo Tobia Pallavicino, dall’atrio di Palazzo Spinola Doria, al giardino di Palazzo Lomellino e al cortile di Palazzo Tursi. Un altro contenuto di alta qualità e di grande emozione che impreziosirà la parte digitale dei Rolli Days Genova ottobre 2020.

Quattro serate con DJ set: musica per tutti nei Palazzi dei Rolli

I Palazzi dei Rolli si aprono anche alla musica contemporanea e al pubblico più giovane, con 4 straordinarie serate di DJ set disponibili in diretta streaming sul canale YouTube Genova More Than This: Giovedì 8 ottobre dalle ore 18,30 alle 20.00: DJ set con Joe T Vannelli, in diretta streaming da Palazzo Imperiale. (aise) 

Fonte https://www.aise.it/cultura/il-viaggio-di-colombo-ai-rolli-days-di-genova-dibattito-sul-navigatore/151006/157

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