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August 2020

Mattarella ai 150 anni dalla nascita di Maria Montessori: la scuola è una risorsa decisiva per il futuro della comunità nazionale

«La comunità della scuola è risorsa decisiva per il futuro della comunità nazionale, proprio in quanto veicolo insostituibile di socialità per i bambini e i ragazzi: ne comprendiamo ancor più l’importanza dopo le chiusure imposte dalla pandemia. Esempi come quello di Maria Montessori esortano ad affrontare efficacemente le responsabilità di questo momento difficile». Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in una dichiarazione in occasione del 150esimo anniversario della nascita di Maria Montessori.

«Maria Montessori – ricorda il Capo dello Stato – nasceva centocinquanta anni fa, a Chiaravalle. La sua umanità, i suoi studi, la sua coraggiosa esperienza di educatrice, hanno impresso un segno profondo nelle scienze pedagogiche e indicato orizzonti nuovi per la scuola, a beneficio di milioni di giovani in ogni parte del mondo, che hanno potuto e saputo accrescere in piena libertà la loro personalità. Proprio negli anni più duri del Novecento Maria Montessori è riuscita a infrangere antichi pregiudizi, dimostrando la irragionevolezza di metodi di insegnamento basati sull’autoritarismo e contrastando pratiche di emarginazione ai danni di chi era sofferente o veniva considerato diverso, aprendo la strada a un percorso di crescita dei bambini basato sulla piena espressione della loro creatività, nella formazione responsabile alla socialità».

Il suo «metodo», afferma Mattarella, «ha varcato le frontiere e, nel suo nome, tantissime educatrici ed educatori, ragazze e ragazzi, hanno conferito alla scuola un valore di crescita nella conoscenza che, accanto al sapere letterario e scientifico, abbia lo sguardo rivolto allo sviluppo integrale della personalità degli alunni». La vita di Maria Montessori, aggiunge il Capo dello Stato, «è stata anche simbolicamente una storia di libertà, di intelligenza, di creatività femminile. Sono tante le insegnanti, le educatrici, le operatrici scolastiche che continuano oggi a impegnarsi con la medesima passione».

Fonte https://www.ilsecoloxix.it/italia/2020/08/31/news/mattarella-la-scuola-e-una-risorsa-decisiva-per-il-futuro-della-comunita-nazionale-1.39251234

Dopo linciaggi, insulti e violenze, ecco come gli italiani sono diventati «bianchi» per gli Stati Uniti

Nel 1790, durante la presidenza di George Washington, si svolse il primo censimento degli Usa, all’interno del quale si era divisi in tre categorie: «Free White Females and Males», «All Other Free Persons» e «Slaves» (schiavi), all’epoca soprattutto africani. Come spiega Brent Staples in un lungo articolo sul New York Times, l’idea del Congresso era quella di dare vita a un’America bianca, protestante e culturalmente omogenea (come ricorda l’acronimo «Wasp» usato per «White Anglo-Saxon Protestants»), immaginando che solamente «i bianchi liberi, emigrati negli Stati Uniti» potessero diventare cittadini naturalizzati. L’ondata di immigrati che stava arrivando da tutta Europa aveva generato il panico. Bisognava porre un argine, anche se questo poteva portare ad adottare politiche più restrittive per identificare cosa significasse essere «bianco» e quindi degno di cittadinanza. Come ricorda l’articolo, già nel Belpaese «i settentrionali avevano a lungo sostenuto che i meridionali — in particolare i siciliani, di pelle più scura — fossero un popolo “incivile” e di razza inferiore, troppo africani per far parte dell’Europa» (tematiche affrontate anche da Gian Antonio Stella in «L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi».

L’editorialista del Corriere ricorda come agli italiani emigrati negli States venisse, ad esempio, rinfacciato di aver esportato la mafia, ndr). Questa logica trovò terreno fertile negli Stati Uniti: qui agli italiani venne impedito ad esempio di entrare in alcune scuole o sale cinematografiche; di essere parte di un’organizzazione sindacale; o ancora, vennero relegati in banchi separati delle chiese, vicino ai neri. Un ruolo importante ebbe anche la stampa che descrisse gli italiani come «swarthy» («bruni di carnagione»), «dai capelli crespi» e «Guinea», termine con il quale erano derisi per le strade —. Arrivati come «bianchi liberi» negli Stati Uniti per cercare riscatto, presto vennero paragonati ai «neri» (anche perché accettavano lavori «in nero» nei campi di zucchero della Louisiana, come manodopera a basso costo sulle banchine di New Orleans o perché sceglievano di vivere tra gli afroamericani).

I linciaggi degli italiani

Al centro dell’articolo di Staples, il linciaggio di New Orleans del 14 marzo 1891 quando una folla di cittadini assalì la prigione locale e uccise 11 immigrati italiani, in particolare siciliani (un episodio simile, il linciaggio di cinque immigrati italiani a Tallulah, in Louisiana, nel 1899, è ricordato da Enrico Deaglio in «Storia vera e terribile tra Sicilia e America», ndr). L’episodio diede vita a uno dei periodi di massima tensione tra gli Usa e Italia e a una crisi diplomatica che portò al richiamo in Italia dell’ambasciatore Francesco Saverio Fava da parte dell’allora presidente del Consiglio Antonio Starabba. La stampa italiana chiese con forza di fare giustizia sull’accaduto e di garantire alle famiglie delle vittime un adeguato risarcimento: i colpevoli non vennero mai puniti, ma l’allora presidente Benjamin Harrison decise di risarcire le famiglie con un’indennità. Grazie a quella storia, gli italiani sarebbero diventati «bianchi» di diritto, e meritevoli di rispetto (una storia che richiama alla memoria la vicenda di Sacco e Vanzetti, arrestati, processati e condannati a morte nel 1927 con l’accusa di aver ucciso un contabile e di una guardia del calzaturificio «Slater and Morrill» di South Braintree).

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«Siciliani, serpenti a sonagli»

Facendo un passo indietro, il giornalista ricorda come la carneficina a New Orleans fu messa in moto nell’autunno del 1890 quando il capo della polizia David Hennessy fu assassinato mentre stava tornando a casa. I nemici, certo, non gli mancavano come scrive lo storico John V. Baiamonte Jr.: Hennessy venne accusato dell’omicidio di un professionista, rivale, e «si dice anche che fu coinvolto in una faida tra due uomini d’affari italiani». Il suo assassinio, nel 1890, lo abbiamo ricordato sopra, portò a un processo clamoroso a seguito del quale alcuni cittadini si radunarono fuori dalla prigione, riuscendo ad entrarvi, e linciando brutalmente 11 dei 19 uomini che erano stati incriminati. Tale episodio di violenza sarebbe passato alla storia come «linciaggio di New Orleans». «Il capo Hennessy vendicato: undici dei suoi assassini italiani linciati da una folla», titolò il Times, giustificando la brutalità di quanto successo e descrivendo le vittime come «siciliani furtivi e codardi, discendenti di banditi e assassini, che hanno trasportato in questo Paese le passioni senza controllo, pratiche spietate … Sono per noi un parassita, serpenti a sonagli… I nostri assassini sono uomini di sentimento e nobiltà rispetto a loro».

Il ruolo di Cristoforo Colombo

Solo qualche mese dopo, il 13 marzo 1891, un secondo processo stabilì l’innocenza di quasi tutti gli imputati (per tre di loro la giuria non riuscì a stabilire un verdetto), anche se la sentenza venne accolta con rabbia dalla popolazione Usa. Per mettere un punto alla vicenda, Harrison fece appello al Congresso perché operasse per proteggere i cittadini stranieri — non i neri americani — dalla violenza della folla. Un tentativo di placare l’indignazione: da quel momento, di fatto, gli italiani avrebbero goduto di pari dignità. Nel 1892 una statua dedicata a Colombo — lo scopritore dell’America — venne eretta all’ingresso principale di Central Park a New York: il Columbus Day — come già aveva spiegato qui Massimo Gaggi — sarebbe diventato festa federale nel 1937 con il presidente Franklin Delano Roosevelt. Nel 2019, a 128 anni di distanza dall’accaduto, grazie al sindaco di origine italiana, LaToya Cantrell, l’amministrazione comunale di New Orleans ha reso scuse pubbliche e ufficiali alla comunità italiana che vive negli Usa. Come spiega Danielle Battisti in «Whom We Shall Welcome», gli Usa «hanno riscritto la storia dichiarando Colombo il “primo immigrato”, anche se non ha mai messo piede in Nord America e non è mai immigrato (tranne forse in Spagna). L’averne fatto un mito, ha garantito agli italo-americani un ruolo nella costruzione della nazione e li ha legati all’asserzione paternalistica, ancora oggi sentita, che Colombo “scoprì” un continente già abitato da nativi americani». Le credenze che ormai si erano diffuse sugli immigrati italiani — sostenne il senatore Henry Cabot Lodge — «erano di per sé sufficienti a giustificare barriere più elevate all’immigrazione. Il Congresso nel 1920 limitò l’immigrazione italiana per motivi razziali, anche se gli italiani erano legalmente bianchi, con tutti i diritti che ne derivavano».

I linciaggi degli italiani

I linciaggi ai danni degli italiani — chiarisce Staples — si inserivano in un contesto nel quale i giornali americani del Sud giustificavano gli omicidi degli afro-africani — spesso accusati con false prove di violenza sessuale —, etichettando le vittime come «bruti», «diavoli», «rapitori», «criminali dalla nascita». Insomma, la stampa era «quasi complice» nel giustificare le violenze compiute dalla folla. Da parte sua, The Times ha fatto un uso ripetuto del titolo «A Brutal Negro Lynched», marchiando le vittime come «criminali congeniti» (come tra l’altro racconta il libro «Corda e Sapone» di Patrizia Salvetti).

Una «storia d’amore» con la Louisiana

L’excursus di Staples prosegue ricordando come gli immigrati italiani furono vittime anche di altre accusi, ad esempio quando arrivarono in Louisiana dopo la Guerra Civile, per soddisfare il bisogno di manodopera a basso costo. I nuovi arrivati sceglievano di vivere insieme nei quartieri italiani, dove parlavano la lingua madre (o il dialetto), preservavano le tradizioni, fraternizzavano e in alcuni casi anche si sposavano con gli afro-americani. Una vicinanza che avrebbe portato alcuni tra i nostri connazionali a considerare i siciliani come «non completamente bianchi e ad ammettere nei loro confronti la persecuzione — linciaggio incluso —, normalmente imposta agli afro-americani».

«Assassini per natura»

Gli italiani, infine, conclude l’articolo sul Nyt, erano accusati di essere «criminali e assassini per natura», come si riscontra in una storia del 1874 che racconta di un immigrato come di «un uomo corpulento, il cui aspetto era simile a quello del tradizionale brigantino abruzzese». Queste caratterizzazioni raggiunsero un crescendo diffamatorio in un editoriale del 1882 che apparve sotto il titolo «I nostri futuri cittadini»: «Non c’è mai stata da quando New York è stata fondata una classe così bassa e ignorante tra gli immigrati che si sono riversati qui come gli italiani del sud che hanno affollato le nostre banchine durante l’anno scorso». E ancora, «i bambini immigrati italiani sono assolutamente inadatti e sporchi da collocare nelle scuole elementari pubbliche, a fianco di quelli americani». Il mito razzista secondo cui afro-americani e siciliani erano entrambi criminali innati si ritrova, poi, anche in una storia del Times del 1887 riferita alla storia del linciaggio di quello che all’epoca venne soprannominato «Dago Joe» («dago» è un insulto diretto agli immigrati italiani, spagnoli e portoghesi, usato ancora oggi, come si legge sulla Treccani, ndr): «Una mezza razza, figlio di un padre siciliano e di una madre mulatta, che aveva le peggiori caratteristiche di entrambe le razze… Astuto, infido e crudele, era considerato nella comunità in cui viveva un assassino per natura».

Silvia Morosi (pubblica da Il Corriere della Sera il 19/10/2014)

Fonte https://www.corriere.it/esteri/19_ottobre_14/come-italiani-sono-diventati-bianchi-gli-stati-uniti-87ab585c-ee5c-11e9-9f60-b6a35d70d218.shtml?fbclid=IwAR0GVJaade8vmQs9ju90YJr098Mh7_MGOK-ZOjtDsOqHdRJwb4k8aEddj3s

Dall’Argentina alla Calabria: una storia personale in cerca dell’identità

L’argomento della trasmissione della cultura familiare attraverso il balzo generazionale da nonni a nipoti diventa un fenomeno sempre più ricorrente. Come spiega il prof. Franco Fiumara, il vincolo affettivo unisce le due generazioni sulla base del rapporto di complicità in contrapposizione al ruolo dell’autorità svolto dai genitori. Così, sulla linea di quanto già accennato in articolo precedente (L’italianità della “generazione saltata” – Italians in Argentina, Developments), si riscatta la figura del migrante che in passato spesso era sminuita e ora invece viene rivalorizzata. Rivendicare l’origine dell’antenato lavoratore e umile che ha varcato l’oceano, non è più un motivo di vergogna ma di orgoglio.

Amira Giudice, che è andata in Calabria poco più che ventenne a riscoprire la terra e le storie di vita del nonno Modesto deceduto poco prima, è l’esempio concreto di questo fenomeno. E’ ripartita da quel viaggio consapevole di avere trovato il suo posto nel mondo, ma anche con il progetto di diffondere una rete online che unisca i giovani discendenti di emigrati italiani in Sudamerica. Il suo esempio è una sintesi di un fenomeno che solo adesso si sta valutando concretamente e da origine a progetti che vogliono riscoprire le origini, come il turismo delle radici e i tanti progetti di ritorno, ma che in effetti sono la somma di tantissimi casi visti finora sempre come singoli.

Il sei agosto si è presentata nel programma radio “Il Postino Patagonico” della località di Villa Regina in occasione del lancio del sito itRionegro.it che rappresenta la sede più a sud di tutta la rete web di italiani.it.

“(…) Sono una italoargentina, nata a Buenos Aires. Sono italiana da parte di padre e il vincolo con la cultura italiana viene dai miei nonni. Da piccola mio nonno ci portava alle feste della Madonna della Quercia nella chiesa dei Migranti nella zona di La Boca, per cui da sempre sono stata in contatto con l’italianità delle tradizioni, le festività, le ricette che ci preparava il nonno in casa e tutto ciò di italiano che ci trasmetteva, compreso anche il dialetto che lo parlava spesso con i suoi paesani quando lo venivano a salutare o quando si incontravano in qualche festa. Siamo sempre stati molto in contatto con le tradizioni del cibo e del vino fatti in casa, la gastronomia e l’Italia in genere. Da piccola mi piaceva leggere le riviste che gli mandavano dall’Italia perché dalla Regione Calabria arrivavano gli almanacchi e le riviste piene di fotografie. Mio nonno le lasciava nella sala a portata di mano e io le guardavo e le leggevo quasi senza capirle.

Già dall’infanza ho assorbito la cultura italiana e soprattutto la cultura del paese di mio nonno, che è stato quello che più mi ha trasmesso e mi ha avvicinato all’Italia tanto a me come al resto della famiglia. Nel 2016 ho deciso di viaggiare per conoscere il paese dove era nato e da dove era partito, che si chiama Conflenti ed è anche il paese della Madonna che si festeggia qui a Buenos Aires l’ultima domenica di agosto. Lì ho scoperto le mie radici, ho riscoperto in ogni angolo del paese i luoghi dei suoi racconti e mentre camminavo ricostruivo pezzi di storie, ho conosciuto molti parenti e amici. E’ stata una esperienza bellissima, sono stata nel paese molte altre volte e lo porto nel cuore. La prima volta che sono stata a Conflenti ho sentito di avere trovato il mio posto nel mondo.

Lì ho trovato la gente di italiani.it perché Conflenti è la capitale del progetto e mi sono aggiunta alla redazione di itConflenti.it dove ho cominciato come redattrice. Successivamente lo abbiamo portato da questa parte dell’oceano e aprendo il portale itBuenosAires.it e dando il via alla diffusione della cultura italiana nel 2017.

Questo sogno di diffondere la cultura e rendere visibile l’attività delle istituzioni italiane si è espanso fino a costituire una grande rete in America Latina così come era stato fatto in Europa e nel resto del mondo. Abbiamo aggiunto diverse città, adesso fanno parte di questo progetto dodici città latinoamericane nelle cui redazioni ci sono gruppi di giovani che ci occupiamo di diffondere la cultura italiana, di raccontare storie, di diffondere eventi, stare in contatto con le associazioni, istituzioni e immigranti in genere che cercano di rendere visibili le loro attività e raccontare le loro storie. Sono supervisore e mi occupo di coordinare i lavori di tutte le redazioni di italiani.it in America Latina. Adesso siamo più di 60 redattori da questa parte del mondo che scrivono e hanno bisogno di una guida per elaborare e diffondere le loro note, perché da italiani.it è possibile accedere ai siti delle diverse città e ai loro articoli.

Tra i progetti a futuro abbiamo già cominciato con le borse di studio di lingua italiana insieme alla Associazione Calabrese di Buenos Aires. Ci sono anche altri progetti a breve, quindi vi invito tutti a visitare il sito per conoscerci meglio e a seguirci sui social per conoscere le nostre attività”.

Paolo Bonanno Cinarelli

Fonte https://thedailycases.com/dallargentina-alla-calabria-una-storia-personale-in-cerca-dellidentita-from-argentina-to-calabria-a-personal-story-in-search-of-identity/?fbclid=IwAR0UquNnvv2wP5F3ljv9IlbNayEN5nuqvJJQYWOpLthq48IaPuepB9lpDSk

Bettino Craxi, vittima o delinquente o né l’uno né l’altro? Ne parliamo con l’ex direttore de L’Avanti!

Bettino Craxi è stato Primo ministro d’Italia dal 1982 al 1987, era segretario generale del Partito Socialista Italiano, cui era iscritto fin da molto giovane. E’ considerato da tanti precursore della modernizzazione del Paese e della politica italiana.

Accusato durante il processo di Mani Pulite di vari delitti come il finanziamento illecito del suo partito si è rifugiato a Hammamet, in Tunisia, dov’è morto come esule politico il 19 gennaio 2000. Si è sempre proclamato innocente, prima di morire aveva chiesto alla Giustizia italiana di poter tornare in Italia per curarsi meglio ma il permesso gli era stato denegato. Il destino ha voluto che morisse proprio nel giorno in cui la Camera aveva dato il via libera alla Commissione d’inchiesta su Tangentopoli per la quale Craxi si era a lungo battuto.

Partiamo dalla fine, crede che Craxi sia morto vittima di una persecuzione politica e di una giustizia di parte o che fosse colpevole?

E’ morto vittima di un sistema paese, affidatosi a un gruppo di potere, che ha usato la Giustizia come strumento per eliminare una classe politica. Partiti e politici che avevano comunque delle falle ma che avevano in Craxi una delle massime punte di diamante e aveva trasformato l’Italia del dopoguerra da un piccolo paese distrutto in una delle cinque potenze del mondo.

Pensa che il pool di Milano, quello di Mani Pulite (1992) volesse favorire altre forze politiche?

No, non c’è una teoria complottista, l’Italia era il crocevia di alcuni interessi, che, essendo caduto l’equilibrio del muro di Berlino, non avevano più bisogno di pesi e contrappesi. Craxi era un soggetto molto forte e non facilmente contrastabile quindi alcuni soggetti italiani e esteri hanno voluto eliminarlo. Il gruppo di Mani Pulite era composto di magistrati, che consapevolmente o no, non si sa, voleva essere un contropotere.  E’ che il mondo era globalizzato già da prima che ce ne rendessimo conto e c’erano vari interessi in gioco.

Craxi si era fatto molti nemici. Nel 1984 aveva incontrato, a Tunisi, Yasser Arafat, presidente dell’Organizzazione per la Liberazione Palestinese (OLP), che forse lui finanziava. Nel 1985 c’è stato poi l’episodio di Sigonella. Non crede che Reagan, la Thatcher e Shimon Peres abbiano deciso di eliminare un presunto provocatore dalla scena politica? 

Craxi era amico personale di Arafat, ne sono sicuro, e aveva sicuramente finanziato l’OLP con l’Internazionale Socialista, probabilmente tramite Silvio Berlusconi. Durante la sua permanenza in Tunisia quando era ricercato dalla Giustizia Italiana, l’OLP lo difendeva in armi, con l’assenso del governo tunisino, con il supporto militare del governo tunisino, che gli dava una scorta.

Sono certo che il Presidente della Tunisia Zine El Abidine Bel Alì lo ritenesse amico e viste le sue capacità pensava che fosse una persona su cui investire ma so che anche la Thatcher e Reagan lo stimavano, mentre credo che gli israeliani non lo vedessero di buon occhio.

Perché il governo tunisino lo appoggiava tanto?

Probabilmente lo vedevano come un perseguitato in patria e perché Craxi aveva un buon rapporto con l’allora presidente tunisino. Bettino con le sue indicazioni ha determinato che la Tunisia in pochi anni abbia quintuplicato il suo PIL. Prova che la buona amministrazione dà i suoi frutti.

Quindi solo gli israeliani lo ritenevano un nemico?

Non solo, probabilmente anche delle lobby nordamericane, ma è solo una presunzione. Sono sicuro che il Presidente Reagan e il Primo ministro Thatcher ne avessero grande stima. Ne sono super certo perché me l’ha detto lui tante volte

Esaminando la gestione di Craxi, vedo che aveva aumentato il debito pubblico da 400 mila milioni a un milione di miliardi di lire. Il debito è usato normalmente per costruire infrastrutture ma può pesare sull’esito, successo o fallimento dei governi posteriori.

Il debito di un paese è come il debito di una famiglia. Se ci s’indebita per comprare un’automobile che dopo alcuni anni perde il suo valore si è contratto un debito inutile, ma se compro un’automobile per usarlo come strumento di lavoro, dopo pochi anni estinguo il debito e ci ho guadagnato.  E’ un problema di capacità di gestione. Probabilmente Craxi ha fatto dei debiti per ammodernare il paese e quel debito in seguito è stato mal gestito, ed è aumentato con gli interessi. Chiedere un prestito al Fondo Monetario Internazionale non è di per sé una cosa brutta, dipende poi dall’uso che se ne fa.

Come mai l’Italia che, con Bettino Craxi era la quinta potenza, è retrocessa?

Per un intreccio di cause, un sistema geopolitico diverso unito a gestioni insipienti.

I giornali, i media sono riusciti a muovere l’opinione pubblica contro di lui. Non crede che sia stato molto denigrante per l’Italia e per la folla, il lancio delle monetine su Craxi davanti all’Hotel Raphael di Roma? 

Ognuno di noi la pensa come vuole. Personalmente credo che sia vergognoso, ma i media influenzano in un modo o nell’altro la gente, questo accade sempre, in tutto il mondo.

C’è un paese in cui le situazioni si possono gestire in modo giusto?

Il Paradiso.

Era necessario far cadere la Prima Repubblica?

Il mondo era cambiato, l’Italia era un paese strategicamente al confine tra due sistemi politici e bisognava cambiarne i registi.

Edda Cinarelli

Se le scienziate italiane conquistano il mondo – di Elena Dusi

“Le chiamano scienze dure: matematica, fisica, ingegneria. E serve un impegno enorme, per arrivare ai vertici. Anna Grassellino da Marsala, classe 1981, ne è un esempio. Il suo campo è la superconduttività a radiofrequenza. Il Department of Energy americano le ha appena messo in mano 115 milioni di dollari per realizzare il nuovo centro di calcolo quantistico che si chiama Superconducting Quantum Materials and Systems Center, Sqms per dirlo in modo semplice”. Così scrive Elena Dusi su “la Repubblica”.

“Di centri come questo, gli Stati Uniti ne hanno 5” spiega lei. “Gli altri 4 sono diretti da uomini”. Fare ricerca nel calcolo quantistico non è solo complicato dal punto di vista tecnico. È anche delicato dal punto di vista geopolitico. Calcolatori che funzionino con i principi della meccanica quantistica o comunicazioni criptate impossibili da spiare sono un’ambizione cui lavorano alacremente anche gli europei, ma soprattutto i cinesi.
In Italia ci lamentiamo della scarsa presenza delle donne nelle scienze dure. “Ma in America ci considerano come un modello” racconta Grassellino. “Abbiamo molte più studentesse nelle facoltà scientifiche rispetto agli Stati Uniti”. I problemi da noi arrivano dopo la laurea, quando si tratta di progredire nella carriera. “Lì gli Usa sono un ambiente più aperto. Mai incontrato ostilità per il mio genere”.

Al centro guidato da Grassellino lavorerà anche un gruppo di scienziate italiane dell’Infn, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. “Sono tante e bravissime. Mi aspetto un grande aiuto da loro”.

I grandi ambienti della ricerca, come il Fermilab a Chicago di Anna Grassellino o il Cern di Ginevra guidato da Fabiola Gianotti, sono in realtà mondi un po’ a parte, dove i capi degli esperimenti si chiamano portavoce, sono eletti democraticamente dai colleghi e nell’affrontare argomenti tecnici non hanno più voce in capitolo dell’ultimo dei dottorandi. È il risultato scientifico che conta e chiunque dia sostegno alla propria tesi con un calcolo che torna o un esperimento che funziona, ha ragione.

Marica Branchesi che lavora al Gssi dell’Aquila (altro ambiente geograficamente situato in Italia, ma ispirato alle regole dei laboratori stranieri) e ha annunciato la prima onda gravitazionale nel 2016, Barbara Caputo e Rita Cucchiara che sono ai vertici della ricerca sull’intelligenza artificiale e Lucia Votano che ha diretto i laboratori del Gran Sasso sono altri esempi di questo principio. Ma ogni grande donna, nella scienza, ha in genere accanto a sé un grande uomo. “Mio marito è un collega e una persona speciale” spiega Grassellino. “Insieme abbiamo tre figli. Facciamo di tutto per aiutarci, e devo ammettere che anche lui è una roccia””. (aise) 

Fonte https://www.aise.it/rassegna-stampa/se-le-scienziate-italiane-conquistano-il-mondo–di-elena-dusi/149438/157

Una maratona di oltre cinque ore al Festival delle Spartenze

Una maratona online durata oltre cinque ore ha tenuto incollati più di cinquemila seguaci ai Pc sparsi in varie parti del mondo nell’incontro virtuale sui temi della casa, delle radici e del ritorno. Il Festival delle Spartenze chiude il mese di agosto con un appuntamento online sulla propria pagina Facebook dove, in una videochiamata di gruppo, si sono intervallati esponenti politici, figure istituzionali nell’ambito della emigrazione italiana, italodiscendenti di varie parti del mondo, professori universitari e musicisti.

Condotta dalla redattrice Erminia Madeo e dal direttore del Festival Giuseppe Sommario, la serata è iniziata alle 19.30, ora italiana (corrispondenti alle 14,30 dell’Argentina) e ha visto i saluti del sindaco di Paludi, Stefano Graziano, collegato telefonicamente.

Paludi è il comune in cui ha preso vita il Piccolo Festival delle Spartenze nel 2016 e dove risiede l’associazione Assud che l’ha ideato e realizzato. A questo proposito, ha portato i saluti il presidente Onofrio Sommario, che ha letto una lettera pervenuta dal ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini, nella quale riconosce la valenza culturale del lavoro fatto e affida alla lingua italiana il compito di unire le persone che fisicamente sono lontane con il proprio paese natio.

Un ulteriore saluto introduttivo è arrivato dal vescovo Monsignor Giuseppe Satriano, che, attraverso un videomessaggio, ha augurato una buona prosecuzione dei lavori. Il sindaco di Cropalati, Luigi Lettieri, ha salutato i presenti con un messaggio, non riuscendo a prendere parte alla serata.

Il digitale può colmare, tenere insieme, dare nuovi sguardi. È questo il senso della diretta Facebook, che colma l’impossibilità di realizzare il raduno che ogni anno riempie i borghi di Paludi e Cropalati di giovani e meno giovani che raggiungono la Calabria con l’intento di scoprire la terra dei propri avi.

Giovanni De Vita, consigliere d’ambasciata, diplomatico del Ministero degli Esteri (Direzione Generale degli Italiani all’Estero), sottolinea il vasto patrimonio delle storie dei migranti italiani a volte poco conosciuto. Quindi, dopo aver portato i saluti del Direttore generale Luigi Maria Vignali, si è poi soffermato sull’importanza della rete italiana all’estero per riaffermare un senso d’apparenza comune, per rafforzare il legame fra chi è partito e l’Italia.

Un saluto da Montreal è arrivato dal presidente Comites della città, Giovanna Giordano, che nelle edizioni precedenti ha preso parte alle attività del festival.

L’Italia viene presentata a tutti gli amici collegati dal Sud America, dal Nord America e da vari paesi europei grazie alle spiegazioni della geografa Sandra Leonardi delle università di Roma Tor Vergata e Sapienza, coadiuvata dalle immagini satellitari di Google Earth, che hanno mostrato le catene montuose e le pianure che caratterizzano la morfologia del Bel Paese.

Fucsia Nissoli, onorevole eletta con Forza Italia nel Nord America, ha salutato tutti con una telefonata dalla Sicilia, mentre Fabio Porta (già deputato Pd eletto in Sud America, presidente dell’associazione di amicizia Italia-Brasile) riconosce nel festival la capacità di dare indicazioni per la ripresa sociale, culturale ed economica del Paese.

Intermezzi musicali per allietare la lunga chiacchierata intrapresa sono stati offerti in momenti diversi da Peppe Voltarelli e dai Sabatum Quartet in videomessaggi realizzati appositamente, mentre in videochiamata si sono collegati Corrado Fonsi e Nunzia Caravetta, che hanno suonato e cantato canzoni della tradizione, Paola Castignola e il marito arabo Jair, che hanno suonato Amara terra mia e un tango argentino.

Alcune regioni italiane sono state rappresentate da vari esponenti che hanno illustrato le attività portate avanti dalle Regioni per tenere saldo il legame con i propri emigrati sparsi per il mondo.

Per l’Abruzzo c’è stata Anna Bongiovanni, dell’ufficio emigrazione della Regione; per il Molise Maria Tirabasso, responsabile Molisani nel mondo, insieme a Maxi Manzo (membro della consulta molisana e abruzzese nel comune di Buenos Aires), che hanno presentato il progetto sul turismo delle radici della Regione Molise; per la Basilicata Luigi Scaglione, del Centro Lucani nel mondo, che si è collegato da Scalea dove si trova in villeggiatura.
Raffaele Iaria, dell’Ufficio stampa della Migrantes, ha parlato di stampa italiana all’estero, mentre Maria Chiara Prodi, presidente della commissione VII del CGIE “Nuove Migrazioni e Generazioni Nuove”, insiste sulla rete che si sta costruendo per facilitare gli scambi, la conoscenza, la formazione.

Domenico Servello, del Centro Scuola Lingua e Cultura di Toronto, crede nell’interazione tra i paesi e auspica che i viaggi di ritorno in Calabria siano incentivati dalle istituzioni.

Alessandro Fusacchia, parlamentare eletto in Europa, ha salutato attraverso un breve videomessaggio; quindi, Delfina Licata, della fondazione Migrante, curatrice del rapporto italiani nel mondo, ha dato un inquadramento generale sul tema e presentato il progetto di ricerca sul Turismo delle Radici “Scoprirsi Italiani: i viaggi delle radici in Italia”, per il quale ha invitato a compilare un questionario online che renderà possibile ricostruire il profilo del viaggiatore delle radici.

Michele Schiavone, segretario generale del Consiglio generale degli italiani all’estero, ha dato molto risalto al valore economico che acquisisce il turismo delle radici: non solo nostalgia, memoria ma anche ricchezza.
L’Italia è un sentiero. Lo dimostrano i cammini che attraversano la penisola dalle Alpi alla Sicilia dando ai piccoli comuni il ruolo di presidio del territorio. In maniera rappresentativa, sono stati scelti tre cammini che caratterizzano il Nord, il Centro e il Sud. Il Prof. Gabriele Archetti (ordinario storia medievale alla università Cattolica di Milano e presidente del Centro studi Longobardi) ha illustrato i 7 Siti Longobardi ora Patrimonio Unesco, che dal Friuli vanno in Lombardia, prima di spostarsi in altre regioni del centro.

Sara Carallo, dell’associazione A piedi liberi, ha spiegato il Cammino della Regina Camilla, la regina dei Volsci, che partirà nel prossimo autunno nella Valle dell’Amaseno, nel Lazio. Per il Sud Italia, Carmine Lupia ha presentato il cammino di recente costituzione lungo le tracce dei monaci che hanno segnato i borghi dell’entroterra calabrese, il Cammino Basiliano.

Parlare di emigrazione attraverso la letteratura. Lo ha fatto Antonio Cavallaro, responsabile comunicazione della casa editrice Rubbettino, che ha presentato Saverio Strati e il suo romanzo Tibi e Tascia in un interessante videomessaggio.

L’ultima parte del lungo collegamento, quando ormai si era andata oltre l’una di notte, è stata dedicata alla Calabria. Continuando il lavoro di “PuntoCalabro” (iniziato lo scorso 2 agosto), il direttore del Festival Giuseppe Sommario ha rilanciato il progetto della redazione mondiale dei Giovani Calabresi che sarà portato avanti nei prossimi mesi. Poi, insieme a Mariel Pitton Straface (del Campus AsSud e Direttrice del Balletto dell’Associazione Calabrese di Buenos Aires), collegata dall’Argentina, ha presentato il video con i contributi dei tanti Calabresi e Calabrodiscendenti che vivono fuori regione, dando così voce ai veri protagonisti dell’evento che vuole ricongiungere pezzi di un popolo che da secoli è costretto a lasciare la propria terra. Quindi, la stessa Mariel ha raccontato la sua esperienza di emigrata di terza generazione che è tornata in Calabria alla ricerca delle sue radici.
Dopo i ringraziamenti che sono stati rivolti a tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione dell’evento, all’associazione Assud, al tecnico video Gianluca Virelli, e a tutti coloro che hanno seguito i lavori, la conclusione è stata affidata al video “VOCI del FESTIVAL”, i contribuiti video di amici del Festival (molti dei quali già presenti nelle scorse edizioni del Festival) sui temi del “sentirsi a casa” e di come sarà la comunità nel mondo che verrà. (aise) 

Fonte https://www.aise.it/comunit%C3%A0/una-maratona-di-oltre-cinque-ore-al-festival-delle-spartenze-2020/149411/157

Papa Francesco: la carità cristiana non è semplice filantropia

“La carità sempre è la via maestra del cammino di fede, della perfezione della fede”, per questo “non è semplice filantropia”. Così Papa Francesco che ieri ha recitato, prima l’Angelus insieme ai fedeli a piazza San Pietro. Prima della preghiera mariana, il Papa ha richiamato la pagina del vangelo di Matteo sulla professione di fede di Pietro che, provocato da Gesù – “voi chi dite che io sia?” – con slancio risponde “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”.

“Tutto il cammino di Gesù con quelli che lo seguono, specialmente con i Dodici, è un cammino di educazione della loro fede”, ha spiegato Francesco. “Prima di tutto Egli chiede: “La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”. Agli apostoli piaceva parlare della gente, come a tutti noi. Il pettegolezzo piace. Parlare degli altri non è tanto impegnativo, per questo, perché ci piace; anche “spellare” gli altri. In questo caso è già richiesta la prospettiva della fede e non il pettegolezzo, cioè chiede: “Che cosa dice la gente che io sia?”. E i discepoli sembrano fare a gara nel riferire le diverse opinioni, che forse in larga parte essi stessi condividevano. Loro stessi condividevano. In sostanza, Gesù di Nazaret era considerato un profeta”.

“Con la seconda domanda, – ha osservato il Santo Padre – Gesù li tocca sul vivo: “Ma voi, chi dite che io sia?”. A questo punto, ci sembra di percepire qualche istante di silenzio, perché ciascuno dei presenti è chiamato a mettersi in gioco, manifestando il motivo per cui segue Gesù; per questo è più che legittima una certa esitazione. Anche se io adesso domandassi a voi: “Per te, chi è Gesù?”, ci sarà un po’ di esitazione. Li toglie d’imbarazzo Simone, che con slancio dichiara: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Questa risposta, così piena e luminosa, – ha sottolineato Bergoglio – non gli viene dal suo impulso, per quanto generoso – Pietro era generoso –, ma è frutto di una grazia particolare del Padre celeste. Gesù stesso infatti gli dice: “Né carne né sangue te lo hanno rivelato – cioè la cultura, quello che hai studiato – no, questo non te l’ha rivelato. Te lo ha rivelato il Padre mio che è nei cieli”. Confessare Gesù è una grazia del Padre. Dire che Gesù è il Figlio di Dio vivo, che è il Redentore, è una grazia che noi dobbiamo chiedere: “Padre, dammi la grazia di confessare Gesù”. Nello stesso tempo, il Signore riconosce la pronta corrispondenza di Simone all’ispirazione della grazia e quindi aggiunge, in tono solenne: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa”. Con questa affermazione, Gesù fa capire a Simone il senso del nuovo nome che gli ha dato, “Pietro”: la fede che ha appena manifestato è la “pietra” incrollabile sulla quale il Figlio di Dio vuole costruire la sua Chiesa, cioè la Comunità. E la Chiesa va avanti sempre sulla fede di Pietro, su quella fede che Gesù riconosce in Pietro e lo fa capo della Chiesa”.

Oggi, ha detto ancora il Papa, “sentiamo rivolta a ciascuno di noi la domanda di Gesù: “E voi, chi dite che io sia?”. A ognuno di noi. E ognuno di noi deve dare una risposta non teorica, ma che coinvolge la fede, cioè la vita, perché la fede è vita! “Per me tu sei …”, e dire la confessione di Gesù. Una risposta che richiede anche a noi, come ai primi discepoli, l’ascolto interiore della voce del Padre e la consonanza con quello che la Chiesa, raccolta attorno a Pietro, continua a proclamare. Si tratta di capire chi è per noi Cristo: se Lui è il centro della nostra vita, se Lui è il fine di ogni nostro impegno nella Chiesa, del nostro impegno nella società. Chi è Gesù Cristo per me? Chi è Gesù Cristo per te, per te, per te… Una risposta che noi dovremmo dare ogni giorno”.

“Ma state attenti”, ha avvertito Francesco: “è indispensabile e lodevole che la pastorale delle nostre comunità sia aperta alle tante povertà ed emergenze che sono dappertutto. La carità sempre è la via maestra del cammino di fede, della perfezione della fede. Ma è necessario che le opere di solidarietà, le opere di carità che noi facciamo, non distolgano dal contatto con il Signore Gesù. La carità cristiana non è semplice filantropia ma, da una parte, è guardare l’altro con gli occhi stessi di Gesù e, dall’altra parte, è vedere Gesù nel volto del povero. Questa – ha rimarcato – è la strada vera della carità cristiana, con Gesù al centro, sempre. Maria Santissima, beata perché ha creduto, ci sia guida e modello nel cammino della fede in Cristo, e ci renda consapevoli che la fiducia in Lui dà senso pieno alla nostra carità e a tutta la nostra esistenza”.

Dopo l’Angelus, il Papa ha rivolto un pensiero alle vittime del terremoto che ha colpito l’Italia Centrale, il 24 agosto di quattro anni fa: “rinnovo la preghiera per le famiglie e le comunità che hanno subito maggiori danni, perché possano andare avanti con solidarietà e speranza; e mi auguro che si acceleri la ricostruzione, affinché la gente possa tornare a vivere serenamente in questi bellissimi territori dell’Appennino”. (aise) 

Fonte https://www.aise.it/angelus/francesco-la-carit%C3%A0-cristiana-non-%C3%A8-semplice-filantropia/149311/157

Taglio dei parlamentari italiani – di Stefano Buda e Stefania Pelusi

“Il 20 e il 21 settembre prossimi in Italia si voterà per il referendum sul taglio dei parlamentari. Si tratta di una tematica particolarmente controversa, alla luce dei modestissimi risparmi che produrrebbe, a fronte di un restringimento della rappresentatività dei cittadini e dei territori. Gli italiani, tuttavia, sembrano avere le idee chiare, tanto da rendere praticamente scontato l’esito del referendum. Sulla base dei sondaggi, infatti, l’81% degli elettori considera giusto il provvedimento”. Parte da queste riflessioni il lungo articolo di approfondimento sul voto ormai prossimo scritto a quattro mani da Stefano Buda Stefania Pelusi e pubblicato da Comunità Italiana, giornale diretto da Pietro Petraglia Rio de Janeiro.

“Difficile che tale orientamento possa subire cambiamenti significativi nelle prossime settimane, anche perché la discussione riguardante la riforma, è stata sostanzialmente ignorata dai media italiani. Peraltro, ad agevolare il compito del partito del Sì, c’è il fatto che trattandosi di un referendum confermativo non è previsto un quorum e per vincere sarà sufficiente ottenere un voto in più dello schieramento avverso. Il fronte del No ad ogni modo sta scaldando i motori ed è pronto a vendere cara la pelle.

Cosa prevede la riforma

La riforma sulla quale gli italiani saranno chiamati ad esprimersi prevede che i parlamentari scendano da 315 a 200 al Senato e da 630 a 400 alla Camera. Se vincerà il Sì, dunque, saranno eliminate in un colpo solo 345 poltrone. Il taglio riguarderà anche i parlamentari eletti all’estero e i senatori a vita, che continueranno ad essere nominati dal Capo dello Stato, ma non potranno essere più di 5. Inoltre nessuna Regione o Provincia autonoma potrà avere meno di 3 senatori, ad eccezione di Molise e Val d’Aosta che a Palazzo Madama invieranno un solo rappresentante ciascuno.

In Italia si registra un livello di consenso quasi plebiscitario rispetto alla riforma. È la cartina di tornasole dell’incapacità dimostrata dalla politica, di fornire risposte ai bisogni dei cittadini. Senza dimenticare la questione morale, messa a nudo dalle continue e ripetute inchieste della magistratura nei confronti dei politici. Non può sorprendere, allora, che gli italiani siano in larga parte a favore del taglio dei parlamentari, nonostante i benefici previsti, nel concreto, appaiano piuttosto modesti: la soppressione di 345 stipendi consentirebbe infatti di risparmiare appena 50 milioni di euro l’anno. Una goccia nell’oceano. Anche per questo le argomentazioni dei promotori della riforma si sono concentrate principalmente sul tema della semplificazione legislativa.

Il partito del Sì sostiene infatti che un numero particolarmente alto di parlamentari comporta anche un numero molto elevato di nuove leggi, che spesso si rivelano inutili e finiscono soltanto per ingolfare i lavori parlamentari. Se si volge lo sguardo al resto d’Europa, in effetti, solo il Regno Unito, con 945 parlamentari, presenta un numero più elevato di rappresentanti politici. Se però la riforma dovesse essere approvata, l’Italia rischia di passare da un eccesso all’altro, dal momento che verrebbe immediatamente superata da Francia, Germania e Spagna. La forza politica che con maggiore vigore spinge per il taglio è il Movimento 5 Stelle, che ha sempre fatto della lotta agli sprechi una sua bandiera. Primo firmatario della legge di riforma, è l’attuale ministro degli Esteri ed ex capo politico del movimento Luigi Di Maio.

Nell’ottobre scorso la Camera aveva votato, quasi all’unanimità, a favore del testo: ai pentastellati si erano aggiunte le forze di maggioranza, ovvero Partito Democratico, Italia Viva, Liberi e Uguali, ma anche quelle di opposizione, vale a dire Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Ci si sarebbe dunque aspettati che la legge passasse, senza ricorrere ad alcun referendum confermativo, che può essere richiesto ma non è obbligatorio. E invece un buon numero di parlamentari, trasversali alle forze politiche, ha deciso di giocare anche quest’ultima carta nel tentativo di porre un argine alla riforma. Sono in tanti a temere di finire fuori gioco a causa del taglio, ma non tutti possono concedersi il lusso di uscire allo scoperto.

Favorevoli e contrari

Le due fazioni referendarie sono ancora molto liquide e non si sono ancora delineati con chiarezza gli schieramenti. All’interno di molti partiti, anzi, si segnalano punti di vista e linee di pensiero divergenti. Sicuramente però a settembre, quando si entrerà nel vivo, le posizioni tenderanno a cristallizzarsi. L’unica forza politica che, con assoluta certezza, si spenderà senza riserva per il Sì, è il Movimento 5 Stelle.

“Voterò a favore – spiega Giuseppe Brescia, presidente della commissione Affari costituzionali della Camera e deputato pentastellato – perché in questo modo sarà ricucito il rapporto tra gli eletti e gli elettori”. Brescia tiene a sottolineare che “il sì nell’urna rappresenta soltanto l’ultimo passo di un percorso che è stato possibile attivare, in parlamento, solo grazie all’impegno e alla determinazione del Movimento 5 Stelle”. Il deputato mette in luce che “dopo decenni di promesse, rivelatesi delle autentiche prese in giro, finalmente grazie a noi la politica può recuperare fiducia e credibilità tra i cittadini”. Quanto agli effetti che l’eventuale vittoria del Sì produrrebbe sulla vita politica e sulla qualità democratica del Paese, Brescia ritiene che “il referendum rappresenterà un fattore di profonda innovazione delle istituzioni”. In particolare evidenzia che “dopo il sì alla riforma sarà necessario cambiare i regolamenti parlamentari, mettendo in campo soluzioni che consentano di assumere decisioni in modo veloce ed efficiente”. Per l’esponente pentastellato, “il vero risparmio sarà rappresentato dal miglioramento dei processi decisionali, che consentirà di assegnare al parlamento un ruolo di vero ed effettivo protagonista, rafforzandolo nel suo rapporto con il Governo”.

Di tutt’altro avviso Lucio Malan, senatore di Forza Italia, che dichiara apertamente tutta la sua contrarietà alla riforma. “Voterò no perché si tratta di una riforma populista e demagogica, che getta solo fumo negli occhi agli elettori – dice Malan -. Otterremmo un risparmio teorico di 50 milioni all’anno, ovvero una cifra che lo Stato spende in 29 minuti, a fronte di un totale della spesa statale di 907 miliardi”. Secondo Malan “una piccola modifica positiva, proposta da qualunque parlamentare, ci farebbe risparmiare molto di più e io stesso con un singolo intervento sull’attività dell’Anas, ho consentito alla Corte dei Conti di recuperare oltre 600 milioni sprecati”. A giudizio del senatore forzista “il problema vero è che oggi i parlamenti contano poco al cospetto degli altri poteri, pur essendo i parlamentari gli unici ad essere scelti dai cittadini”. Malan inoltre mette in luce che “il numero dei parlamentari, rispetto alla popolazione, in Italia è pari a 1,57 ogni 100mila abitanti, ovvero il sesto più basso tra i 27 Paesi dell’Unione Europea e basterebbe scendere a 560 deputati e 280 senatori per andare al secondo posto”.

Il parlamentare del centrodestra si sofferma sulle ripercussioni per la rappresentanza parlamentare degli italiani residenti all’estero. “I 5 milioni di nostri connazionali che vivono fuori dall’Italia si troveranno ad avere appena 4 senatori, mentre gli 850mila del Trentino-Alto Adige ne avranno 6, inoltre ogni ripartizione avrà un solo eletto, dunque la maggioranza degli elettori non sarà rappresentata perché il primo partito è sempre stato tra il 25% e il 35% dei voti”. L’esponente di FI crede che ci siano ancora dei margini per una vittoria del No. “Se i cittadini avranno una informazione che sia, se non proprio onesta, quanto meno ampia, il No può vincere, se invece prevarrà la propaganda della menzogna, che racconta di chissà quali risparmi con cui fare chissà quali meraviglie, allora vincerà il Sì”. Malan aggiunge che “tra l’altro i partiti di governo a favore del taglio, stanno aumentando a dismisura i collaboratori dei ministri, spesso pagati più di un parlamentare, nominando centinaia di persone, non elette da nessuno, nelle task forces governative”. In conclusione, “se vincesse il Sì – a giudizio di Malan – gli italiani risulterebbero meno rappresentati, meno tutelati e meno ascoltati”.

Il CGIE è critico e chiede di rimandare il referendum

Il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE) ha puntato il dito sulle difficoltà gestite dalla rete consolare per organizzare il voto all’estero e ha proposto di scorporare il referendum dalle elezioni amministrative, che prevede la partecipazione solo degli italiani residenti in Italia. “La richiesta è stata motivata soprattutto dal fatto di permettere a tutti gli elettori una ampia partecipazione, viste le particolari situazioni in diversi Paesi, compresi noi, a causa della pandemia. Si tratta di una proposta e fino ad oggi non abbiamo avuto alcuna notizia a rispetto. Ci sono comunque anche dei ricorsi presentati alla Corte Costituzionale” spiega la consigliera del CGIE, Rita Blasioli.

Secondo lei il Brasile, come altri Paesi, sta vivendo la stessa situazione che l’Italia ha attraversato a marzo, quando il referendum è stato posticipato. “Nelle condizioni attuali, nonostante la Farnesina stia organizzando tutta la “macchina” amministrativa, certamente le condizioni sono difficili, ma ciò che mi preoccupa ancora di più, è l’indice di partecipazione, considerando soprattutto il fatto che ad oggi sono pochissimi gli elettori che sanno che si tratta di un referendum confermativo, dove un unico voto potrà fare la differenza e le conseguenze che una determinata scelta potrà generare. È bene risaltare inoltre che una scarsa partecipazione metterà di nuovo in discussione tutta la nostra rappresentanza all’estero” segnala la consigliera che fa parte del Comitato di Presidenza del CGIE.

Il 4 agosto il presidente del CGIE, Michele Schiavone, e l’ex deputato Fabio Porta, membri del “Comitato democratici per il No”, hanno organizzato un webinar in cui hanno espresso la loro preoccupazione per la decisione di confermare lo svolgimento del referendum proprio mentre le Americhe sono l’epicentro della diffusione del virus nel mondo.

Blasioli ricorda che con la riforma proposta, la circoscrizione dell’America meridionale avrà appena 1 senatore e 2 deputati, inoltre questa riduzione non rispetta le percentuali di proporzionalità tra numero di elettori e rappresentanti. “Quando il voto all’estero ha avuto inizio eravamo circa 2,5 milioni ora siamo più di 6 milioni, quindi è un assurdo pensare che alcune regioni italiane con numero di elettori di molto inferiore al nostro abbiano più rappresentanti” conclude la consigliera.

Appare critico anche il suo collega consigliere del CGIE, Cesare Villone. Secondo lui, la data del Referendum non tiene in considerazione la situazione dei connazionali che dovranno votare per corrispondenza. “La votazione che già in situazione ordinaria, prevede procedure estremamente complesse e che richiedono tempi e disponibilità di personale per i Consolati che devono gestire l’immensa mole di attività che prevede la procedura elettorale, con il risultato inevitabile di un ulteriore rallentamento nell’erogazione dei servizi consolari ordinari; questo in una situazione normale, immaginiamo cosa possa succedere in una situazione emergenziale come quella attuale” afferma Villone.

Anche lui non vede di buon occhio la riforma. “Penso che la riduzione dei parlamentari concepita con un criterio di taglio orizzontale ovvero non tenendo conto della reale situazione di rappresentanza delle collettività territoriali, di fatto penalizzerà ulteriormente la già esigua rappresentanza riservata agli italiani residenti all’estero, che oggi superano i 6 milioni, portando la nostra “XXI Regione Italiana” (regione estero) a regione fantasma” conclude”. (aise)

Fonte https://www.aise.it/rassegna-stampa/taglio-dei-parlamentari-italiani–di-stefano-buda-e-stefania-pelusi/149260/157

Rientri in Italia: aggiornamenti dalla Farnesina

Un nuovo focus di approfondimento rivolto ai cittadini italiani in rientro dall’estero e ai cittadini stranieri in Italia. Lo ha diffuso ieri il Ministero degli Affari Esteri, in seguito al nuovo DPCM 7 agosto 2020, che individua 6 elenchi di Paesi, per i quali sono previsti differenti limitazioni per l’ingresso in Italia.

A – Per San Marino e Città del Vaticano non vi è alcuna limitazione.

B – Per i Paei UE (tranne Croazia, Grecia, Malta, Spagna, Romania e Bulgaria), Schengen, Regno Unito e Irlanda del Nord, Andorra e Principato di Monaco gli gli spostamenti sono consentiti senza necessità di motivazione, quindi anche per turismo, e senza obbligo di isolamento al rientro (tranne Romania e Bulgaria). Rimane l’obbligo di compilare un’autodichiarazione.

C – Quanto a Croazia, Grecia, Malta e Spagna, il Ministro della Salute, con Ordinanza del 12 agosto 2020, oltre a quanto già previsto per i Paesi UE, ha stabilito che coloro che entrano/rientrano in Italia da questi Paesi (dopo soggiorno o anche solo transito) dal 13 agosto e fino a nuovo ordine, debbano anche: presentare un’attestazione di essersi sottoposti, nelle 72 ore antecedenti all’ingresso nel territorio nazionale, ad un test molecolare o antigenico, effettuato per mezzo di tampone e risultato negativo; o in alternativa sottoporsi ad un test molecolare o antigenico, da effettuarsi per mezzo di tampone, al momento dell’arrivo in aeroporto, porto o luogo di confine (ove possibile) o entro 48 ore dall’ingresso nel territorio nazionale presso l’azienda sanitaria locale di riferimento.

Le persone che hanno soggiornato o transitato in questi quattro Paesi devono anche comunicare il loro ingresso nel territorio italiano al Dipartimento di Prevenzione dell’Azienda Sanitaria competente.

Agli obblighi appena descritti per chi entra da Croazia, Grecia, Malta e Spagna, imposti con l’Ordinanza del 12 agosto 2020, si applicano le stesse eccezioni previste dal DPCM 7 agosto 2020.

D – Per Bulgaria e Romania sono consentiti gli spostamenti per qualsiasi ragione da/per questi Paesi ma, al rientro in Italia, vige l’obbligo di isolamento fiduciario e sorveglianza sanitaria, è necessario compilare un’autodichiarazione e si può raggiungere la propria destinazione finale in Italia solo con mezzo privato (è consentito il transito aeroportuale, senza uscire dalle zone dedicate dell’aerostazione).

E – Australia, Canada, Georgia, Giappone, Nuova Zelanda, Ruanda, Repubblica di Corea, Thailandia, Tunisia, Uruguay: sono consentiti gli spostamenti da/per questi Paesi senza necessità di motivazione, quindi anche per turismo. Tuttavia, al rientro in Italia, è necessario sottoporsi ad isolamento fiduciario e sorveglianza sanitaria, compilare un’autodichiarazione e si può raggiungere la propria destinazione finale in Italia solo con mezzo privato (è consentito il transito aeroportuale, senza uscire dalle zone dedicate dell’aerostazione). La rimozione delle limitazioni agli spostamenti dall’Italia verso alcuni Paesi non esclude che questi Paesi possano ancora porre dei limiti all’ingresso.

F – Gli spostamenti da/per il resto del mondo sono consentiti solo in presenza di precise motivazioni, quali: lavoro, motivi di salute o di studio, assoluta urgenza, rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza. Non sono quindi consentiti spostamenti per turismo. Il rientro in Italia da questo gruppo di Paesi è sempre consentito ai cittadini italiani/UE/Schengen e loro familiari, nonché ai titolari di regolare di permesso di soggiorno e loro familiari. Al rientro in Italia da questi Paesi, è necessario sottoporsi ad isolamento fiduciario e sorveglianza sanitaria, compilare un’autodichiarazione nella quale si deve indicare la motivazione che consente il rientro e si può raggiungere la propria destinazione finale in Italia solo con mezzo privato (è consentito il transito aeroportuale, senza uscire dalle zone dedicate dell’aerostazione).

G – Armenia, Bahrein, Bangladesh, Bosnia Erzegovina, Brasile, Cile, Kuwait, Macedonia del Nord, Moldova, Oman, Panama, Perù, Repubblica Dominicana: da questi Paesi è ancora in vigore un divieto di ingresso in Italia, con l’eccezione dei cittadini UE (inclusi i cittadini italiani) e loro familiari che abbiano la residenza anagrafica in Italia da prima del 9 luglio 2020. Sono esclusi dal divieto di ingresso anche equipaggi e personale viaggiante dei mezzi di trasporto e funzionari e agenti diplomatici e personale militare nell’esercizio delle loro funzioni. Gli spostamenti dall’Italia verso questi Paesi sono consentiti solo in presenza di precise motivazioni: lavoro, motivi di salute o di studio, assoluta urgenza, rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza. Non sono quindi consentiti spostamenti per turismo. Al rientro in Italia da questi Paesi, è necessario sottoporsi ad isolamento fiduciario e sorveglianza sanitaria, compilare un’autodichiarazione nella quale si deve indicare la motivazione che consente il rientro (possesso di cittadinanza UE/Schengen o condizione di familiare di cittadino UE e residenza in Italia) e si può raggiungere la propria destinazione finale in Italia solo con mezzo privato (è consentito il transito aeroportuale, senza uscire dalle zone dedicate dell’aerostazione).

H – Kosovo, Montenegro, Serbia: da questi Paesi è ancora in vigore un divieto di ingresso, con l’eccezione dei cittadini UE (inclusi i cittadini italiani) e loro familiari che abbiano la residenza anagrafica in Italia da prima del 16 luglio 2020. Sono esclusi dal divieto di ingresso anche equipaggi e personale viaggiante dei mezzi di trasporto e funzionari e agenti diplomatici e personale militare nell’esercizio delle loro funzioni. Gli spostamenti dall’Italia verso questi Paesi sono consentiti solo in presenza di precise motivazioni: lavoro, motivi di salute o di studio, assoluta urgenza, rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza. Non sono quindi consentiti spostamenti per turismo. Al rientro in Italia da questi Paesi, è necessario sottoporsi ad isolamento fiduciario e sorveglianza sanitaria, compilare un’autodichiarazione nella quale si deve indicare la motivazione che consente il rientro (possesso di cittadinanza UE/Schengen o condizione di familiare di cittadino UE e residenza in Italia) e si può raggiungere la propria destinazione finale in Italia solo con mezzo privato (è consentito il transito aeroportuale, senza uscire dalle zone dedicate dell’aerostazione).

I – Dalla Colombia è in vigore un divieto di ingresso (in base all’Ordinanza del Ministro della Salute del 12 agosto 2020), con l’eccezione dei cittadini UE (inclusi i cittadini italiani) e loro familiari che abbiano la residenza anagrafica in Italia da prima del 13 agosto 2020. Si applicano le stesse restrizioni previste per i Paesi dei due paragrafi precedenti.

La rimozione delle limitazioni agli spostamenti dall’Italia verso alcuni Paesi non esclude che questi Paesi possano ancora porre dei limiti all’ingresso. La Farnesina raccomanda di consultare sempre la Scheda del Paese di interesse su ViaggiareSicuri, per verificare eventuali restrizioni all’ingresso da parte delle autorità locali.

La Farnesina ha inoltre indicato alcune eccezioni. L’obbligo di isolamento fiduciario e sorveglianza sanitaria (e di tampone per Croazia, Grecia, Malta e Spagna) non si applica: all’equipaggio dei mezzi di trasporto e al personale viaggiante; agli ingressi per motivi di lavoro regolati da speciali protocolli di sicurezza, approvati dalla competente autorità sanitaria”. (aise)

Fonte https://www.aise.it/primo-piano/rientri-in-italia-aggiornamenti-dalla-farnesina/149181/160

Argentina: “ovunque si trovi un italiano…” – di Roberto Medici

“È ormai fuori discussione il fatto che la presenza italiana in Argentina ha da sempre contribuito al benessere sociale e particolare della nazione che la ospita”. Si apre così l’articolo a firma di Roberto Medici pubblicato nell’ultimo numero della rivista italoargentina La Voce d’Italia, pubblicata a Buenos Aires.

“Oggi vorrei riportare alla luce la figura di un bravo toscano, nato nel 1832 a Sassetta, provincia di Livorno. Si chiamò Angelo Paganelli, di professione fotografo all’epoca del vetro, il sale ed il bromuro. Assieme al fratello Giuseppe emigrò nel 1860 e si stabilì prima a Còrdoba e dopo a Tucumàn.

Angelo si interessò non solo alle fotografie di società che gli davano da mangiare, ma ritrasse con particolare zelo l’architettura della città, per cui fece adattare una semplice carrozza come laboratorio ambulante per poter disporre sul luogo di tutti gli elementi necessari. In uno di questi percorsi, anno 1869, ritrasse un edificio storico molto caro alla nazione argentina, la Casa de Tucumàn, emblema dell’Indipendenza Nazionale, purtroppo allora in uno stato deplorevole, pronta a crollare. Angelo immortalò la nobile facciata, assieme ad uno dei suoi figli e al cocchiere della carrozza e conservò per anni l’immagine. Visse una lunga vita familiare e come i professione finché morì nel 1928. Purtroppo non seppe mai quanto valore avrebbe avuto tanti anni dopo il suo scatto di quel mezzogiorno tucumano, una semplice foto di un edificio in rovina.

Facciamo ora un salto nel tempo, anno 1943, al rinomato architetto Mario J. Buschiazzo, nipote di un altro grande architetto piemontese, Giovanni Antonio Buschiazzo, cui viene dato l’incarico di ricostruire la facciata della Casa de Tucuman, allora ormai sparita. Solo si conservava il salone principale che il presidente Roca fece proteggere per mezzo della costruzione di un tempietto ornato di fregi operati da Lola Mora.

Buschiazzo non possedeva alcuna traccia della facciata dell’edificio originale . Per fortuna le indagini lo portarono a trovare le fotografie di Paganelli che generosamente aveva conservato o donato a chiunque lo avesse visitato in vita sua.

Grazie alla sua presenza e alla sua opera la “Casita de Tucuman” fu ricostruita alla perfezione e rimane come testimonianza storica per tutti gli argentini… “y para todos aquellos que quieran poblar el territorio nacional””. (aise)

Fonte https://www.aise.it/rassegna-stampa/argentina-ovunque-si-trovi-un-italiano-di-roberto-medici-/149290/157

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