“Il 20 e il 21 settembre prossimi in Italia si voterà per il referendum sul taglio dei parlamentari. Si tratta di una tematica particolarmente controversa, alla luce dei modestissimi risparmi che produrrebbe, a fronte di un restringimento della rappresentatività dei cittadini e dei territori. Gli italiani, tuttavia, sembrano avere le idee chiare, tanto da rendere praticamente scontato l’esito del referendum. Sulla base dei sondaggi, infatti, l’81% degli elettori considera giusto il provvedimento”. Parte da queste riflessioni il lungo articolo di approfondimento sul voto ormai prossimo scritto a quattro mani da Stefano Buda e Stefania Pelusi e pubblicato da Comunità Italiana, giornale diretto da Pietro Petraglia a Rio de Janeiro.
“Difficile che tale orientamento possa subire cambiamenti significativi nelle prossime settimane, anche perché la discussione riguardante la riforma, è stata sostanzialmente ignorata dai media italiani. Peraltro, ad agevolare il compito del partito del Sì, c’è il fatto che trattandosi di un referendum confermativo non è previsto un quorum e per vincere sarà sufficiente ottenere un voto in più dello schieramento avverso. Il fronte del No ad ogni modo sta scaldando i motori ed è pronto a vendere cara la pelle.
Cosa prevede la riforma
La riforma sulla quale gli italiani saranno chiamati ad esprimersi prevede che i parlamentari scendano da 315 a 200 al Senato e da 630 a 400 alla Camera. Se vincerà il Sì, dunque, saranno eliminate in un colpo solo 345 poltrone. Il taglio riguarderà anche i parlamentari eletti all’estero e i senatori a vita, che continueranno ad essere nominati dal Capo dello Stato, ma non potranno essere più di 5. Inoltre nessuna Regione o Provincia autonoma potrà avere meno di 3 senatori, ad eccezione di Molise e Val d’Aosta che a Palazzo Madama invieranno un solo rappresentante ciascuno.
In Italia si registra un livello di consenso quasi plebiscitario rispetto alla riforma. È la cartina di tornasole dell’incapacità dimostrata dalla politica, di fornire risposte ai bisogni dei cittadini. Senza dimenticare la questione morale, messa a nudo dalle continue e ripetute inchieste della magistratura nei confronti dei politici. Non può sorprendere, allora, che gli italiani siano in larga parte a favore del taglio dei parlamentari, nonostante i benefici previsti, nel concreto, appaiano piuttosto modesti: la soppressione di 345 stipendi consentirebbe infatti di risparmiare appena 50 milioni di euro l’anno. Una goccia nell’oceano. Anche per questo le argomentazioni dei promotori della riforma si sono concentrate principalmente sul tema della semplificazione legislativa.
Il partito del Sì sostiene infatti che un numero particolarmente alto di parlamentari comporta anche un numero molto elevato di nuove leggi, che spesso si rivelano inutili e finiscono soltanto per ingolfare i lavori parlamentari. Se si volge lo sguardo al resto d’Europa, in effetti, solo il Regno Unito, con 945 parlamentari, presenta un numero più elevato di rappresentanti politici. Se però la riforma dovesse essere approvata, l’Italia rischia di passare da un eccesso all’altro, dal momento che verrebbe immediatamente superata da Francia, Germania e Spagna. La forza politica che con maggiore vigore spinge per il taglio è il Movimento 5 Stelle, che ha sempre fatto della lotta agli sprechi una sua bandiera. Primo firmatario della legge di riforma, è l’attuale ministro degli Esteri ed ex capo politico del movimento Luigi Di Maio.
Nell’ottobre scorso la Camera aveva votato, quasi all’unanimità, a favore del testo: ai pentastellati si erano aggiunte le forze di maggioranza, ovvero Partito Democratico, Italia Viva, Liberi e Uguali, ma anche quelle di opposizione, vale a dire Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Ci si sarebbe dunque aspettati che la legge passasse, senza ricorrere ad alcun referendum confermativo, che può essere richiesto ma non è obbligatorio. E invece un buon numero di parlamentari, trasversali alle forze politiche, ha deciso di giocare anche quest’ultima carta nel tentativo di porre un argine alla riforma. Sono in tanti a temere di finire fuori gioco a causa del taglio, ma non tutti possono concedersi il lusso di uscire allo scoperto.
Favorevoli e contrari
Le due fazioni referendarie sono ancora molto liquide e non si sono ancora delineati con chiarezza gli schieramenti. All’interno di molti partiti, anzi, si segnalano punti di vista e linee di pensiero divergenti. Sicuramente però a settembre, quando si entrerà nel vivo, le posizioni tenderanno a cristallizzarsi. L’unica forza politica che, con assoluta certezza, si spenderà senza riserva per il Sì, è il Movimento 5 Stelle.
“Voterò a favore – spiega Giuseppe Brescia, presidente della commissione Affari costituzionali della Camera e deputato pentastellato – perché in questo modo sarà ricucito il rapporto tra gli eletti e gli elettori”. Brescia tiene a sottolineare che “il sì nell’urna rappresenta soltanto l’ultimo passo di un percorso che è stato possibile attivare, in parlamento, solo grazie all’impegno e alla determinazione del Movimento 5 Stelle”. Il deputato mette in luce che “dopo decenni di promesse, rivelatesi delle autentiche prese in giro, finalmente grazie a noi la politica può recuperare fiducia e credibilità tra i cittadini”. Quanto agli effetti che l’eventuale vittoria del Sì produrrebbe sulla vita politica e sulla qualità democratica del Paese, Brescia ritiene che “il referendum rappresenterà un fattore di profonda innovazione delle istituzioni”. In particolare evidenzia che “dopo il sì alla riforma sarà necessario cambiare i regolamenti parlamentari, mettendo in campo soluzioni che consentano di assumere decisioni in modo veloce ed efficiente”. Per l’esponente pentastellato, “il vero risparmio sarà rappresentato dal miglioramento dei processi decisionali, che consentirà di assegnare al parlamento un ruolo di vero ed effettivo protagonista, rafforzandolo nel suo rapporto con il Governo”.
Di tutt’altro avviso Lucio Malan, senatore di Forza Italia, che dichiara apertamente tutta la sua contrarietà alla riforma. “Voterò no perché si tratta di una riforma populista e demagogica, che getta solo fumo negli occhi agli elettori – dice Malan -. Otterremmo un risparmio teorico di 50 milioni all’anno, ovvero una cifra che lo Stato spende in 29 minuti, a fronte di un totale della spesa statale di 907 miliardi”. Secondo Malan “una piccola modifica positiva, proposta da qualunque parlamentare, ci farebbe risparmiare molto di più e io stesso con un singolo intervento sull’attività dell’Anas, ho consentito alla Corte dei Conti di recuperare oltre 600 milioni sprecati”. A giudizio del senatore forzista “il problema vero è che oggi i parlamenti contano poco al cospetto degli altri poteri, pur essendo i parlamentari gli unici ad essere scelti dai cittadini”. Malan inoltre mette in luce che “il numero dei parlamentari, rispetto alla popolazione, in Italia è pari a 1,57 ogni 100mila abitanti, ovvero il sesto più basso tra i 27 Paesi dell’Unione Europea e basterebbe scendere a 560 deputati e 280 senatori per andare al secondo posto”.
Il parlamentare del centrodestra si sofferma sulle ripercussioni per la rappresentanza parlamentare degli italiani residenti all’estero. “I 5 milioni di nostri connazionali che vivono fuori dall’Italia si troveranno ad avere appena 4 senatori, mentre gli 850mila del Trentino-Alto Adige ne avranno 6, inoltre ogni ripartizione avrà un solo eletto, dunque la maggioranza degli elettori non sarà rappresentata perché il primo partito è sempre stato tra il 25% e il 35% dei voti”. L’esponente di FI crede che ci siano ancora dei margini per una vittoria del No. “Se i cittadini avranno una informazione che sia, se non proprio onesta, quanto meno ampia, il No può vincere, se invece prevarrà la propaganda della menzogna, che racconta di chissà quali risparmi con cui fare chissà quali meraviglie, allora vincerà il Sì”. Malan aggiunge che “tra l’altro i partiti di governo a favore del taglio, stanno aumentando a dismisura i collaboratori dei ministri, spesso pagati più di un parlamentare, nominando centinaia di persone, non elette da nessuno, nelle task forces governative”. In conclusione, “se vincesse il Sì – a giudizio di Malan – gli italiani risulterebbero meno rappresentati, meno tutelati e meno ascoltati”.
Il CGIE è critico e chiede di rimandare il referendum
Il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE) ha puntato il dito sulle difficoltà gestite dalla rete consolare per organizzare il voto all’estero e ha proposto di scorporare il referendum dalle elezioni amministrative, che prevede la partecipazione solo degli italiani residenti in Italia. “La richiesta è stata motivata soprattutto dal fatto di permettere a tutti gli elettori una ampia partecipazione, viste le particolari situazioni in diversi Paesi, compresi noi, a causa della pandemia. Si tratta di una proposta e fino ad oggi non abbiamo avuto alcuna notizia a rispetto. Ci sono comunque anche dei ricorsi presentati alla Corte Costituzionale” spiega la consigliera del CGIE, Rita Blasioli.
Secondo lei il Brasile, come altri Paesi, sta vivendo la stessa situazione che l’Italia ha attraversato a marzo, quando il referendum è stato posticipato. “Nelle condizioni attuali, nonostante la Farnesina stia organizzando tutta la “macchina” amministrativa, certamente le condizioni sono difficili, ma ciò che mi preoccupa ancora di più, è l’indice di partecipazione, considerando soprattutto il fatto che ad oggi sono pochissimi gli elettori che sanno che si tratta di un referendum confermativo, dove un unico voto potrà fare la differenza e le conseguenze che una determinata scelta potrà generare. È bene risaltare inoltre che una scarsa partecipazione metterà di nuovo in discussione tutta la nostra rappresentanza all’estero” segnala la consigliera che fa parte del Comitato di Presidenza del CGIE.
Il 4 agosto il presidente del CGIE, Michele Schiavone, e l’ex deputato Fabio Porta, membri del “Comitato democratici per il No”, hanno organizzato un webinar in cui hanno espresso la loro preoccupazione per la decisione di confermare lo svolgimento del referendum proprio mentre le Americhe sono l’epicentro della diffusione del virus nel mondo.
Blasioli ricorda che con la riforma proposta, la circoscrizione dell’America meridionale avrà appena 1 senatore e 2 deputati, inoltre questa riduzione non rispetta le percentuali di proporzionalità tra numero di elettori e rappresentanti. “Quando il voto all’estero ha avuto inizio eravamo circa 2,5 milioni ora siamo più di 6 milioni, quindi è un assurdo pensare che alcune regioni italiane con numero di elettori di molto inferiore al nostro abbiano più rappresentanti” conclude la consigliera.
Appare critico anche il suo collega consigliere del CGIE, Cesare Villone. Secondo lui, la data del Referendum non tiene in considerazione la situazione dei connazionali che dovranno votare per corrispondenza. “La votazione che già in situazione ordinaria, prevede procedure estremamente complesse e che richiedono tempi e disponibilità di personale per i Consolati che devono gestire l’immensa mole di attività che prevede la procedura elettorale, con il risultato inevitabile di un ulteriore rallentamento nell’erogazione dei servizi consolari ordinari; questo in una situazione normale, immaginiamo cosa possa succedere in una situazione emergenziale come quella attuale” afferma Villone.
Anche lui non vede di buon occhio la riforma. “Penso che la riduzione dei parlamentari concepita con un criterio di taglio orizzontale ovvero non tenendo conto della reale situazione di rappresentanza delle collettività territoriali, di fatto penalizzerà ulteriormente la già esigua rappresentanza riservata agli italiani residenti all’estero, che oggi superano i 6 milioni, portando la nostra “XXI Regione Italiana” (regione estero) a regione fantasma” conclude”. (aise)
Fonte https://www.aise.it/rassegna-stampa/taglio-dei-parlamentari-italiani–di-stefano-buda-e-stefania-pelusi/149260/157