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February 2020

La barriera corallina siciliana

Che i mari della Sicilia siano splendidi è risaputo. La recente ricerca condotta dall’istituto Oceana, però, porta a galla il fatto che i fondali delle Eolie ospitino un incredibile bosco sottomarino fatto di specie rare, alcune persino a rischio estinzione e altre ancora sconosciute.

Sulla base di queste scoperte, Oceana sosterrà la designazione di un’area marina protetta nell’arcipelago, con l’obiettivo di preservare il ricco patrimonio naturale delle sue acque.

“Sebbene il mare profondo si trovi appena al largo delle coste delle Isole Eolie, queste acque rimangono in gran parte inesplorate e nascondono una biodiversità molto ricca. Abbiamo trovato decine di elementi che sono protetti a livello internazionale nel Mediterraneo, dagli imponenti fondali coralligeni alle tartarughe caretta e molte specie di coralli e molluschi. Tuttavia, abbiamo potuto constatare gli effetti diffusi dell’attività umana anche nelle aree più lontane e profonde, ed è fondamentale che si impedisca di danneggiare la vita marina se vogliamo preservare l’unicità di questa porzione del Mar Tirreno” ha spiegato Ricardo Aguilar, direttore della ricerca per Oceana in Europa.

Utilizzando il catamarano di ricerca Oceana Ranger, i ricercatori sono riusciti a filmare e scattare fotografie fino a 981 metri di profondità con un robot subacqueo e raccolto campioni dal fondo del mare. I lavori in mare sono stati progettati in modo da studiare ambienti molto diversi tra loro, tra cui montagne, banchi sottomarini e le venute idrotermali formate dall’attività vulcanica.

Nelle acque più superficiali esaminate, gli scienziati hanno trovato aree dominate da alghe rosse, come i fondali coralligeni, che alimentavano giardini densi di gorgonie e grandi banchi di pesci come il sugarello. A profondità intermedie sono stati filmati coralli neri con numerose uova di squalo, coralli rossi e coralli molli gialli, entrambi a rischio nel Mediterraneo.

Le aree più profonde, invece, hanno mostrato incredibili foreste di coralli bambù e habitat caratterizzati da specie carnivore, come alcune ascidie e spugne. Sono stati documentati anche una specie di stella marina (Zoroaster fulgens) mai vista prima nel Mediterraneo e una specie ittica (Gobius kolombatovici) che in precedenza si credeva si trovasse solo nel mar Adriatico settentrionale.

Ushuaia, bellezza, storie di anarchici e d’italiani

Ushuaia è la capitale della provincia argentina della Terra del Fuoco. Un territorio incantato, bello e quasi disabitato con 152,317 abitanti in tutto, concentrati nei due centri urbani più importanti: Ushuaia, Rio Grande e in alcuni paesini.

La città, più australe del mondo, è oggi un centro turistico molto importante, che attrae visitatori da tutto il pianeta, dei suoi abitanti pochi sono originari del posto, nella maggior parte sono argentini di tutte le altre province, ivi trasferitisi per lavorare. D’inverno la Terra del Fuoco si copre di un mantello bianco di neve che si adagia sui prati, sui sentieri, in ogni luogo. I corsi d’acqua e i laghi, ghiacciano e si trasformano in sorprendenti piste di ghiaccio su cui pattinare diventa un’avventura.

La capitale, cresciuta intorno ad un carcere di estrema sicurezza, fondato nel 1902, ha una storia avvincente anche se un po’ cupa. Prima c’era una base militare, e lungo il canale del Beagle vivevano gli indigeni Selk’nam. Tra i detenuti celebri, nella decade del ’30 ci sono stati il poeta Ricardo Rojas, il radicale Honorio Pueyrredón e Marcelo Torcuato de Alvear, in carcere per ragioni politiche. Prima ancora Cayetano Godino, chiamato “el petiso orejudo”, assassino di bambini e il celebre anarchico ucraino Simon Radowitzky, che il 14 novembre 1909, aveva ucciso Ramón Lorenzo Falcón, capo della Polizia della capitale. Un omicida, che il 1° maggio 1906 aveva fatto sparare dalla polizia sui manifestanti, quasi tutti anarchici e socialisti italiani, che sfilavano pacificamente e, il 1° maggio 1909, durante la “Semana Roja” ne aveva fatti uccidere undici, il giorno seguente, tanto per non smentirsi, aveva ordinato alla Polizia di disperdere gli operai, che accompagnavano i feretri dei compagni morti. Simon Radowitzky, all’epoca dell’attentato, era minorenne, aveva solo diciassette anni, per questo si è salvato dalla forca ma è stato mandato in quel penitenziario, dove era oggetto di maltrattamenti e costanti burle da parte dei secondini. La sua situazione era tanto grave che altri anarchici come Salvadora Medina Onrubia, moglie di Natalio Felix Botana proprietario del “Diario Critica” e Diego Abad de Santillán, editore del giornale anarchico La Protesta, cercavano di proteggerlo pagando una cronaca giornaliera di quello che gli succedeva. Alla fine il celebre detenuto ha ricevuto l’indulto, il 22 aprile 1930, dal presidente Hipólito Yrigoyen per intercessione di Salvadora Medina Onrubia, più conosciuta come la venere rossa. Il carcere è stato chiuso dal presidente Perón nel 1947.

Dulcis in fundo il centro di Ushuaia, il famoso rione Villaggio e il porto sono stati costruiti da italiani, quasi tutti emiliani, arrivati nella città il 28 ottobre 1948, con la nave Genova, partita dal Ponte dei Mille, dell’omonima città ligure, al seguito dell’imprenditore Carlo Borsari, che aveva ottenuto da Peròn la commessa del lavoro. Gli integranti della spedizione Borsari, così si chiamava, sono quasi tutti ritornati in Italia, nella città sono rimasti alcuni dei loro discendenti, molto pochi. A Buenos Aires, vive l’ing., Ernesto Tagliani, che faceva parte del gruppo. Nel 1948 era giovanissimo e suole ripetere: “Abbiamo fatto la terza guerra mondiale, quella con le avverse condizioni climatiche, dormivamo sul ponte di una nave militare e morivamo dal freddo.”

Adesso in Ushuaia vivono circa 1500 italiani e per loro, su iniziativa, dell’ambasciatore Giuseppe Manzo è stata aperta il 7 novembre 2019 un’Agenzia Consolare Onoraria.

Edda Cinarelli

L’associazione mondiale dei veterinari: ecco che cosa sapere sul coronavirus e gli animali domestici

Prima regola: gli animali da compagnia non diffondono il nuovo Coronavirus. Lo dicono tutte le autorità sanitarie mondiali, ricordando una misura di ordinaria igiene: lavarsi le mani con acqua e sapone dopo ogni contatto con il proprio animale domestico. Detto questo, la World Small Animal Veterinary Association (Wsava), associazione mondiale dei veterinari dei piccoli animali, ha predisposto un documento per aiutare i medici veterinari a rispondere alle domande frequenti sul nuovo coronavirus (Covid-19) e rassicurarli circa il rischio di infezione.

“Sollecitate i proprietari a non lasciarsi prendere dal panico”, raccomanda a tutti la Wsava, perchè cani e gatti non trasmettono il virus. Il presidente della Wsava, Shane Ryan, si è detto preoccupato per il rischio che, a livello globale, Covid-19 “possa determinare un aumento di cani e gatti abbandonati o in condizioni di sotto-accudimento”.

Michael Lappin, presidente del Comitato One Health della Wsava, raccomanda poi ai veterinari di dare ai proprietari i seguenti consigli, qualora fossero in quarantena, anche volontaria: tenere con sé i loro animali da compagnia; tenere i gatti all’interno; provvedere alle cure di eventuali pets che rimangono in casa, nel caso in cui i loro proprietari abbiano familiari o amici ospedalizzati da accudire; contattare il proprio veterinario in caso di domande o dubbi.

Alla domanda “Devo evitare il contatto con animali domestici o altri animali se sono malato?”, occorre rispondere che non bisogna mai maneggiare animali domestici o altri animali quando si è malati. Non fa eccezione il Covid-19. Accorgimento supplementare: indossare una mascherina se il contatto con gli animali è necessario, ad esempio se si è gli unici a prendersene cura. Le persone con diagnosi di Covid-19 dovrebbero stare lontano dagli animali domestici per proteggerli.

Cosa fare, invece, se l’animale ha bisogno di cure ed è stato in contatto con una persona contagiata dal nuovo coronavirus? La raccomandazione è di avvisare il medico veterinario, prima di portarlo direttamente in ambulatorio, di informarlo del contatto del’animale con persona contagiata e di attenersi alle indicazioni della struttura veterinaria.

E sulle preoccupazioni relative agli animali domestici che sono stati in contatto con persone infette da questo virus, il veterinario deve dire che  il virus si sta diffondendo da persona a persona. Ad oggi non ci sono prove chi i cani e i gatti possano essere infettati dal Covid-19.

Cosa si dovrebbe fare con gli animali nelle aree in cui il virus è attivo? Poiché diversi tipi di coronavirus possono causare malattie negli animali, fino a quando non ne sapremo di più sul nuovo Covid-19, nelle aree dove il virus è attivo, bisognerebbe evitare il contatto con gli animali e indossare una mascherina se si interagisce con gli animali o se ne prende cura.

Notazione finale per i medici veterinari: il Comitato della Wsava ha analizzato il possibile ruolo protettivo di vaccini contro il coronavirus enterico canino, nella speranza che possano offrire una protezione incrociata contro Covid-19, concludendo però che “non ci sono prove per affermarlo, poiché il nuovo virus è una variante di coronavirus nettamente diversa”.

pubblicato da Animal-House il 26/02/2020

Reperibile da https://www.ilsecoloxix.it/animal-house/2020/02/26/news/l-associazione-mondiale-dei-veterinari-ecco-che-cosa-sapere-sul-coronavirus-e-gli-animali-domestici-1.38520023

Papa Francesco: “Populismi mi ricordano anni ’30, scontro di civiltà retorica che alimenta odio”

“Mi fanno paura i populismi, mi ricordano gli anni ’30. La retorica dello scontro di civiltà serve solo a giustificare la violenza e ad alimentare lʼodio”. Lo ha detto Papa Francesco la mattina del lunedì 23 febbraio durante l’incontro ‘Mediterraneo frontiera di pace’ che si è tenuto nella Basilica di San Nicola a Bari. Il Pontefice ha parlato di migrazioni, guerre, accoglienza e muri, invitando a non ignorare chi viene nel nostro paese per vivere un’esistenza dignitosa.

Il lunedì 23 febbraio si è tenuto nella nella Basilica di San Nicola a Bari, l’incontro ‘Mediterraneo frontiera di pace’ organizzato dalla Conferenza episcopale italiana. 58 vescovi di 20 Paesi si sono riuniti per ascoltare le parole di Papa Francesco, che ha parlato di guerra, accoglienza, migranti e ritorno dei populismi. Uno scenario che preoccupa il Pontefice, che vede il ritorno del clima politico degli anni ’30. “Mi fanno paura i populismi, mi ricordano gli anni ’30 – ha dichiarato – La retorica dello scontro di civiltà serve solo a giustificare la violenza e ad alimentare lʼodio”. Il riferimento è ovviamente ai migranti che arrivano nel nostro paese in cerca di una vita migliore, e che sono spesso al centro di attacchi d’odio. “Non accettiamo mai che chi cerca speranza per mare muoia senza ricevere soccorso o che chi giunge da lontano diventi vittima di sfruttamento sessuale, sia sottopagato o assoldato dalle mafie”.

Papa Francesco a Bari: “Basta innalzare muri”

Papa Francesco prosegue parlando di accoglienza e integrazione: due percorsi non di facile e immediata attuazione, ma necessari. E per renderli possibili, non si possono innalzare muri perché “ci si preclude l’accesso alla ricchezza di cui l’altro è portatore e che costituisce sempre un’occasione di crescita”. “Tra coloro che nell’area del Mediterraneo più faticano vi sono quanti fuggono dalla guerra o lasciano la loro terra in cerca di una vita degna dell’uomo – ha aggiunto – Il numero di questi fratelli , costretti ad abbandonare affetti e patria e ad esporsi a condizioni di estrema precarietà, è andato aumentando a causa dell’incremento dei conflitti e delle drammatiche condizioni climatiche e ambientali di zone sempre più ampie”. Di fronte a questo dramma, bisogna non essere sordi a chi “sta invocando aiuto”. Non farsi prendere dall’odio, dalla paura, ma tendere una mano a chi soffre. “Si fa strada un senso di paura, che porta ad alzare le proprie difese davanti a quella che viene strumentalmente dipinta come un’invasione – ha aggiunto Papa Francesco – La retorica dello scontro di civiltà serve solo a giustificare la violenza e ad alimentare l’odio”.

Natascia Grbic (pubblicato da Fanpage.it il 23/02/2020)

Reperibile da https://www.fanpage.it/attualita/papa-francesco-populismi-mi-ricordano-anni-30-scontro-di-civilta-retorica-che-alimenta-odio/amp/

Il Florian di Venezia, 300 candeline per il caffè più antico d’Italia

Il Settecento è il secolo dei lumi, della ragione, dei caffè dove viene servita la “negra bevanda” che stimola l’ingegno e corrobora lo spirito. «Quell’acqua nera e bollente» che i baili, gli ambasciatori veneziani, descrivono nelle loro missive dalla Turchia e dall’Egitto, arriva nella città lagunare già nella seconda metà del Seicento. Poi, tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo, per le botteghe da caffè a Venezia è un successo straordinario e si moltiplicano a vista d’occhio: ce ne sono centinaia, in ogni angolo della città. Una di queste, “Alla Venezia Trionfante”, la inaugura Floriano Francesconi il 29 dicembre del 1720: sono due stanzette prese in affitto dai Procuratori di San Marco, sotto i portici delle Procuratie Nuove, nel salotto buono della città.

L’affabilità e la cura con cui Francesconi serve i suoi clienti fanno sì che presto i veneziani ribattezzino nell’uso quotidiano la bottega: “Andemo da Florian!” continuano a ripetere dame e cavalieri e da allora la leggendaria bottega divenuta “Caffè Florian” non ha mai conosciuto un giorno di chiusura nell’arco di tre secoli, nemmeno nei momenti più bui, nemmeno durante le guerre e neanche per l’acqua grande eccezionale del 12 novembre 2019.

Il Florian è stato da subito locale di successo, ritrovo dei personaggi più in vista della città, da Giacomo Casanova a Carlo Gozzi, al fratello Gasparo che crea la prima “Gazzetta Veneta” (1760) e la distribuisce proprio al caffè; perfino Carlo Goldoni si sarebbe ispirato a Floriano Francesconi per tratteggiare la figura di Ridolfo, il protagonista de “La Bottega del caffè”.

Ma a frequentare il Florian sono anche “foresti” famosi come Goethe e Rousseau, ambasciatori e uomini d’alto rango, artisti, intellettuali, politici.

Nell’Ottocento, quando Venezia è sotto il dominio austriaco, al Florian si ritrovano alcuni patriotti veneziani che stanno preparando la rivolta del 1848, capeggiata da Daniele Manin e Niccolò Tommaseo; quando scoppia l’insurrezione contro gli austriaci è al Florian che vengono ricoverati i primi feriti.

Nel 1858 il Caffè cambia proprietà, si ingrandisce e viene sottoposto ad una completa ristrutturazione che lo trasforma in quello che vediamo oggi: uno scrigno di specchi, marmi, velluti, dorature e dipinti, servizi d’argento e porcellane finissime. Ogni stanza ha un nome e decorazioni a tema e continua ad essere ritrovo abituale dei veneziani ma anche tappa obbligata del “grand tour” internazionale. Da Byron a Henry James, Ugo Foscolo, Proust, Dickens, Modigliani e Andy Warhol, D’annunzio e Hemingway, Charlie Chaplin e Clark Gable: chi fa tappa a Venezia fa tappa al Florian.

A fine Ottocento, nella Sala del Senato, sono soliti ritrovarsi il sindaco poeta Riccardo Selvatico e i suoi amici: è qui che nel 1895 nasce l’idea della prima Biennale d’Arte di Venezia. Un legame, quello con l’arte, che continua intenso ancora oggi: in occasione di ogni Biennale il Caffè Florian chiede a un artista di reinventare in chiave contemporaneo una sala del caffè. Sono nate così le installazioni di Bruno Ceccobelli, Mimmo Rotella, Fabrizio Plessi, Gaetano Pesce, Botto&Bruno, Omar Galliani , Aron Demetz, solo per citarne alcuni.

Ora il caffè più antico d’Italia (uno dei più antichi del mondo) si appresta a compiere i suoi primi 300 anni e per festeggiarli è già pronto un francobollo celebrativo e una grande festa a fine anno, oltre a una lunga serie di iniziative che il direttore artistico Stefano Stipitivich sta mettendo a punto con la passione che lo contraddistingue, perché il Florian non è un semplice caffè, è un simbolo universale, è un’esperienza emozionale, è il luogo che tra i suoi tavolini ha visto passare la storia.

L’orchestra suona sempre sul palco davanti ai tavolini in Piazza San Marco e i camerieri in livrea continuano a servire caffè e bevande su vassoi d’argento, senza che il fascino del locale si sia minimamente appannato.

Buon compleanno Caffè Florian.

Silvia Menetto (pubblicato da Il Sole 24 Ore il 20.02.2020)

Reperibile da https://www.ilsole24ore.com/art/florian-300-candeline-il-caffe-piu-antico-d-italia-ACw2UbDB

Assistenza sanitaria in Italia per i cittadini residenti in Argentina

Durante l’anno sono molti i connazionali che rientrano per varie ragioni in Italia, uno dei grandi problemi che hanno è quello dell’assistenza sanitaria. Riportiamo quindi alcune utili informazioni.

Gli italiani residenti all’estero EMIGRATI (cioè connazionali nati in Italia e che sono espatriati per ragioni lavorative, come ha precisato il Ministero della Salute) e che tornano in Italia per le vacanze possono ricorrere alla dichiarazione sostitutiva di certificazione (di cui all’art. 46 del DPR 445/2000) per le cure di urgenza gratuite per 90 giorni nell’arco di uno stesso anno. Il modulo si scarica dalla pagina del Consolato Generale. Essa va compilata e presentata direttamente in Italia alla ASL del luogo di soggiorno o direttamente in ospedale in caso di ricovero immediato.

Un altro discorso è quello dell’accordo italo-argentino per l’assistenza sanitaria ai pensionati, ovvero i titolari di pensione argentina con copertura sanitaria di PAMI che viaggiano in Italia o i pensionati italiani che viaggiano in Argentina. Il pensionato argentino può recarsi alla filiale del Pami che gli spetta in base al proprio domicilio e farsi rilasciare il modulo per l’assistenza sanitaria in Italia, che poi potrà presentare all’ASL del luogo in cui soggiornerà.
Per tutti gli altri casi ovviamente raccomandiamo di stipulare un’assicurazione medica per il viaggio.

Edda Cinarelli

Intervista al Console d’Italia a Buenos Aires Antonio Puggioni

Sono cambiate le autorità del Consolato Generale e sono arrivati il nuovo console generale Marcco Petacco e il nuovo console di Buenos Aires, Antonio Puggioni. Abbiamo cercato subito di conoscerli e presentarveli.

Qual è la situazione del CG di Buenos Aires?
La gestione precedente è stata all’origine di significativi miglioramenti in termini di razionalizzazione delle procedure e di incremento dei servizi. Il numero degli utenti è cresciuto dai 294.000 del 2015 ai 341.000 del 2019, se consideriamo i soli iscritti all’anagrafe consolare. Come dato significativo, si può citare il numero di passaporti emessi, ormai pari a circa 2000 ogni mese. In termini di risorse umane si assiste ad un leggero decremento, ma l’informatizzazione fa sì che si mantengano livelli elevati di servizi all’utenza e, in ogni caso, Roma guarda con grande favore al Consolato Generale a Buenos Aires e cerca sempre di assegnare un numero di persone congruo per portare avanti la missione della struttura e non “metterci in difficoltà” nel lavoro di tutti i giorni. Rispetto alle sedi in cui eravamo in precedenza, i carichi di lavoro sono certo consistenti, ma vi è il personale necessario per completare i precisi compiti quotidiani. Anche dal punto di vista finanziario la situazione è buona, per gli stessi motivi di cui sopra.

Vi sono in vista altre misure riguardo le “gestorías” e “mafie” degli appuntamenti?
In effetti tutti gli accorgimenti informatici presi per i turni fanno sì che le cosiddette “gestorías” abbiano vita difficile. Anche la comunicazione contribuisce a tale fine, dato che praticamente in ogni pagina del sito internet del Consolato si avverte che i turni vengono assegnati gratuitamente e che ognuno è responsabile per il proprio procedimento. Ci sono sempre margini di miglioramento e con il Ministero degli Esteri a Roma sono in cantiere ulteriori misure a garanzia dell’utente, che vedrete nei prossimi mesi.

Ci parli dell’appuntamento per la cittadinanza per ricostruzione tramite Whatsapp
L’appuntamento via Whatsapp è una delle misure prese per disincentivare il ricorso a quelle che lei chiama le “mafie degli appuntamenti”. 12 turni al giorno vengono assegnati, a fronte di una richiesta di circa 800 chiamate contemporanee al minuto. La procedura garantisce trasparenza e libero accesso a tutti, con un numero di turni che è necessariamente basso, ma che sommato alle domande per figlio diretto fa sì che quasi 200 persone a settimana possano chiedere al Consolato il riconoscimento come cittadino italiano. La costante critica riguarda l’assenza di risposta alle chiamate: in realtà non è così, sono stato anch’io in primis dall’altra parte dello schermo per due giorni. Il problema è nel sistema Whatsapp, che è congegnato per videochiamate punto a punto, e non per dare assistenza a migliaia di persone in contemporanea; in sostanza, le persone tentano di chiamare: una prende la linea, e le altre non ricevono risposta perché i segnali ricevuti sono in sovrannumero rispetto alla capacità del sistema, che non riesce a mandare il suono di “occupato” a tutti.

Come funziona l’assistenza? chi ne ha diritto, quanti sono gli assistiti?
L’assistenza consolare è parte della missione del Consolato Generale, a favore dei cittadini italiani indigenti o in difficoltà. Un’apposita circolare del Ministero degli Esteri, la n. 2/2018, stabilisce le tipologie e i criteri (assistenza economica, sanitaria, ai detenuti, ai turisti in difficoltà). Da parte nostra, ogni anno l’Ambasciata, dietro suggerimento della rete consolare italiana in Argentina, stabilisce dei parametri economici per l’assistenza, sulla base della situazione socio-economica del Paese (pensione minima, livello dell’assistenza sanitaria, inflazione, etc.). Una volta stabilito il parametro, la situazione delle persone che si presentano al Consolato Generale viene scrupolosamente analizzata da parte dei funzionari in servizio, con l’ausilio di un’assistente sociale e anche di un medico, se del caso. L’anno scorso gli assistiti sono stati circa 500, sulla base delle singole valutazioni effettuate.

Quali sono i punti deboli del servizio consolare?
Ferme restando le considerazioni sulla gestione precedente, ci stiamo impegnando per mantenere i livelli alti di servizi in materia di passaporti e cittadinanza, potenziando al contempo il settore notarile e dell’assistenza (pensi solo che ogni impiegato di quel settore, al termine del 2019, aveva “prodotto” più di 4000 atti a testa) sia in termini di quantità, sia di qualità. Due altri progetti sono in cantiere: il completamento della digitalizzazione degli archivi cartacei, che permetterà di rendere ancora più rapidi ed efficienti i servizi, e una maggiore diffusione delle informazioni, con i canali già in uso (Facebook e Twitter) e con nuovi strumenti (l’apertura di un account Instagram e di un call centre per tutti i quesiti consolari). In questo ambito di comunicazione va anche incluso un rafforzato avvicinamento all’utenza, soprattutto giovane (ma non solo), con eventi in città e con l’ampliamento dei momenti di “consulta abierta” del mercoledì.

Che legami ha con la sua città di origine?
Parlo per quanto mi riguarda: sono nato a Roma da padre sardo e mamma metà siciliana e metà umbra, frequentando in parte la scuola italiana, in parte quella francese (non solo a Roma). La domanda sulle tradizioni è dunque particolarmente complessa e la scelta della professione del diplomatico non concorre a “sbrogliare la matassa”. Diciamo che l’identità italiana ed europea è ben definita attraverso appartenenze multiple (come le definisce lo scrittore franco-libanese Amin Maalouf) che non si escludono l’una con l’altra, ma si rafforzano vicendevolmente, e che il lato regionale italiano lo confermo dal punto di vista linguistico e culinario! In una città così “italo-argentina” come Buenos Aires un discorso del genere passa facilmente, in quanto crocevia di più mondi, e la stessa, costante richiesta di riconoscimento della cittadinanza italiana da parte di tutti gli “italo-descendientes” argentini è testimonianza del fatto che si possono conciliare questi mondi in modo efficace e che si può cogliere ciò che di buono c’è in entrambi i sistemi – culturali, sociali, di pensiero.
Prima di essere assegnato come Console a Buenos Aires sono stato Capo dell’Ufficio Economico e Culturale dell’Ambasciata d’Italia a Baghdad e a Roma avevo svolto le funzioni di Capo Segreteria del Servizio Giuridico della Farnesina: l’esperienza in Sudamerica con funzioni consolari è quindi nuova e particolarmente affascinante in questa città così ricca di cultura. Adoro leggere e andare al cinema e, qui a Buenos Aires, potrò anche godere dell’enorme numero di teatri e di una programmazione artistica davvero straordinaria e comparabile – se non superiore – a quella romana o parigina.

Edda Cinarelli

Proclamata la Repubblica Indipendente di La Boca (1876 – 1888)

La via Caminito di La Boca, è una meta turistica della città di Buenos Aires, apparentemente allegra con le case di lamiera dipinte con colori forti, con i “conventillos” diventati centri commerciali o studi di pittori, è presentata come espressione del rione genovese della città. In effetti, una volta non era così, il quartiere turistico, campione della storia dell’immigrazione, è il risultato di anni di storia e di trasformazioni. Lo stesso nome “Caminito” è stato dato alla famosa strada nel 1950, in omaggio alla canzone di tango, composta nel 1926 dall’italo argentino Juan de Dios Filiberto (musica) insieme a Gabino Coria Peñaloza (parole).

I colori forti sono stati idea di Quinquela Martin, pittore cresciuto a La Boca, che ha acquistato con i suoi quadri fama mondiale e contribuito notevolmente alle relazioni tra l’Italia e l’Argentina.

Il rione, nato alla foce del Riachuelo, è cresciuto intorno al primo porto di Buenos Aires, era grigio, le strade principali erano in terraferma ma ovunque c’erano costruzioni su palafitte. I migranti, soprattutto italiani e liguri si stipavano nei conventillos, in balia delle varie inondazioni, ed erano completamente abbandonati istituzionalmente. Molti lavoravano nei cantieri navali, altri facevano il carbone, i famosi “carbunin”, erano manovali, altri muratori.

Tra loro c’erano molti socialisti e anarchici, la situazione di abbandono era tale da spingerli a creare le prime reti di mutuo soccorso, perché se non si aiutavano tra di loro, non lo faceva nessuno. Il vuoto istituzionale era profondo e le condizioni di lavoro erano di sfruttamento e di ingiustizia, lo scontento era diffuso. Per questo, sembra che tra gli anni 1876 e 1888 in seguito ad uno sciopero o alle manifestazioni d’insoddisfazione generale, ma anche di intraprendenza di alcuni, un gruppo di genovesi abbia dichiarato l’indipendenza del quartiere e proclamato la Repubblica de La Boca.

Veramente non ce n’è traccia nei libri di storia, ma questa non è una novità. Si sa che la storia è cambiata da chi la scrive o che si dà molta rilevanza ad alcuni episodi utili alla creazione di un racconto mentre altri sono ignorati. I numerosi indizi si trovano nei libri o negli articoli dell’epoca. L’italiano Ignacio Weiss ha raccontato nel suo libro “Gauchos, gesuiti, genovesi” che nel 1876 un gruppo di abitanti di La Boca aveva iniziato un moto separatista chiedendo l’autonomia amministrativa del quartiere, che allora faceva parte del distretto di San Telmo, e che alla fine un gruppo di genovesi aveva addirittura proclamato la Repubblica de La Boca, con autorità e bandiera propria bianco-celeste e al centro lo stemma dei Savoia.

La versione più diffusa, parla di un conflitto lavorativo che, nel 1882 avrebbe scatenato un lungo sciopero e di conseguenze un gruppo di estremisti avrebbe dichiarato la Repubblica Indipendente di La Boca e messo a conoscenza il Re d’Italia – Umberto I di Savoia – di questi moti.

Tutto sarebbe finito quando Julio A. Roca, allora Presidente della Repubblica Argentina, avrebbe mobilitato l’esercito nazionale per riportare l’ordine perduto e abbassare la bandiera separatista. La Repubblica sarebbe durata un giorno. Rubén Granara Insúa, stimato presidente della fondazione del Museo dell’Immigrazione Ligure, nel suo articolo “La República de La Boca”, cita una pubblicazione del 1904 sulla rivista Caras y Caretas del giornalista Blas Vidal, che attribuisce l’origine di questa Repubblica a “un comitato di difesa del quartiere”. Secondo l’opera di teatro Venimos de muy lejo, interpretata dal “grupo de Teatro Catalina Sur” nella costituzione della Repubblica Genovese de La Boca c’era scritto che potevano votare le donne, tutto questo secondo la leggenda popolare.

Forse anche per calmare e indirizzare nel verso giusto l’insofferente e forse anche eccessivamente intraprendente popolazione della zona, nel 1883 si è messa la prima pietra della parrocchia di San Juan Evangelista, inaugurata nel 1886, dei sacerdoti salesiani che avevano il compito di accompagnare i migranti e di aiutarli a conservare la loro identità culturale, guarda caso cattolica, e di offrirgli anche la possibilità di un’educazione formale.

E’ passato molto tempo, ma sembra opportuno ricordare che il carattere effervescente della zona è rimasto, che nel marzo 1904 Alfredo Palacios è diventato il primo deputato socialista di tutta l’America Latina, proprio in rappresentazione del quartiere, e che ancora oggi, anche se sempre di meno, passeggiano per La Boca si può ancora respirare l’aria socialista e ribelle degli immigranti liguri del XIX secolo.

Edda Cinarelli

Referendum 2020: voto per corrispondenza dei cittadini residenti all’estero

L’Ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione, con ordinanza depositata in data 23 gennaio 2020, ha dichiarato che la richiesta di referendum sul testo di legge costituzionale recante “modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, è conforme all’art. 138 Cost. ed ha accertato la legittimità del quesito referendariodalla stessa proposto.

Con Decreto del Presidente della Repubblica del 28 gennaio 2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 23 del 29 gennaio 2020, è stata fissata al 29 marzo 2020 la data del referendum confermativo popolare, che vedrà coinvolti anche i cittadini italiani residenti all’estero.

Si ricorda che il VOTO è un DIRITTO tutelato dalla Costituzione Italiana e che, in base alla Legge 27 dicembre 2001, n.459, i cittadini italiani residenti all’estero, iscritti nelle liste elettorali, possono VOTARE PER POSTA. A tal fine, si raccomanda quindi di controllare e regolarizzare la propria situazione anagrafica e di indirizzo presso il proprio consolato.

È POSSIBILE IN ALTERNATIVA, PER GLI ELETTORI RESIDENTI ALL’ESTERO ED ISCRITTI ALL’AIRE, SCEGLIERE DI VOTARE IN ITALIA PRESSO IL PROPRIO COMUNE DI ISCRIZIONE ELETTORALE, comunicando per iscritto la propria scelta (OPZIONE) al Consolato entro il 10° giorno successivo alla indizione delle votazioni. Gli elettori che scelgono di votare in Italia in occasione della prossima consultazione referendaria, riceveranno dai rispettivi Comuni italiani la cartolina-avviso per votare presso i seggi elettorali in Italia. La scelta (opzione) di votare in Italia vale solo per una consultazione referendaria.

Si ribadisce che in ogni caso l’opzione DEVE PERVENIRE all’Ufficio consolare NON OLTRE I DIECI GIORNI SUCCESSIVI A QUELLO DELL’INDIZIONE DELLE VOTAZIONI, OVVERO ENTRO IL GIORNO 8 FEBBRAIO 2020. Tale comunicazione può essere scritta su carta semplice e – per essere valida – deve contenere nome, cognome, data, luogo di nascita, luogo di residenza e firma dell’elettore, accompagnata da copia di un documento di identità del dichiarante.

Per tale comunicazione si può anche utilizzare l’apposito modulo scaricabile dal sito web del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (www.esteri.it) o da quello del proprio Ufficio consolare cliccando qui.
Come prescritto dalla normativa vigente, sarà cura degli elettori verificare che la comunicazione di opzione spedita per posta sia stata ricevuta in tempo utile dal proprio Ufficio consolare.

La scelta di votare in Italia può essere successivamente REVOCATA con una comunicazione scritta da inviare o consegnare all’Ufficio consolare con le stesse modalità ed entro gli stessi termini previsti per l’esercizio dell’opzione.
Se si sceglie di rientrare in Italia per votare, la Legge NON prevede alcun tipo di rimborso per le spese di viaggio sostenute, ma solo agevolazioni tariffarie all’interno del territorio italiano. Solo gli elettori residenti in Paesi dove non vi sono le condizioni per votare per corrispondenza (Legge 459/2001, art. 20, comma 1-bis) hanno diritto al rimborso del 75 per cento del costo del biglietto di viaggio, in classe economica.

Ripreso da https://conslomasdezamora.esteri.it/consolato_lomasdezamora/it/la_comunicazione/dal_consolato/2020/01/voto-per-corrispondenza-dei-cittadini.html

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