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January 2018

Gli italiani nel mondo siamo 5.114.469

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministero dell’Interno che, di concerto con la Farnesina, ogni anno pubblica il numero dei cittadini italiani residenti all’estero, sulla base dei dati dell’elenco aggiornato, riferiti al 31 dicembre dell’anno precedente, come stabilito dall’articolo 7, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 2 aprile 2003, n. 104, cioè dal regolamento di attuazione della Legge Tremaglia (549/2001) sul voto all’estero.

Gli italiani residenti all’estero sono dunque 5.114.469, 139.170 in più rispetto all’anno scorso. La maggior parte degli italiani all’estero risiede in Europa: 2.770.175 quelli nell’elenco aggiornato (erano 2.686.431 l’anno scorso); segue l’America meridionale con 1.596.632 (erano 1.559.591); quindi l’America settentrionale e centrale con 461.287 (451.186) e infine la ripartizione Africa, Asia, Oceania e Antartide con 286.375 connazionali (erano 278.091).

Confrontando i dati con quelli del decreto dello scorso anno, come evidente, l’incremento maggiore è in Europa, con 83.744 italiani in più; 37.041 connazionali nel 2017 hanno scelto il Sud America; 10.101 il Nord America e 8.284 Africa Asia e Ocenia.

Pubblicato in Gazzetta venerdì scorso, 26 gennaio, il decreto datato 18 gennaio reca la firma dei Ministri Minniti e Alfano. (aise) 

Storia del Carnevale di Venezia: il più famoso d’Italia

Il Carnevale di Venezia, se non il più grandioso, è sicuramente il più conosciuto per il fascino che esercita e il mistero che continua a possedere anche adesso che sono trascorsi 900 anni dal primo documento che fa riferimento a questa famosissima festa.

Le sue origini sono antichissime: la prima testimonianza risale ad un documento del Doge Vitale Falier del 1094, dove si parla di divertimenti pubblici e nel quale il vocabolo Carnevale viene citato per la prima volta.

Il primo documento ufficiale che dichiara il Carnevale di Venezia una festa pubblica è un editto del 1296, quando il Senato della Repubblica dichiarò festivo il giorno precedente alla Quaresima. In quest’epoca, e per molti secoli successivi, il Carnevale durava 6 settimane, dal 26 dicembre al Mercoledì delle Ceneri, anche se i festeggiamenti talvolta venivano fatti cominciare già i primi di ottobre.

Oggi il Carnevale dura circa 10 giorni in coincidenza con il periodo pre-pasquale, ma la febbre del Carnevale, a Venezia, non cessa mai durante l’anno.

Un tempo il Carnevale consentiva ai Veneziani di lasciar da parte le occupazioni per dedicarsi totalmente ai divertimenti, si costruivano palchi nei campi principali, lungo la Riva degli Schiavoni, in Piazzetta e in Piazza San Marco. La gente accorreva per ammirare le varie attrazioni: i giocolieri, i saltimbanchi, gli animali danzanti, gli acrobati. Venezia divenne l’alta scuola europea del piacere e del gioco, della maschera e dell’irresponsabilità.

Il ‘700 fu il secolo che rese Venezia un luogo dalle infinite suggestioni; era allora il mondo di Giacomo Casanova, un mondo superficiale, festante e decorativo.

Nel XIX secolo, invece, Venezia ed il suo Carnevale incarnano il mito romantico internazionale e la città della Laguna diventa meta di artisti, scrittori, musicisti, avventurieri e bellissime dame di tutto il mondo: Sissi D’Austria, Wagner, Byron, George Sand, Ugo Foscolo.

Il Carnevale ebbe un momento di stasi dopo la caduta della Repubblica di Venezia perché malvisto dalla temporanea occupazione di austriaci e francesi; la tradizione si conservò esclusivamente nelle isole di Burano e Murano.

Solo nel 1979 il Carnevale risorse grazie all’impegno del Comune di Venezia, il Teatro la Fenice e la Biennale che prepararono per la sua inaugurazione un programma di 11 giorni lasciando anche molto spazio all’improvvisazione e alla spontaneità.

Nei nostri giorni il Carnevale di Venezia continua ad essere una rappresentazione di allegria e giocosità, tutti in maschera a celebrare il fascino di un mondo fatto di balli, scherzi e romantici incontri.

Fabrizia Fioroni

Gli studenti universitari italiani sono i più insoddisfatti al mondo

Un sondaggio internazionale condotto da Sodexo su oltre 4mila universitari ha svelato che i giovani italiani sono i più insoddisfatti della propria vita: se nel Bel Paese il livello di soddisfazione tocca il 62%, in India (82%), Cina (76%) e Regno Unito (75%) gli studenti rivelano un maggiore benessere.

La percentuale scende addirittura al 54% in relazione agli studi. Tra le principali preoccupazioni, il carico di lavoro e i troppi impegni.

Paese che vai, insoddisfazione che trovi. Se, come dice un popolare proverbio, tutto il mondo è paese, lo stesso non si può dire per il livello di benessere degli studenti, che cambia considerevolmente a diverse longitudini. E, come spesso accade, l’Italia si configura triste fanalino di coda per quanto concerne la felicità dei propri giovani.

Il dato è allarmante: quasi 4 universitari su 10 (38%) rivelano di non essere soddisfatti della propria vita, addirittura quasi uno su 2 (46%) non è contento del proprio percorso accademico.

Le percentuali sono ancora più impietose se raffrontate con i colleghi a livello internazionale: gli studenti di India (82%), Cina (76%), Regno Unito (75%), Stati Uniti (73%) e Spagna (70%)risultano essere decisamente più appagati dalla propria vita studentesca. Ma non è tutto: ben il 36% degli italiani ha pensato almeno una volta di abbandonare l’università, contro il 5% dei cinesi e il 20% degli indiani, preceduti solo dai pari età inglesi (37%). I motivi dell’insoddisfazione? Sul podio delle preoccupazioni, l’eccessivo carico di lavoro (51%), la mancanza di equilibrio tra studio, socializzazione e lavoro (44%) e la possibilità di trovare lavoro dopo la laurea (43%).

È quanto emerge dal recente sondaggio a livello mondiale condotto da Sodexo intervistando oltre 4000 studenti provenienti da Italia, Cina, Stati Uniti, Spagna, Regno Unito e India relativamente allo stile di vita universitario, per andare a scoprire, tra i diversi aspetti analizzati, qual è il livello di soddisfazione degli studenti italiani rispetto a quello dei pari età internazionali.

“Per attrarre le menti più brillanti e continuare a stimolarle, le università non devono solo fornire istruzione, ma devono anche rivolgere la loro attenzione alla qualità della vita degli studenti e di tutti coloro che lavorano all’interno dei campus – spiega Franco Bruschi, Head of Schools & Universities Segment Med Region di Sodexo – Grazie ai nostri 50 anni d’esperienza e al feedback continuo da parte degli studenti in più di 1600 campus in 32 Paesi, siamo in grado di realizzare servizi che migliorano la qualità della vita all’interno delle Università. Ad esempio, la sicurezza e il comfort dell’ambiente in cui gli studenti vivono e studiano sono fattori che influenzano qualità della vita e capacità di apprendimento.

La competenza nel gestire la sorveglianza, un’illuminazione adeguata o la manutenzione delle aule contribuisce a mettere gli studenti a proprio agio”.

Andando nel dettaglio dei motivi che rendono gli studenti italiani i più insoddisfatti, salta all’occhio il dato relativo al tempo dell’insegnamento, che appaga il 56% del totale contro il 70% della media. Un altro aspetto con cui gli universitari italiani devono fare i conti è quello economico: oltre 4 su 10 (43%) si dichiarano preoccupati dalla gestione delle spese quotidiane, dato poco superiore alla media sovranazionale (40%). Infine, più di un terzo degli studenti (37%) pensa di aver ottenuto un buon rapporto qualità-prezzo dai servizi offerti dal proprio ateneo, valore inferiore a quelli di tutte le altre nazioni, fatta eccezione per il Regno Unito. Gli studenti italiani sono anche tra i più pessimisti nel ritenere che l’università possa aiutarli a risolvere i loro problemi, come quelli legati all’alloggio (53%), alla salute (47%), alla vita sociale (46%) e alle finanze (44%), valori sopra la media.

“Sorprende un poco la scarsa soddisfazione per il rapporto costi-benefici dell’istruzione universitaria. Le università pubbliche italiane, a dispetto di certi luoghi comuni, presentano costi di accesso fortemente contenuti a fronte di una qualità media elevata che ci viene internazionalmente riconosciuta” spiega Paolo Cherubini, Prorettore Vicario dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.

Per Loredana Garlati, Prorettore all’Orientamento e Job Placement dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, invece: “La preoccupazione del futuro in un società complessa come quella attuale e in un momento di crisi economica ma anche di valori sembra scoraggiare e condizionare la visione di un percorso universitario, come se si avvertisse una mancanza di proporzionalità tra l’impegno di studio e le possibilità di lavoro. Vista dal lato positivo, lo studente non vede più l’università come un “esamificio”, ma come una comunità da cui attendere non solo qualità didattica ma anche supporto nella soluzione dei propri problemi attraverso servizi orientamento, counselling, alloggi, luoghi di aggregazione, sport et, oltre a servizi efficienti, ma su questo le università italiane hanno ancora molto da fare”. Infine Michele Rostan, Delegato al Benessere Studentesco presso l’Università degli Studi di Pavia, spiega che: “I risultati dell’indagine ci segnalano che ciò che facciamo, soprattutto nei primi mesi del percorso universitario degli studenti, non sembra sufficiente per rispondere positivamente alle loro domande. Occorre, quindi, un maggiore impegno nel contrastare la dispersione formativa, nell’accompagnare gli studenti nel loro percorso, una maggiore attenzione alla didattica e l’offerta di maggiori spazi dedicati allo studio, soprattutto insieme ad altri studenti”.

Ma quali sono le ragioni dell’insoddisfazione dei giovani dello Stivale? Se al primo posto della top 10 si piazza l’eccessivo carico di lavoro che devono sopportare (51%), ben il 44% lamenta la mancanza di equilibrio tra il tempo da dedicare allo studio, alla socializzazione e al lavoro, mentre il terzo gradino del podio spetta alle scarse possibilità di trovare un’occupazione dopo la tanto sudata laurea (43%). Il 39% non crede di essere in grado di cercare il lavoro dopo il titolo di studio, mentre il 31% non crede di raggiungere una votazione che corrisponda alle proprie aspettative dopo aver discusso la tesi. Meno gettonate tra le motivazioni d’insoddisfazione completano la classifica le preoccupazione economiche quotidiane (30%), il senso di solitudine (19%), la nostalgia di casa (10%) e i debiti accumulati durante il percorso di studio (8%). Per il 3% le motivazioni sono di altra natura, mentre solo il 2% ha dichiarato di non patire alcuna preoccupazione.

Un discorso a parte è quello dei motivi che hanno spinto il 36% degli studenti italiani a considerare l’abbandono degli studi come soluzione ai propri problemi, un dato molto simile a Regno Unito (37%), Stati Uniti (35%), Spagna (33%), ma lontano da India (20%) e Cina (5%). Tra i giovani del Bel Paese che hanno pensato di abbandonare l’università il 57% l’ha fatto per problemi legati allo studio, il 28% per problemi economici, il 22% per problemi familiari, il 21% per l’insoddisfazione legata alla qualità dei servizi in relazione al rapporto qualità/prezzo, il 16% per problemi di salute e il 12% per problematiche legate alla vita sociale. (Pubblicato su ItaliaChiamaItalia il 22.01.2018)

Una campagna elettorale molto confusa

“La campagna elettorale italiana è stata criticata per la sua confusione dal quotidiano tedesco Die Welt” e “anche da noi l’AGcom ha richiamato le televisioni italiane per diverse violazioni della par condicio”. Ad occuparsene da Berlino è Emanuela Pessina, che firma il 31 gennaio un articolo in primo piano sul portale di informazione bilingue ildeutschitalia.com.

“Tutta una gran confusione: è arrivato il tempo delle elezioni in Italia. Dozzine di partiti che vogliono sedersi in Parlamento, esiti assolutamente imprevedibili”: è quanto ha scritto in questi giorni il quotidiano tedesco “Die Welt”, che dalle pagine dedicate alla finanza avverte nel Belpaese un “nuovo sistema di voto complicato” e poca chiarezza circa le possibili alleanze e gli obiettivi dei singoli partiti. Buona parte dei media tedeschi non ha una grande considerazione della politica italiana, e questo si sa, ma la sfiducia, di per sé, non è sufficiente a giustificare l’impressione di “grande disordine elettorale” che passa oltralpe in questo caso.

Qualche giorno fa l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCom) ha richiamato le televisioni italiane per diverse violazioni della “par condicio” da osservare, ora più che mai, proprio in vista delle prossime politiche. Secondo quanto riportano diverse agenzie stampa, AgCom critica il “tempo di parola” dedicato ai vari soggetti politici, non proporzionato fra le forze in gioco: la maggior parte delle emittenti si difende spiegando che i notiziari seguono necessariamente l’agenda politica e la cronaca dei fatti, e che non possono quindi fare altrimenti. I minuti dedicati ai protagonisti della politica sono essenziali alla descrizione delle notizie, si giustificano le televisioni. Ma è proprio nella sovrapposizione tra fatti e opinioni che troviamo il maggior paradosso della politica mediatica in Italia, così come la ragione della confusione notata in Germania.

È dai commenti, dalle liti, dalle opinioni, dalle discussioni confuse che l’elettore deve estrapolare il fatto; nei dibattiti politici è più il tempo in cui le voci degli avversari si sovrappongono, rispetto a quello in cui le idee vengono espresse linearmente. Purtroppo è chi fa le notizie a confondere per primo i due piani. Le prime pagine dei giornali hanno titoli sensazionalistici e distruttivi: partiti che “si spaccano”, polemiche che “montano”, gli scenari tragicomici sono alla base di quasi tutte le notizie politiche più importanti. Sono le parole forti e connotate, che attirano l’attenzione, e i piccoli scandali a fare da protagonisti e a “nascondere” i fatti nudi e oggettivi.

Come di consueto, i partiti in corsa presentano i propri programmi basandosi su grandi temi e sonore promesse: pensione e occupazione giovanile da una parte, sicurezza dei cittadini e immigrazione dall’altra, tagli alle tasse e sostegno alle famiglie in primo piano. Tutti argomenti conosciuti, ripescati ciclicamente da diverse sessioni elettorali, presentati anche quest’anno da molte facce note e qualche homo novus: indipendentemente da chi vinca, in Europa non ci si aspetta comunque grandi riforme di base.

Eppure i capisaldi dei programmi elettorali rimangono misteriosi e sembrano scomparire dietro notizie da rivista popolare. Un esterno avrebbe difficoltà a capire: è così che i nostri cugini tedeschi, che comunque non ci hanno mai ammirato per la nostra politica, esprimono i loro dubbi a riguardo.

Prendiamo per esempio la vergognosa questione della “razza bianca”: “Troppi immigrati, la razza bianca va difesa”. Le imbarazzanti parole dell’ex sindaco di Varese, Attilio Fontana, a Radio Padania hanno dominato per settimane le prime pagine di tutti i quotidiani, così come i titoli dei notiziari. Chi difende, chi accusa: fatto sta che di soluzioni concrete al tema immigrazione – destra, sinistra o centro che sia – non si sente parlare da nessuna parte, si percepiscono soltanto le polemiche e le opinioni dei politici, e gli elettori, da parte loro, sono talmente rassegnati a questo sistema che ormai non si aspettano soluzioni concrete. A questo proposito non possiamo evitare di ricordare che Angela Merkel (Cdu) ha ottenuto nelle elezioni del 2017 i risultati peggiori degli ultimi 60 anni, soprattutto a causa del tema immigrazione: i media tedeschi più autorevoli criticavano la mancanza di concretezza del programma della Cancelliera. I programmi poco consistenti ancora vengono segnalati dai media tedeschi; i sensazionalismi, in Germania, sono ancora da rotocalco popolare.

Il quotidiano conservatore “Die Welt”, in realtà, vede in Italia un problema di contenuti politici, e quindi molto più grave, poiché, sempre nello stesso articolo, presenta l’Italia come “il fanalino di coda assoluto dell’Eurozona, messo peggio della Grecia”. Noi preferiamo vedere per il momento ancora un problema formale e di confusione mediatica e aspettiamo, positivi, i cambiamenti che porteranno le prossime elezioni. Sperando che il fumo attorno ai programmi elettorali sia solo un difetto dei media e non, appunto, della politica”. (aise) 

Il mercato dei libri segna la ripresa nel 2017: +5,8%

Il 2017 segna l’anno della ripresa per il mercato del libro. E si chiude con un risultato importante per il settore nel suo complesso (libri di carta, ebook e audiolibri e stima di Amazon): +5,8% sull’anno precedente, pari a 1,485 miliardi di euro nei canali trade (librerie, librerie on line e grande distribuzione organizzata). È questo il principale dato dell’analisi dell’Ufficio studi dell’Associazione Italiana Editori (AIE) sul mercato del libro 2017, presentata dal presidente di AIE Ricardo Franco Levi oggi, 26 gennaio, nella giornata conclusiva del XXXV Seminario di Perfezionamento della Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri a Venezia.

Il risultato, per la prima volta dopo 7 anni, è positivo anche a copie, pari a 88,6 milioni (al netto di quelle vendute da Amazon), +1,2% sull’anno precedente.

Cresce anche il mercato e-book e audiolibri, che ha ottenuto quota 64milioni di euro nel 2017 (+3,2% sul 2016).
Dove si comperano i libri? In libreria prima di tutto, ma avanza in modo importante l’e-commerce, in difficoltà il supermercato – Le librerie fisiche, indipendenti o di catena, restano il canale principale per l’acquisto di libri di varia nuovi, tanto da intercettare quasi tre quarti degli acquisti (il 69,6% per la precisione). Diminuiscono gli acquisti in librerie indipendenti (che pesano il 25,2%) e di catena (44,4%) a vantaggio dell’e-commerce, che nel 2017 ha fatto un vero e proprio balzo in avanti (oggi pesa il 21,3% dei libri venduti, era il 16,5% nel 2016). Proseguono le difficoltà per la grande distribuzione organizzata, che oggi pesa per il 9,1% del totale (solo lo scorso anno era il 10,7%).

La produzione: sempre più ricca e articolata. Nel 2017 gli editori hanno pubblicato 66.757 titoli: la Narrativa (italiana e straniera) oggi conta 19.860 titoli, nel 1980 si fermava a 1.087 titoli. I libri per bambini, oggi stimati in 9.923 (erano 6.457 lo scorso anno), costituiscono un numero più che decuplicato rispetto a 17 anni fa.

La lettura: scarsa ma ben più alta di quanto si è detto finora – Istat, nella sua indagine quinquennale, inserendo nelle sue indagini la lettura di narrativa di genere, guide e manuali (per la casa, collaterali, etc ), evidenziava come i lettori fossero il 59,4% della popolazione italiana. Ben di più di quel 40,5% che la stessa Istat ha stimato nella sua ultima analisi annuale, che esclude una quota importante di libri dal perimetro considerato. Questo dato del 59,4% trova conferma nell’Osservatorio AIE sui comportamenti di lettura (sui 15 – 75enni) che registra oggi come i lettori negli ultimi 12 mesi (anche solo in parte) di romanzi, saggi, gialli, fantasy, manuali e guide abbiano raggiunto quota 62%. I comportamenti di lettura si fanno infatti oggi sempre più articolati: legge libri di carta il 62% degli italiani, ma legge anche ebook il 27% e legge audiolibri l’11%. Considerate tutte queste modalità, legge il 65% popolazione italiana con più di 15 anni.

“I dati – commenta il presidente di AIE Ricardo Franco Levi – ci dicono chiaramente che la più grande industria culturale del Paese sta ricominciando a camminare. Il Libro sta ritornando a crescere con il Paese, anzi è condizione di crescita del Paese. Ci auguriamo per questo che libro e lettura siano centrali nei programmi di queste elezioni e del nuovo Governo”. (aise) 

Elezioni italiane del 4 marzo 2018: non fare errori!

Manca poco più di un mese alle elezioni politiche italiane. Vi sono ancora dubbi per chi votare? L’esperienza passata fa pensare:

1- Cosa è stato fatto per gli italiani all’estero in tutti gli anni da quando c’è stato il voto?

2- Gli eletti hanno mantenuto le promesse fatte nelle campagne elettorali?

3- I partiti e i candidati che si presentano ora, hanno un programma serio e capace di essere mantenuto?

Non bisogna farsi ingannare e soprattutto non bisogna fare errori.

Le elezioni sono la nostra forma e la nostra responsabilità per la scelta dei rappresentanti nel Parlamento italiano che potranno veramente ottenere un qualche beneficio tra i tanti che ci servono.

La scelta da fare tra tutti (non molti) i partiti è quella di valutare quale competenza e quale serietà offrono i vari candidati.

Non bisogna fare errori, e per questo non vi è molta scelta: l’USEI di Eugenio Sangregorio è la migliore possibilità per non sbagliare.

Promossi l’ambasciatore pro-referendum e il vice capo di gabinetto di Alfano, premiati il fedelissimo di Renzi e Boschi che va in Argentina (ci sono molti elettori). “L’ambasciatrice per il Sì” conquista Parigi, l’uomo di Alfano Ginevra

Tra le promozioni di fine corsa e l’organizzazione del voto prossimo futuro: il Consiglio dei Ministri di venerdì 18 gennaio ha fatto un’infornata di nomine riguardanti la Farnesina, tra promozioni di ambasciatori e cambi di sede. Una tornata che va a completare quella del 10 luglio, quando già alcuni amici preziosi del premier, Paolo Gentiloni, dell’ex premier, Matteo Renzi e del ministro degli Esteri, Angelino Alfano, erano stati sistemati.

L’altroieri, dunque, il Cdm ha approvato una serie di proposte arrivate dalla Farnesina. Ora il Decreto del presidente della Repubblica dovrà andare alla firma di Sergio Mattarella. E per completare la pratica, gli ambasciatori che arrivano in una nuova sede, dovranno ricevere il gradimento.

Il primo spostamento significativo è quello di Giuseppe Manzo, che da ambasciatore a Belgrado diventa ambasciatore a Buenos Aires. Una delle città dove risiedono più italiani all’estero e dunque sede nevralgica per le prossime elezioni. Per il referendum costituzionale del 2016 gli elettori erano 673.237 e i votanti furono 170.532. Manzo – che è stato portavoce anche dell’ex ministro Giulio Terzi Sant’Agata quando era alla Farnesina e non ha nel suo curriculum alcuna esperienza di America del Sud – è stato fortemente sponsorizzato da Renzi e da Maria Elena Boschi. Da notare che la precedente ambasciatrice, Teresa Castaldo, che presenziò a un comizio elettorale dell’allora ministra delle Riforme, ha “guadagnato” la sede prestigiosa di Parigi (nominata il 10 luglio, ci andrà la settimana prossima), battendo – tra gli altri – Luca Giansanti, direttore degli Affari politici della Farnesina.

Avanzamento di carriera anche per Gian Lorenzo Cornado, che è stato promosso ambasciatore di grado e nominato rappresentante dell’Italia alleNazioni Unite a Ginevra. Anche per lui, posizione conquistata sul campo referendario: Cornado, allora ambasciatore in Canada (altro Paese con una grande comunità italiana), aveva organizzato un incontro a Toronto per “Basta un sì”, prevedendo pure un suo intervento. Col governo Gentiloni, poi, è arrivato a Roma come capo di gabinetto di Alfano. In genere, prima di due anni non si può ripartire: ma lui a marzo andrà a Ginevra evitando il rischio di restare senza incarichi prestigiosi post-voto.

Il vice di Cornado alla Farnesina, Lorenzo Fanara, la promozione l’aveva già avuta a luglio: come ambasciatore a Tunisi, al posto di Raimondo De Cardona, una sede sovradimensionata (è sempre andata a un ministro plenipotenziario) per un giovane consigliere d’ambasciata. Ma d’altra parte lui, originario di Agrigento come Angelino, ne era stato vice capo di gabinetto.

Sempre venerdì, Giorgio Marrapodi è stato indicato Direttore generale per la Cooperazione allo Sviluppo e poi sono arrivate tre nomine a grado di Ambasciatore: Giuseppe Morabito e Riccardo Guariglia diventano, rispettivamente, ambasciatore a Lisbona e Capo del cerimoniale, mentreGiorgio Starace, che già aveva preso servizio a Tokyo a luglio, è stato promosso ieri. È il fratello di Francesco Starace, amministratore delegato dell’Enel.

Alla Farnesina l’agitazione è massima. Tanto è vero che c’è chi sta valutando di fare un esposto all’Anac di Raffaele Cantone, per chiedere conto di questi nuovi movimenti, che in realtà ieri vanno a completare le nomine fatte negli ultimi mesi. Tra le più controverse di allora, da segnalare, quella di Lorenzo Trombetta, già capo di gabinetto di Gentiloni alla Farnesina, e sherpa del G7: ora è ambasciatore a Londra. E poi Piero Sebastiani che, da ambasciatore a Madrid, e prima ancora che fossero trascorsi i due anni necessari, è arrivato all’Ambasciata presso la Santa Sede a Roma. Maria Angela Zappia, consigliera diplomatica di Palazzo Chigi, era stata promossa ambasciatrice di rango ad aprile: aspetta la nomina come ambasciatrice all’Onu, a New York, che però non arriva. Il suo competitor è Giansanti, che ha già perso Parigi. La consigliera diplomatica del Quirinale, Emanuela D’Alessandro, era stata invece già promossa ambasciatrice di rango.

Tra le nomine sui generis va ricordata invece quella ai vertici dell’Ice (Istituto del commercio estero): per la parte fashion l’allora governo Renzi nominò Niccolò Ricci, figlio di Stefano, fondatore di un’azienda di lusso sartoriale fiorentina di Firenze e, in passato, tra i sarti del segretario democratico.

Wanda Marra (pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 21.01.2018)

 

Storia del Carnevale di Viareggio: il Carnevale della cartapesta

Il Carnevale è, probabilmente, la festa pagana che più persone celebrano in tutto il pianeta. È una festa molto antica, risalente al periodo egizio ed è sempre stato celebrato con balli in maschera e ricchi banchetti. Se oggi pensiamo a quale città incarni al meglio il significato di tale festa, un nome vince su tutti: Viareggio.

La graziosa città toscana, rinomata per le sue spiagge e le belle pinete, durante l’inverno deve la sua fama al Carnevale, che da 145 anni è la festa italiana più spettacolare, conosciuta ovunque, testimonianza di eccellenti capacità artistico-espressive ed organizzative.

Nel lontano 1873 un gruppo di borghesi decise di mascherarsi per protestare contro le tasse troppo elevate che erano costretti a pagare: seduti al tavolo del rinomato “Caffè del Casinò”, alcuni giovani per bene ebbero l’idea di fare una parata di carrozze per burle e sbeffeggio, si trattava proprio di un Martedì Grasso.

Verso la fine del secolo cominciarono a sfilare per le strade i primi carri trionfali, fatti in legno, scagliola e juta, realizzati da scultori, carpentieri e fabbri del luogo e costruiti all’interno di cantieri navali.

La festa diventò presto uno spettacolo importante per la città e la sua fama si diffuse rapidamente nel resto d’Italia.

La Prima Guerra Mondiale indusse una pausa bellica che durò 6 anni. La manifestazione riprese nel 1921 con una sfilata dei carri sul lungomare della città, ritrovo della mondanità del tempo. Di quell’anno è la canzone “Coppa di Champagne”, attuale inno del Carnevale. Anche le maschere presero vita a suon di musica: per la prima volta, infatti, la banda salì sul carro intitolato “Tonin di Burio”.

Nel 1923 si inaugurò un carro animato: si trattava del Pierrot, che attraverso un ingegnoso sistema, mosse come per magia occhi e testa. Nel 1925 venne inventata una tecnica per rendere i carri più leggeri e duttili: la cartapesta.

Si tratta di un preparato essenzialmente composto da acqua, colla, gesso e carta. In questo stesso anno fu realizzato a Viareggio il primo carro di cartapesta, “I cavalieri del Carnevale” di Antonio D’Arliano. Attualmente uno dei grandi maestri riconosciuti della cartapesta è Arnaldo Galli che insieme al fratello Renato e a Silvano Avanzini ha collaborato per la costruzione di materiali di scena in film di Federico Fellini come Casanova e Boccaccio ’70, costruendo un’Anita Ekberg di misure enormi.

Il 2001 è una data storica per il Carnevale di Viareggio poiché è stata inaugurata la Cittadella del Carnevale, un’immensa struttura polifunzionale che ospita laboratori, una scuola di cartapesta, un museo, per valorizzare e promuovere la memoria storica di questa festa.

Fabrizia Fioroni

FEDIBA e COMITES piangono la scomparsa di Silvestre Gravagna

“Con grande dolore diamo notizia della scomparsa del caro Silvestre Gravagna, storico dirigente della nostra collettività e “anima” della comunità siciliana”. Così Dario Signorini, presidente del Comites di Buenos Aires e della Fediba – la federazione che riunisce le associazioni italiane attive a Buenos Aires – esprime il cordoglio di tutta la comunità italiana per la scomparsa di Gravagna.

Nato a Troina, in provincia di Enna, nel gennaio 1934, Gravagna – ricorda Signorini – “è stato un membro importante dell’Associazione Siciliana, del quale fu presidente; ricoprì diverse cariche: è stato, tra l’altro, anche vicepresidente della Federación de Sociedades Sicilianas de Buenos Aires y el Sur de la República Argentina (FESISUR)”. Gravagna dal 1962 lavorava nel calzaturiero nell’impresa di famiglia “Gravagna Hermanos”.

La camera ardente rimarrà aperta fino alle 8 di martedì 30 gennaio, al civico 5961 di Av. Argentina, Villa Lugano; da lì le spoglie verranno traslate al Jardín de Paz Los Ceibos (González Catán).

“Fediba e Comites – conclude Signorini – rendono omaggio a Silvestre Gravagna e siamo vicini alla famiglia in questo momento di dolore”. (aise) 

Un tango italiano per la caduta del comunismo: Tango rosso di Sergio Endrigo

Il Partito Comunista italiano è stato interprete con la Democrazia Cristiana di tutta la storia che va dalla fine della guerra agli anni ’90. Gli uomini politici di quegli anni erano capaci, preparati, abili, chissòa forse perchè si erano formati durante la guerra. Pensando al PC il pensiero corre subito a Enrico Berlinguer, segretario generale del partito  comunista dal 17 marzo 1972 al 11 giugno 1984. La storia passa, le idee cambiano, il comunismo italiano è diventato Partido Democratico della Sinistra, con Achille Occhetto, il Muro di Berlino è caduto nel 1989 e l’Unione Sovietica nel 1991. Gli intellettuali italiani erano sorpresi, samarriti. In quel contesto sociale nasce Tango rosso, scritto da

Sergio Endrigo e  da sua moglie  Maria Giulia Bartolocci (Plumrose), una canzone che descrive il senso di smarrimento di quegli anni. Il tango é stato cantato da Sergio Endrigo e da Max Manfredi, figlio di Nino Manfredi. Al giorno d’oggi nessuno se ne ricorda, è stato dimenticato per questo pensiamo di ricordarlo.

Sergio Endrigo era famoso per l’Arca di Noè, Io che amo solo te, Canzone e dopo 8 anni dalla sua morte, 2005, ha ricevuto nel 2013 l’ Oscar postumo per aver composto con il musicista Luis Bacalov la colonna sonora del film Il Postino ( di Michael Redford con Massimo Troisi)

Edda Cinarelli

Tango Rosso

E adesso cosa fare/ E desso dove andare/ In che cosa sperare/  E l’uomo nuovo dov’è / Si è perduto nella steppa/  E non tornera mai più / Un’idea strozzata dalla burocrazia / Da sgangherati piani quinquennali / Ma che malinconia/ Quando muore un’utopia / Altre rivoluzioni /Altre primavere verranno/ Chissà dove chissà quando/ E adesso cosa fare/  E adesso dove andare/ Non ci resta che Batman/  E un tango da cantare/  Non c’è più il PCI non c’è più il PCI /Il PCI non c’è più non c’è più il PCI/  Il PCI non c’è più non c’è più il PCI /E adesso cosa fare?/ C’è un nome da cambiare/  Per che santo votare/  E la pazienza dov’è / Una volta si diceva/  Ha da veni baffo/ Come un lungo sogno che il giorno porta via/  E chi ha il coraggio di rinfacciare un sogno/ Ma che malinconia / Quando muore un’utopia/ Altre generazioni /Altre avventure verranno/ Chissà come chissà quando/ E adesso cosa fare/ E adesso dove andare/ Non ci resta che Batman/ E un tango da cantare/  Non c’è più il PCI non c’è il PCI/  Il PCI non c’è più non c’è più il PCI/ l PCI non c’è più non c’è più il PCI/

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