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August 2017

Trovato il vino più antico del mondo. È siciliano e ha 6mila anni

Trovato il vino più vecchio del mondo. E’ italiano e ha 6 mila anni. Le analisi chimiche sono state condotte su contenitori di coccio che risalgono all’era del Rame (4 mila anni prima di Cristo).

La precedente scoperta risale al 2013 e il vino era un po’ più giovane: 3.700 anni.  Era stato scoperto fra le rovine di Tel Kabri, una città nel nord di Israele.

Il primato di vino più antico d’Italia spettava invece a quello prodotto in Sardegna circa 3 mila anni fa dalla popolazione nuragica. Un torchio recuperato nel 1993 sul Monte Zara, nei pressi di Monastir in provincia di Cagliari, custodiva residui. Nel sito nuragico di Sa Osa (Cabras) furono invece trovati semi appartenenti a un vitigno di 3 mila anni fa.

I libri di storia in genere fanno risalire la nascita della viticoltura e della produzione di vino all’Età del Bronzo (1300-1100 anni prima di Cristo) e questo ritrovamento potrebbe far cambiare le conoscenze sull’economia delle società antiche.

Le analisi sono state condotte da Davide Tanasi dell’Università della Florida Meridionale, con la collaborazione del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), Università di Catania ed esperti della Soprintendenza ai Beni Culturali, su giare di terracotta non smaltata provenienti dal Monte Kronio (o San Calogero) a una sessantina di chilometri da Agrigento. I residui contenevano acido tartarico e sali di sodio, ingredienti tipici del vino. Proprio quelli che i ricercatori sperano di trovare quando sono a “caccia” di vini preistorici.

Le origini dell’enologia potrebbero però essere ancora più antiche e non italiane. Potrebbe infatti essere nata in Iran  dove nelle montagne Zagros sono stati trovati indizi che porterebbero a 7mila anni fa, Cina o Caucaso – dove i primissimi vini potrebbero essere stati prodotti attorno al 7mila o 8mila avanti Cristo.

La più vecchia bevanda fermentata, e alcoolica, è un vino di riso e miele che è stato rinvenuto a Jiahu, in Cina, e risale a 9 mila anni fa.

Noi umani siamo comunque arrivati tardi: prima di noi già gli animali, primi tra tutti gli elefanti, si cibano di frutti fermentati per poter assumere alcool inebriante.

Mariella Bussolati (pubblicato su Business Insider Italia il 25.08.2017)

Noi che siamo stati ad Amatrice

«Fidelis Amatrix » sta scritto nel « verso » di certe monete del Quattrocento che Ferdinando I diede il diritto di battere a questa città. Oh, decadenza dei tempi. Cinquecent’anni or sono essa affidava la sua fama nel mondo ad una nobile tradizione di fedeltà, collaudata nella pervicace difesa di Roma contro Annibale e nel testardo attaccamento al Paganesimo ancora dopo sei secoli di trionfante Cristianità; oggi essa l’affida soprattutto a quei celebri « spaghetti all’amatriciana » che un così largo posto si sono fatti nella gastronomica nazionale.
Amatrice sta a quasi mille metri. A parecchie cittaduzze delle Alpi ne sono bastati di meno per atteggiarsi a luoghi di elegante villeggiatura, attrezzarsi in proporzione, far circolare il proprio nome sulla lista dei convegni estivi e invernali. L’Appennino, questo cenerentolo della montagna, non ha il genio della pubblicità. «Io sono stato a Cortina » si dice a gran voce per farsi bene udire dagli altri. Ma « io sono stato a Amatrice» lo si sussurra appena, quasi vergognandosene. Lo sussurrano professori molto dabbene di scuole medie, giudici di tribunale, professionisti all’inizio o alla fine della carriera, purché con moglie e prole, signorine di buona famiglia un poco disusate. Nulla è più riposante di questi villeggianti veri, di questi riposatori che si riposano sul serio perché prima hanno faticata. Li ho appena intravisti passando; non avevano pittoreschi costumi, mazze col puntale, sacchi sulle spalle. Stavano vestiti come in città, solo coi pantaloni rimboccati, e qualcuno portava un cappelluccio bianco, da gelataio, per proteggersi dal sole. Si conoscevano tutti, forse si riconoscevano dall’anno prima. Non facevano cordate. Non raccontavano meravigliose gesta sui crepacci. Immagino che la sera debbano giocare a scopone, mentre le consorti fanno la calza e parlano dell’insolubile problema delle donne di servizio. Forse il giovane avvocato fa la corte a Lilì e le promette, sotto il chiar di luna, che se quest’anno lo studio renderà un po’ meglio… Lungi da me e da voi il sorriso dell’ironia. Sorridiamo solo al pensiero consolatore che a questo mondo c’è ancora della gente dabbene.

Fu a Venezia che mi venne l’idea di fare, una volta, una capatina ad Amatrice.  Anzi, più precisamente, l’idea mi venne sotto la pancia del cavallo su cui cavalca il Bartolomeo Colleoni del Verrocchio. Sulla cinghia di bronzo è scritto a caratteri abbastanza grossi: « Alexander Leopardus v. f. opus ». Forse pochi sanno che quel sibillino « v. f. » ha scatenato polemiche alle quali gli amatriciani hanno preso appassionatamente parte, Alexander Leopardus essendo uno dei loro o per lo meno tale essendo da essi considerato. La complicata faccenda andò cosi.

Il Senato veneto diede al Verrocchio l’incarico del monumento al Colleoni. E il Vasari racconta che lo scultore, dopo fatto il modello e aver cominciato ad armarlo per gettarlo in bronzo, aveva saputo per vie traverse che 1 commissionari, cambiata idea, volevano ora far eseguire l’opera a Vellano e Andrea da Padova. Del che sdegnato, spezzò testa e gambe al modello e se ne tornò a Firenze. Allora il Senato gli mandò a dire che, se rimetteva piede in Venezia, avrebbe avuto la testa tagliata. Il Verrocchio, che doveva avere un caratteraccio, replicò che «se ne sarebbe ben guardato perché, spiccate che le avevano, non era in loro facoltà riappiccare le teste agli uomini come avrebbe saputo lui fare di quella che aveva spezzato al suo cavallo e più bella». Il Senato si diede per vinto, richiamò l’indocile artista e gli raddoppiò lo stipendio. Il Verrocchio si rimise all’opera, ma non potè terminarla per causa di un raffreddore che in pochi giorni lo uccise. Allora l’incarico fu passato a Alessandro Leopardi che, dicono gli amatriciani, era di Amatrice, e che non terminò soltanto l’opera, ma addirittura la perfezionò e cosi bene che a tutt’oggi non si è mai riusciti a capire dove finisca il lavoro dell’uno e cominci quello dell’altro. Opera del Leopardi è certamente il piedestallo. Ma quel « v. f. » orgoglioso e maligno cosa vorrà dire? Che Leopardi fece l’opera o che fuse l’opera?

Io non so perché gli amatriciani tengano tanto alla concittadinanza di Alessandro che, del resto, qui non ha lasciato traccia. Ci sono, è vero, due palazzi Leopardi, ma nessuno può dire con precisione se Alessandro era della stessa famiglia. Artista malto e maledetto, quel «v. f.» ingannatore egli lo incise nella cinghia del sottopancia all’insegna del « se la va, la va » : un gesto che non somiglia per nulla al fedele e dignitoso popolo di Amatrice, città in cui non si ruba. Ma vedi un po’ quanto i galantuomini possono sentirsi attratti dagli avventurieri. In Spagna ho trovato per l0 meno dieci paesi popolati solo di vergini fanciulle e di virtuose spose che tuttavia si contendevano l’onore di aver dato i natali alla Bella Otero, celebre ma non per modestia femminile. L’« affare Leopardi » si trascina da secoli e non è ancora passato in giudicato per via dei continui appelli a cui gli amatriciani ricorrono contro i veneziani e i ferraresi che loro contendono l’equivoco onore di annoverare come uno dei loro un sì bel campione d’ingegno e di filibusteria. Ma la « fidelis Amatrix» è fedele anche all’anagrafe e non vuole che di un suo figlio, per quanto mascalzone, si parli come di un figlio d’altri. Questo si chiama amore della responsabilità ed è un commendevole sentimento.

Una dea fondò Amatrice e voi avrete già capito come si chiamava questa Dea: si chiamava Amata. Ma a questo punto un dubbio mi assale: furono proprio le dee che fondarono i paesi, o furono i paesi che fondarono le dee? Ho visto che tutti questi borghi della Sabina, quando si tratta di spiegare le origini del loro nome, ricorrono sempre allo stesso trucco della dea. Inventano una dea e poi se ne fanno partorire. Comodo trucco, che non soddisfa la nostra sete di sapere. Ma nel caso di Amatrice la faccenda è molto più complicata del solito, si riallaccia a tutta una serie di leggende che vogliono Amatrice culla del vero popolo italiano. Roma e gli etruschi, secondo questi massimalisti amatriciani, diventano piccola borghesia nell’almanacco di Gotha della romanità.
Io voglio andare un po’ in fondo a questa storia, non si sa mai. Galileo non aveva nessun presentimento di grande scoperta la mattina in cui guardò il pendolo oscillare. Come dicono tutti i bravi professori di ginnasio il caso è il grande alleato della scienza. Se il caso mi avesse veramente portato a salire l’altipiano da cui la Stirpe mosse alla conquista della Penisola? Nessuno può controllare gli sviluppi di una passeggiata, cosi come non può controllare la valanga la mano del ragazzino che ha mosso il primo bioccolo di neve.
Indro Montanelli (pubblicato su Il Corriere della Sera il 14.09.1942)

Il viaggio del Presidente

Dopo decenni di grandi divisioni politiche il Presidente USEI Eugenio Sangregorio si reca in Italia per l’ennesima volta. Lavorare in sinergia è la sua specialità ed una caratteristica che ha stampato nel partito. Quali sono gli obiettivi? Portare avanti iniziative concrete basate sul lavoro, il know-how, le borse di studio, l’interscambio commerciale e della conoscenza, senza mai dimenticare un’autentica politica emigratoria che, purtroppo, l’Italia ha tralasciato per quanto riguarda i propri connazionali. Negli ultimi 20 anni si è dedicata, con ragione, alla politica d’immigrazione, per via dei fenomeni migratori provenienti dai paesi colpiti dalla miseria e dalla guerra, ma ha sicuramente trascurato i propri figli all’estero. Aldilà della creazione dei COMITES, del CGIE e la Cooperazione che, negli ultimi tempi è stata posticipata per via della crisi, il sistema politico italiano non ha saputo valutare l’enorme risorsa che rappresenta la diaspora nostrana. Tutti sappiamo che, dei quasi 6 milioni di cittadini italiani nel mondo, forse il 5% sono nati in Italia. Questo fenomeno non è stato mai preso in considerazioni da un tessuto politico che guarda più l’ombellico che l’intero corpo. Si continua a parlare di italiani nel mondo che guardano RAI Italia e parlano la nostra lingua, ma, anche se non è stata mai fatta un’inchiesta seria su quanti cittadini italiani sparsi per il mondo parlano correttamente la nostra lingua, sappiamo che, di 100 appena sono capaci di esprimersi in un buon italiano. Tralasciare un fenomeno del genere significa guardare l’albero e non il bosco, significa ignorare che non è la lingua del Dante l’unico veicolo per raggiungere i connazionali. Ma di questi argomenti, Sangregorio ne parlerà a lungo con i vertici dei partiti italiani.

La visita del nostro Presidente è per raggiungere sinergie, accordi, forme idonee di lavoro assieme alle menti e non tanto alle ideologie. Avrà riunioni con i lider del PD, della Destra, del M5S, tutto ciò per capire le politiche che si applicherebbero in caso di governare e per contribuire a far diventare l’USEI, l’interlocutore valido fra l’Italia e l’Italia fuori d’Italia.

Pare proprio che i nostri politici non abbiano ben capito il ruolo degli italiani in America Latina. Ancora si parla degli accordi bilaterali integrati UE-Mercosur. Ma quanto potrebbe pesare, strategicamente, questa presenza di milioni di cittadini italiani in questo continente? La comunità europea più grande nelle Americhe è la nostra. Sono centinaia le grandi ditte italo-sudamericane, così come decine di migliaia le piccole e medie imprese che formano l’enorme tessuto produttivo italiano da queste parti. Sono connazionali che gestiscono uno straordinario polo di produzione. L’importanza del MERCOSUR in generale e l’Argentina in particolare come il paese con maggior numero di connazionali del mondo, sono elementi di un valore non compreso dai nostri politici. Sangregorio, da decenni si batte per far capire loro, l’importanza strategica di questo contenitore sociale. È vero che, come parte della Comunità Europea, l’Italia non è in grado di realizzare accordi bilaterali separati, ma è anche vero che, per questa cordata di proporzioni incredibili, è l’Italia e non la Spagna o la Francia, il paese con maggior quantità di carte in tavola per moltiplicare lo sviluppo sudamericano ed europeo. L’America Latina è un grande produttore di materie prime. Anche se si mantengono abbastanza alti i costi dei comodities, al produttore di caffè giunge non oltre il 2% del valore di un caffè al bancone di un bar. Ció significa che il valore dell’intelligenza, dei trasporti, assicurazioni e filiera di vendita, sono infinitamente superiori al valore intrinseco di un prodotto. L’Europa è parte di un complesso di ricerca mondiale concentrato nelle grandi potenze economiche e quindi possiede, specialmente l’Italia, il know how di cui hanno bisogno i paesi latinoamericani. È questo uno dei principali aspetti che l’USEI tratterà nella capitale italiana nei prossimi giorni.

Per un imprenditore, il mondo è pragmatico: per Sangregorio, che durante la sua vita ha costruito tanto, da palazzi a parcheggi a cimiteri, servono i fatti e non le parole. La politica è basata sulle promesse che, purtroppo, quasi mai sono rispettate da coloro che  sono stati eletti. Ma, per il Presidente dell’USEI, che sarà eletto nelle prossime elezioni politiche, le parole devono essere rispettate e devono diventare fatti. È per questo che sarà a Roma a dialogare, stringere anche nuove amicizie con forze nuove. Come sempre sostiene: “l’USEI è un partito indipendente che si basa sulle sinergie. Non approfittare delle buone menti anche di coloro che non la pensano come noi, è ipotecare il futuro della nostra società”.

Ad Assisi la terza edizione del «Cortile di Francesco»

Le sfide del quotidiano, i temi che riguardano la condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo dalle nuove tecnologie, alla scienza e le migrazioni, le vicissitudini di tutti i giorni sono al centro del programma del «Cortile di Francesco» che richiama ad Assisi – dal 14 al 17 settembre – personalità della società civile, della cultura, della politica e dell’arte.

Incontri, dialoghi e workshop organizzati dal Pontificio Consiglio della Cultura, dal Sacro Convento di Assisi, dalla Conferenza Episcopale Umbra e dall’Associazione Oicos Riflessioni e in collaborazione con la Regione Umbria in un programma fitto di eventi. Si parte dalla «degenerazione del linguaggio» per raccontare «Dove va l’Europa», parlare quindi del «Senso del pellegrinaggio», di futuro del web, integrazione e migranti. Tanti gli ospiti e i relatori che parteciperanno alla quattro giorni (a cui è possibile iscriversi al sito cortiledifrancesco.it): tra gli altri, Gualtiero Bassetti, Yavachev Christo, Massimo Cacciari, Carlo De Benedetti, Mauro Gambetti, Emilio Isgrò, Romano Prodi, Gianfranco Ravasi e Oliviero Toscani.

«Il “Cortile di Francesco” è un luogo dove gli uomini si incontrano, entrano in relazione gli uni con gli altri, considerati di pari dignità a prescindere dalle differenze. Un incontro che non preclude lo scontro ma pone al fondo il reciproco riconoscimento, condizione preliminare imprescindibile di ogni possibile o impossibile dialogo» racconta padre Enzo Fortunato, direttore della Sala Stampa del Sacro Convento di Assisi «L’uomo – nella fede o nella disperazione, nella speranza o nell’utopia – incontra altre esistenze e con esse entra in dialogo o in collisione disegnando percorsi e avviando processi. Dal modo in cui l’uomo sviluppa il suo cammino e dalle vicissitudini che nel cammino incontra si delineano le infinite esistenze umane». (Corriere della Sera 24.08.2017)

Il monumento per ricordare il cane da soccorso Camilla ad Amatrice

È stato scoperto ad Amatrice il monumento dedicato a Camilla, la cagnolina del nucleo cinofilo ligure dei Vigili del fuoco che la notte del sisma del 24 agosto dello scorso anno , proprio tra le macerie del comune reatino, contribuì a salvare molte vite umane. Camilla, Border collie di razza, è morta il 1 giugno scorso in una clinica veterinaria dopo essersi ferita durante un intervento di ricerca nelle campagne di Bergeggi, nel savonese.

Camilla era stata impiegata non solo ad Amatrice, ma anche nelle alluvioni di Genova e nella ricerca delle vittime della Torre Piloti del porto di Genova. La scultura in bronzo, posta nel Giardino degli Alberi di Amatrice, è stata realizzata dallo sculture Egidio Ambrosetti di Anagni.

«Camilla – ha detto il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi – rappresenta il meglio dell’Italia, è l’incarnazione della generosità, della solidarietà, dell’amore, della forza di volontà. Una cagnolina che è un esempio per tutti noi e che rappresenta tutti coloro, animali e persone, che hanno donato energie, impegno, amore al prossimo in momenti difficili come quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo noi ad Amatrice».

A onorare Camilla c’era anche il suo conduttore Nicola Ronga, nel reparto cinofili dei Vigili del fuoco dal 2009, dal 2011 operativo per le ricerche in superficie e la rimozione delle macerie con la sua amica a quattro zampe. “Ci sono – ricorda Sidoli – circa 130 operatori come lui in tutta italia, di cui 27 precari, eroi vessati da turni massacranti e stipendi inadeguati. Purtroppo questa realtà penalizza il soccorso. Sono uomini che non si sottraggono agli obblighi e hanno la stessa formazione dei permanenti. Sono sempre pronti a partire in qualsiasi momento anche senza un contratto a tempo indeterminato. L’ipocrisia della politica li definisce “angeli” ogni volta che c’è una tragedia, ma poi non li mette in condizione di salvare vite. Noi saremo sempre al fianco dei Vigili del Fuoco dal grande cuore e coraggio e ci muoveremo perché vengano stabilizzati. L’emergenza incendi di quest’estate ci dimostra l’urgenza di superare questa situazione vergognosa”. (Il Secolo XIX, 24.08.2017)

Avviso per cittadini italiani in possesso di titoli abilitanti all’insegnamento della lingua italiana

I cittadini italiani in possesso di titoli abilitanti all’insegnamento ed interessati a compiere una esperienza lavorativa presso scuole ed enti operanti in Argentina, possono inoltrare modulo di MAD (come da schema allegato nella pagina del Consolato Generale d’italia in Buenos Aires, unitamente ad un Curriculum (formato europeo con foto), in due distinti file PDF, presso l’ Ufficio scolastico consolare indirizzando a: scuole.buenosaires@esteri.it

Sintassi di intitolazione files: Cognome-MAD, Cognome-CV

Non verranno recepite le MAD prive di CV allegato in distinto file. Non verranno accolte istanze non corredate da Laurea magistrale già conseguita. Astenersi da candidatura su posti di sostegno in mancanza di titoli abilitanti.

NB: Prima di inoltrare la propria domanda si prega di valutare attentamente la motivazione personale ad un trasferimento considerevole per la distanza e si invita a effettuare una ricerca intesa a comprendere le specificità locali dei mezzi di trasporto e le dimensioni del territorio argentino, considerando che le eventuali proposte potrebbero provenire da luoghi distanti dalla capitale federale.

La disponibilità dell’Ufficio scolastico ricevente è orientata a supervisionare la rispondenza dei profili professionali agli standard qualitativi distintivi del Sistema Paese Italia e a supportare gli enti locali nel reperimento di personale qualificato.

Si precisa che tale attività NON configura in alcun modo avvio di rapporto di lavoro con il Consolato italiano di Buenos Aires, né con i Ministeri degli Esteri e dell’Istruzione. Coloro che invieranno MAD e CV effettueranno la propria esperienza a titolo personale, avvieranno rapporti contrattuali diretti e autonomi con le realtà scolastiche che dovessero eventualmente contattarli. Tutte le forme di garanzia lavorativa sono perciò demandate alla personale responsabilità dei docenti che decideranno di accettare proposte provenienti da enti e scuole che operano in Argentina.

L’ Ufficio scolastico, tuttavia, dovrà essere tenuto informato da entrambe le parti circa l’eventuale avvio di rapporti di lavoro al fine di agevolare le attività istituzionali di supervisione e la tenuta di dati statistici utili per ogni forma di verifica e valutazione, tanto da parte del Consolato di Buenos Aires quanto del Ministero.

Il Consolato resta comunque il punto di riferimento per ogni cittadino italiano che si trovi all’estero per le normali attività e adempimenti istituzionalmente affidati alla rappresentanza diplomatica.

Riconosciuto come l’Uomo del “FARE” 2017 l’imprenditore Vito Manuel Santarsieri

La sera del 10 agosto, l’Associazione Culturale e di Promozione Sociale permanente di Forenza, Provincia di Potenza – Basilicata-  ha dato il riconoscimento l’Uomo del “FARE” 2017 all’imprenditore forenzese Vito Manuel Santarsieri, consultore della Lucania, che vive a Buenos Aires, dove è emigrato, cresciuto e si è fatto un nome.

Santarsieri è nato a Forenza, è emigrato da bambino in Argentina, dove la sua famiglia si è sistemata, ha studiato, si è impegnato molto nel lavoro e si è trasformato in uno degli esponenti più rilevanti dell’imprenditoria italiana in Argentina. Molto legato alle sue origini ha continuato a frequentare l’associazionismo lucano, in speciale l’Associacione di Forenza, distintosi soprattutto per il suo impegno in campo sociale e per il suo spirito di solidarietá piano piano è diventato consultore della Regione Basilicata, incarico che svolge con dedizione a amore verso i suoi corregionali.

La targa che gli è stata consegnata dice:

Forenza abbraccia con orgoglio  l’Uomo del “FARE”

Vito Manuel Santarsieri. Il costruttore di se stesso  che pietra su pietra, mattone dopo mattone, innovazione su innovazione, intreccia la sua arte al servizio della società, operando tra progetti, tecniche, architettura e ambiente.

Buenos Aires custodisce l’immagine del suo poliedrico lavoro, Forenza… l’orgoglio e la soddisfazione di avergli dato i natali. Nella stessa serata il Consiglio Regionale della Basilicata gli ha consegnato una targa in riconoscimento per i servizi prestati per la promozione culturale della Regione e per il suo spirito di servizio.

E’ romena la comunità straniera più numerosa in Italia

Rheslyn ha 12 anni, è nata in Italia e vive a Roma, dove quest’anno frequenterà la seconda media. I suoi genitori, Rayln e Rene, sono arrivati dalle Filippine 18 anni fa e oggi lavorano in casa di una famiglia romana. Rheslyn, italiana per gli amici, resta straniera per la legge. Il suo è l’identikit tipo dei “nuovi cittadini”: bambini e ragazzi figli di immigrati che otterrebbero il passaporto tricolore se passasse la riforma dello ius soli, ancora ferma al Senato. Chi sono davvero? Per lo più cristiani, cattolici e ortodossi, uno su tre è musulmano. Hanno madri e padri in gran parte romeni, albanesi e marocchini, ma anche cinesi, filippini e indiani.

Dopo le recenti parole di Papa Francesco, che ha richiamato il “diritto a una nazionalità” per tutti i bambini, la Fondazione Leone Moressa è andata a capire chi sarebbero i potenziali nuovi italiani. Innanzitutto i numeri: secondo una stima dei ricercatori, i beneficiari della riforma sarebbero 800.600 ragazzi, circa l’80% dei minori stranieri residenti in Italia. A questi si aggiungerebbero 58.500 potenziali beneficiari ogni anno.

Come si arriva a queste cifre? Le nuove norme, approvate il 13 ottobre 2015 alla Camera, introducono due principi: con lo ius soli si riconosce la cittadinanza a chi è “nato in Italia da genitori stranieri, di cui almeno uno in possesso del permesso Ue di lungo periodo”; con lo ius culturae beneficiario è invece “il minore straniero, nato in Italia o che vi abbia fatto ingresso entro il dodicesimo anno di età, che abbia frequentato un percorso formativo per almeno cinque anni”.

Ebbene, i minori stranieri in Italia al primo gennaio 2017 sono circa un milione, il 21% della popolazione immigrata totale. I maschi sono il 52% e le femmine il 48%. Per tracciare un identikit di chi potrà diventare italiano, i ricercatori della Moressa hanno esaminato i dati relativi agli alunni stranieri nell’anno scolastico 2015/2016: un campione di 815mila ragazzi, che in buona parte coincide con i potenziali beneficiari della riforma.

Complessivamente tra i banchi di scuola si contano oggi oltre 200 nazionalità diverse, anche se le prime dieci rappresentano da sole i due terzi del totale. Ebbene, tra i nuovi italiani sarebbe record di bambini con genitori romeni, albanesi o marocchini, ovvero le tre comunità più numerose in Italia. Sarebbero loro a dividersi il podio, subito sotto troveremmo i figli di cinesi, filippini, indiani, moldavi, ucraini, pachistani e tunisini.

E quale sarebbe la religione di questi nuovi cittadini? “Possiamo stimare le religioni degli alunni stranieri in Italia – scrivono alla Moressa – partendo dal presupposto che gli immigrati provenienti da un determinato Paese, ne rispecchino anche la ripartizione per gruppi religiosi”. E così tra le nazionalità dell’Est Europa, la maggioranza è di religione ortodossa (87% in Romania, 93% in Moldavia, 70% in Ucraina). I cattolici sono invece in maggioranza nelle Filippine (85%) e registrano comunque una presenza diffusa in Europa e in Africa. I musulmani sono in prevalenza nel Nord Africa, nei Balcani e in alcuni Paesi asiatici (Pakistan, Afghanistan). Complessivamente la maggioranza degli alunni stranieri (44%) è di religione cristiana. Gli alunni provenienti da Paesi musulmani sono poco più di un terzo (38,4%).

Vladimiro Polchi (pubblicato su La Repubblica il 28.08.2017)

Delegazione UGL in missione in Argentina

E’ in partenza per Buenos Aires una delegazione dell’UGL con il Segretario Generale Francesco Paolo Capone, Luigi Ulgiati, Segretario della Federazione Nazionale Chimici e Francesco Alfonsi, Segretario nazionale Federazione nazionale Trasporto Aereo.

Durante tutta la settimana i dirigenti della terza confederazione sindacale italiana avranno una serie di incontri ad alto livello con esponenti del governo argentino e del sindacato CGT per la firma di accordi e protocolli d’intesa.

Il Segretario Capone terrà una lectio magistralis all’Istituto universitario di specializzazione dell’Ordine degli Avvocati di Buenos Aires.

E’ prevista una conferenza stampa nella Casa Rosada, la sede del governo argentino. (Italia Chiama Italia)

L’assalto alle statue di Colombo: chi è il vero violento?

Guardando le foto dei monumenti dedicati a  Cristoforo Colombo imbrattati o presi a martellate in varie città degli USA, e ci riferiamo alle foto apparse sui siti ed i quotidiani di tutto il mondo delle statue aggredite più che brutalmente,abbiamo provato la sensazione di aver ricevuto sulla nostra pelle un episodio di violenza a nostro avviso più grave da un punto di vista psicologico che fattuale.

In nome del “Politically correct”,  infatti, alcuni sostenitori delle cosiddette minoranze si sono avvicinati ad alcune statue di un Simbolo dell’Italia tutta ed hanno iniziato a distruggerle, ovviamente solo dopo aver accertato che il numero di giornalisti e fotografi presenti fosse più che adeguato.… e tutto questo in nome della protesta contro la violenza e lo schiavismo.

Ebbene chi ha fatto violenza a chi?

Che ne direste se un tale decidesse di entrare in casa vostra e di appiccicare, ovviamente senza chiedervi alcun tipo di permesso, e dopo aver criticato tutte le vostre scelte di vita, anche un semplice adesivo con una scritta, ovviamente decisa da lui, sul televisore o sulla vostra scrivania e sulla porta della camera dei bambini?

Pensiamo non avreste difficoltà ad affermare, anche senza l’ausilio di una Psicologa, che le possibilità potrebbero essere solo due: l’una, il gesto di un folle e, la seconda, quella di un comportamento sì “sano“ ma maleducato e violento, per l’assoluta assenza di rispetto sia per le vostre idee che per gli oggetti a voi più cari.

Un folle, infatti, in un episodio più acuto degli altri del suo delirio narcisistico, potrebbe pensare di aver distrutto l’oggetto odiato, solo per il fatto di averlo “posseduto” almeno virtualmente, ad esempio “imbrattandolo” o colpendolo a martellate come purtroppo è avvenuto, seppure solo per pochi minuti. Infatti, l’aggressività e l’odio per la realtà circostante che nasce dal conflitto angoscia-attacco diventa sintomo in caso di nevrosi o peggio di psicosi. Questo non è ovviamente il caso di una persona sicuramente perfettamente equilibrata come sono i pacifisti “politically correct” americani che sono entrati in “casa nostra” imbrattando o cercando di distruggere un nostro Simbolo. Si, diciamo casa nostra, perché quei monumenti sono stati donati dagli italiani all’estero alle città nelle quali vivono, da molti anni, dopo aver fatto incredibili sacrifici e che adesso lì sono e si sentono casa loro! Come a casa ci sentiamo noi al Columbus Circle di New York, altro sito nel mirino dei più che violenti esponenti del politically correct (e scusateci ma non ne possiamo più di sentire una a parola così fasulla).

Ebbene sì, una di noi due, Susy, è non solo Genovese ma vive a poche centinaia di metri da quella statua e la saluta e le sorride tutte le mattine quando passa da lì. Ed ebbene sì, noi due facciamo spesso colazione insieme a New York, per organizzare il nostro lavoro, ed ogni volta che vediamo la statua di Colombo pensiamo anche al suo immenso coraggio che gli ha permesso di sfidare la Paura più grande, quella di andare incontro all’ignoto e di insegnare a tutti noi che se si vuole andare  “in un posto dove non si è mai stati, bisogna prendere una strada che non si è mai presa”! Ci sentiamo anche noi una minoranza da rispettare e perché mai non dovremmo essere rispettate? Forse solo perché siamo italiane e non “Native “? E ci chiediamo, quanti fra quelli che hanno imbrattato e preso a martellate la Statua di Cristoforo Colombo sono realmente “Nativi Americani “ ? E quanti invece di loro sono in America grazie all’intuizione e al coraggio proprio di Colombo ed alla speranza di costruire un Mondo Nuovo ed aperto a tutti! A tutti vuol dire anche alla minoranza italiana, alla quale noi siamo fiere, ma proprio fiere, di appartenere.

L’impressione che abbiamo di quanto sta accadendo nella mente degli  “anti Cristoforo” è quella della rappresentazione di una violenza ben architettata in termini “pubblicitari“ con l’arroganza di colui a cui tutto è permesso, anche il diritto di “imbrattare “ il simbolo del lavoro e dei valori di tutto un Popolo.

Susy De Martini, medico neuropsichiatra, già parlamentare al Parlamento europeo, è l’attuale Coordinatrice di Forza Italia USA.  

Fucsia Fitzgerald Nissoli, da oltre vent’anni residente in Connecticut, è la Deputata al Parlamento Italiano – Circoscrizione Estera – Ripartizione Nord America e Centro America – Coordinatrice Forza Italia Nord e Centro America.

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