Tra carenza di personale, liste d’attesa infinite, pronto soccorsi sovraffollati e un inaccettabile divario tra Nord e Sud, il nostro Servizio sanitario nazionale (Ssn) è vicinissimo a esalare il suo ultimo respiro. L’inevitabile conseguenza è che le persone che alla fine potranno curarsi sono quelle che potranno farlo di tasca propria. Già oggi sono 4,5 milioni gli italiani che rinunciano alle cure, in barba ai principi di universalismo ed equità che in passato hanno fatto del nostro Ssn un modello da seguire. Più che un documento sullo stato di salute della sanità pubblica italiane, il settimo Rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale della Fondazione Gimbe, appena presentato a Roma, è una sorta di autopsia
Ssn in emergenza
“Oggi la vera emergenza del Paese è il Servizio Sanitario Nazionale”, conferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. I numeri sono impietosi: un divario della spesa sanitaria pubblica pro capite di 889 euro rispetto alla media dei paesi OCSE membri dell’Unione Europea con un gap complessivo che sfiora i 52,4 miliardi di euro; la crisi motivazionale del personale che abbandona il Ssn; il boom della spesa a carico delle famiglie (+10,3%); quasi 4,5 milioni di persone che nel 2023 hanno rinunciato alle cure, di cui 2,5 milioni per motivi economici; le diseguaglianze regionali e territoriali; la migrazione sanitaria e i disagi quotidiani sui tempi di attesa e sui pronto soccorso affollati. “La tenuta del SSN è prossima al punto di non ritorno”, sottolinea Cartabellotta.
Sanità privata
Nel 2023 l’aumento della spesa sanitaria totale, che è stati di 4.286 milioni di euro, è stato sostenuto esclusivamente dalle famiglie come spesa diretta (+ 3.806 milioni di euro) o tramite fondi sanitari e assicurazioni (+553 milioni di euro), vista la sostanziale stabilità della spesa pubblica (-73 milioni di euro). “Le persone – spiega Cartabellotta – sono costrette a pagare di tasca propria un numero crescente di prestazioni sanitarie, con pesanti ripercussioni sui bilanci familiari”. La spesa out-of-pocket – ovvero quella pagata direttamente dai cittadini – che nel periodo 2021-2022 ha registrato un incremento medio annuo dell’1,6% (+ 5.326 euro in 10 anni), nel 2023 si è impennata aumentando del 10,3% (+ 3.806 milioni di euro) in un solo anno. Secondo l’Istat nel 2023, 4,48 milioni di persone hanno rinunciato a visite specialistiche o esami diagnostici pur avendone bisogno, per uno o più motivi: lunghi tempi di attesa, difficoltà di accesso e problemi economici. E per motivi economici nel 2023 hanno rinunciato alle cure quasi 2,5 milioni di persone (4,2% della popolazione), quasi 600mila in più dell’anno precedente.
Definanziamento cronico
“La grave crisi di sostenibilità del Ssn – afferma Cartabellotta – è frutto anzitutto del definanziamento attuato negli ultimi 15 anni da tutti i Governi, che hanno sempre visto nella spesa sanitaria un costo da tagliare ripetutamente e non una priorità su cui investire in maniera costante”. Il Fabbisogno Sanitario Nazionale (FSN) dal 2010 al 2024 è aumentato complessivamente di 28,4 miliardi di euro, in media 2 miliardi di euro per anno, ma con trend molto diversi. Nel periodo pre-pandemico (2010-2019) alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre 37 miliardi di euro tra “tagli” per il risanamento della finanza pubblica e minori risorse assegnate rispetto ai livelli programmati. Negli anni 2020-2022 il FSN è aumentato di ben 11,6 miliardi di euro, una cifra tuttavia interamente assorbita dai costi della pandemia Covid-19, che non ha permesso un rafforzamento strutturale del SSN né consentito alle Regioni di mantenere in ordine i bilanci. Per gli anni 2023-2024 il FSN è aumentato di 8.653 milioni di euro: tuttavia, nel 2023 1.400 milioni di euro sono stati assorbiti dalla copertura dei maggiori costi energetici e dal 2024 oltre 2.400 milioni di euro sono stati destinati ai rinnovi contrattuali del personale. Le previsioni per il prossimo futuro non lasciano intravedere alcun rilancio del finanziamento pubblico per la sanità. “Nella Legge di Bilancio il rapporto spesa sanitaria/PIL si riduce dal 6,3% nel 2024-2025 al 6,2% nel 2026-2027”, spiega il presidente di Gimbe.
Crolla la spesa per la prevenzione
Rispetto al 2022, nel 2023 la spesa per i “Servizi per la prevenzione delle malattie” si riduce di ben 1.933 milioni di euro (-18,6%). “Tenendo conto che la prevenzione – commenta Cartabellotta – è la ‘sorella povera’ del SSN, al quale viene allocato circa il 6% del finanziamento pubblico, tale riduzione rappresenta un’ulteriore spia del sotto-finanziamento che, inevitabilmente, costringe Regioni e Aziende sanitarie a sottrarre risorse ad un settore sì fondamentale, ma considerato differibile. Ma tagliare oggi sulla prevenzione avrà un costo altissimo in termini di salute negli anni a venire, documentando la miopia di queste scelte di breve periodo”.
Crisi del personale sanitario
Se prima la crisi del personale sanitario era sostanzialmente dovuta al definanziamneto del Ssn, oggi, dopo la pandemia, è aggravata da una crescente frustrazione e disaffezione. “Turni massacranti, burnout, basse retribuzioni, prospettive di carriera limitate ed escalation dei casi di violenza stanno demolendo la motivazione e la passione dei professionisti”, sottolinea Cartabellotta. I dati raccolti da organizzazioni sindacali e di categoria documentano infatti il progressivo abbandono del Ssn: secondo la Fondazione ONAOSI, tra il 2019 e il 2022 il Ssn ha perso oltre 11mila medici per licenziamenti o conclusione di contratti a tempo determinato e ANAAO-Assomed stima ulteriori 2.564 abbandoni nel primo semestre 2023. !Ma la vera crisi – continua il presidente di Gimbe – riguarda il personale infermieristico: nonostante i crescenti bisogni, anche per la riforma dell’assistenza territoriale, il numero di infermieri è largamente insufficiente e, soprattutto, le iscrizioni al Corso di Laurea sono in continuo calo, con sempre meno laureati”.
Lea e divario tra Nord e Sud
Stando al report di Gimbe, nel 2022 solo 13 Regioni rispettano gli standard essenziali di cura, con un ulteriore aumento del divario Nord-Sud: Puglia e Basilicata sono le uniche Regioni promosse al Sud, ma comunque in posizioni di coda. “Siamo di fronte – commenta Cartabellotta – ad una vera e propria frattura strutturale Nord-Sud nell’esigibilità del diritto alla tutela della salute. A questo quadro si aggiunge la legge sull’autonomia differenziata, che affonderà definitivamente la sanità del Mezzogiorno, assestando il colpo di grazia al SSN e innescando un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti che avrà conseguenze devastanti per milioni di persone”. Anche la mobilità sanitaria evidenzia la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord, con i residenti delle Regioni del Centro-Sud spesso costretti a spostarsi in cerca di cure migliori. In particolare nel decennio 2012-2021 le Regioni del Mezzogiorno hanno accumulato un saldo negativo pari a 10,96 miliardi di euro.
Un piano di rilancio
Il SSN è malato, gravemente, ma secondo Gimbe si può curare con un programma che mette nero su bianco le azioni indispensabili per potenziarlo con risorse adeguate, riforme coraggiose e una radicale e moderna riorganizzazione. Per attuare questo piano, la Fondazione Gimbe invoca un nuovo patto politico e sociale, che superi divisioni ideologiche e avvicendamenti dei Governi. 2Un patto che chiede ai cittadini di diventare utenti informati e responsabili, consapevoli del valore del SSN, e a tutti gli attori della sanità di rinunciare ai privilegi acquisiti per salvaguardare il bene comune”, sottolinea Cartabellotta. Un invito a un’alleanza strategica arriva anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel messaggio inviato in occasione della presentazione del rapporto. “Il Servizio Sanitario Nazionale – si legge nella lettera – costituisce una risorsa preziosa ed è pilastro essenziale per la tutela del diritto alla salute, nella sua duplice accezione di fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. La sua efficienza è frutto, naturalmente, delle risorse dedicate e dei modelli organizzativi applicati, responsabilità, quest’ultima, affidata alle Regioni. Per garantire livelli sempre più elevati di qualità nella prevenzione, nella cura e nell’assistenza, è necessaria la costante adozione di misure sinergiche da parte di tutti gli attori coinvolti”.