Marco Basti, oltre a essere Presidente dell’Associazione Dante Alighieri della città di Buenos Aires, è direttore del periodico della nostra comunità Tribuna Italiana, fondato da Mario Basti, il 18 maggio 1977, come ideale continuatore del Corriere degli Italiani, creato da Ettore Rossi nel 1949 e diretto tra il 1960 e il 1977 da Mario Basti.
A Buenos Aires ci sono anche i periodici Voce d’Italia, l’Eco d’Italia e la rivista mensile L’Albidonese.
– Marco, a cosa attribuisci la perdita di lettori della nostra stampa scritta?
Ci sono varie ragioni. La prima è che tutta la stampa scritta e non solo i periodici di collettività, hanno perso e continuano a perdere lettori. Le testate online sono una realtà. E’ tempestiva e in genere è gratuita per i lettori.
In secondo luogo, è chiaro che i periodici della collettività nacquero come espressione dell’emigrazione italiana. Il Corriere degli Italiani prima, la Tribuna Italiana dopo e anche le altre testate che sopravvivono, sono espressione dell’ondata migratoria dell’ultimo dopoguerra e del suo sviluppo in Argentina. E’ chiaro che la stragrande maggioranza dei lettori che leggevano quei giornali oggi non ci sono più. Già negli anni ’90 abbiamo iniziato un dialogo con i discendenti, che continua ancora oggi, ma è un pubblico molto diverso che, anche per la perenne crisi dell’Argentina e perché si è abituato a leggere in modo gratuito, se non è sensibilizzato, non sente il bisogno di sostenere economicamente la nostra stampa. E poi ci sono i costi della stampa e della distribuzione del cartaceo che sono quasi proibitivi se non si hanno cospicue entrate pubblicitarie.
– A parte il fatto che i lettori siano scemati per ragioni naturali, non pensi che i diversi governi italiani non si siano occupati dei media italiani all’estero?
Credo che per la stampa sia successo lo stesso che con il resto di quella che una volta si chiamava “la politica per gli italiani all’estero”. La stampa, le scuole, l’assistenza, i servizi consolari, ecc. Quando ci fu il grande esodo del dopoguerra, l’Italia non era in grado di accompagnarlo, e l’emigrazione era una risorsa vera per lo Stato italiano: da una parte meno gente della quale occuparsi e dall’altra una entrata preziosa, quella delle rimesse degli emigrati. Tra metà degli anni ’70 e fino agli anni ’90 si stabilì un dialogo tra lo Stato italiano (e le Regioni) e l’emigrazione, dal quale arrivarono misure molto concrete: pensioni, viaggi di ritorno, assistenza, scoperta delle nuove generazioni, nuova legge di cittadinanza, e organi di rappresentanza, come Comites e Cgie. E anche i fondi per l’editoria italiana all’estero. Infine anche grazie all’impegno di Mirko Tremaglia (che negli anni ’90 venne “sdoganato” dalla politica italiana, arrivarono l’AIRE, e il voto attivo e passivo, con l’elezione dei nostri rappresentanti al Parlamento.
Quelle decisioni che dimostravano l’interesse della politica italiana verso l’altra Italia, sono state abbandonate. Gli attori della politica italiana di oggi – partiti e politici – o non conoscono l’Italia all’estero o non sono interessati ad essa. E per questo hanno o ridotto o cancellato i fondi per quella politica oppure, hanno sostenuto che erano soldi sprecati e modificato i criteri per assegnarli. Danneggiando tante iniziative.
– A cosa attribuisci questa mancanza d’interesse? perché da una parte ci hanno concesso l’esercizio del diritto di voto dall’altro non si occupano per niente di noi. Almeno questa è la sensazione che si riceve.
Penso che c’è una generazione di politici in Italia che non conosce la nostra realtà, e ci sono partiti che non solo non conoscono questa realtà, ma spesso si manifestano contro di essa. Tu dici che ci hanno concesso l’esercizio del diritto di voto, ma ormai sono passati vent’anni e oggi è un diritto che in molti mettono in discussione, specialmente tra le forze politiche che hanno meno storia alle spalle. Che vorrebbero se non cancellarlo, almeno ridimensionarlo. La stessa riduzione del numero di parlamentari approvata l’anno scorso e sulla quale siamo chiamati a decidere col referendum di settembre, penalizza la Circoscrizione Estero, cioè quella dove vengono eletti i rappresentanti degli italiani all’estero. Quindi ridurre l’importanza del nostro voto e della nostra presenza nel Parlamento italiano è coincidente con quella sensazione di cui parli cioè che non si occupano per niente di noi.
– Non credo che non ci sia più pubblico, credo che si debba andare a cercarlo, fare degli accordi con le scuole, con le associazioni. C’è resistenza?
No, non credo che ci sia resistenza. Per quanto riguarda specificamente la comunità italiana in Argentina penso che ci sia un pubblico da conquistare, certo che partendo dalla base di cui parlavamo prima e cioè che cerca informazione gratuita o che dev’essere sensibilizzata perché sostenga la nostra stampa. Ma ci vuole una strategia per arrivare a farsi conoscere tra quel pubblico e per offrirgli un prodotto che sia d’interesse per gente che è nata in Argentina, che spesso non parla italiano, ma che si sente in qualche modo attratta dall’Italia.
– Tu sei presidente della Dante Alighieri, avete molti alunni? In breve credi che l’italiano sia una lingua ancora interessante?
Sì certo! Ti passo un dato. C’è un programma di promozione della formazione per i giovani della Città di Buenos Aires che si chiama “Potenciate” al quale aderisce la Dante Alighieri di Buenos Aires. La ricerca che hanno fatto tra i giovani su quale lingua vogliono studiare, ha mostrato che dietro all’inglese, c’è l’italiano.
E lo vediamo anche in questa speciale circostanza della quarantena. Dopo il passaggio alla virtualità degli oltre 300 corsi presenziali che avevamo all’inizio di marzo, abbiamo iniziato ad aprire nuovi corsi, sempre virtuali, nei mesi di giugno, luglio e ora ad agosto. Più di trenta corsi nuovi, che si sono subito riempiti. E la gente ci chiede di aprire altri corsi ancora. Quindi è chiaro che l’italiano continua ad essere una lingua interessante per tante ragioni. C’è chi ama la cultura italiana, la moda, lo sport, la cucina italiana, la storia, l’arte, la terra dei genitori o dei nonni, la cittadinanza. Mille motivi per voler imparare l’italiano.
– Come pensi che sia cambiata la nostra collettività? Vedo associazioni che hanno da sempre lo stesso consiglio direttivo, ci sono pochi giovani, ma ci sono altre associazioni composte esclusivamente da giovani. Come si potrebbero coniugare queste due realtà? Come vedi il futuro della nostra comunità?
E’ un processo non facile. Come dicevamo all’inizio per i nostri giornali, è ovvio che la collettività come l’abbiamo conosciuta e che ha fatto la storia nobile e alta della presenza italiana in Argentina, ce la stiamo lasciando alle spalle. Gli emigrati che costruirono quella collettività, oggi sono ultraottantenni.
Di essa le associazioni erano la struttura portante. Ma per ragioni storiche, sociali ed economiche oltre che anagrafiche, quella realtà oggi è difficilmente sostenibile.
Ad ogni modo ci sono elementi per essere ottimisti. Pensa alla FEDITALIA, la confederazione al vertice dell’associazionismo. Ha un Consiglio Direttivo costituito quasi al completo da giovani. E’ presieduto da una donna, giovanissima, Florencia Caretti, figlia d’arte. E lo stesso vale per quasi tutti i membri del Direttivo: Granzotto, Brandi, ecc. Hanno frequentato le associazioni fin da piccoli o giovanissimi, con i loro genitori che sono stati dirigenti molto impegnati e attivi. Quindi è un Direttivo che conosce come funzionano le associazioni. La sfida per loro e per tanti altri dirigenti giovani è triplice.
Devono riscattare e preservare la storia della presenza italiana in Argentina e promuovere nella nostra società la conoscenza sul suo determinante contributo. La conoscenza e valorizzazione della presenza e del contributo italiano all’Argentina è un dovere che hanno non solo come discendenti di italiani, ma anche come argentini, per essere maggiormente consapevoli della propria identità.
Devono coinvolgere sempre più gente, accettare la sfida di aprire le porte delle associazioni e delle strutture ad un pubblico più vasto di quello che c’è oggi.
E fondamentalmente devono disegnare un nuovo progetto che assicuri il futuro della comunità italiana in Argentina, e proporlo al dibattito insieme alle altre strutture rappresentative della comunità (Comites, rappresentanti della nostra comunità nel Cgie, camere di commercio italiane, università, istituzioni culturali e sociali, parlamentari, ecc). Un progetto costruito da argentini fieri delle proprie radici e del segno indelebile che i loro antenati hanno lasciato in questo Paese, da argentini attratti dalla cultura italiana, da argentini-italiani, italici o italosimpatici – per utilizzare definizioni di grandi conoscitori dell’Italia nel mondo come Piero Bassetti o Andrea Riccardi – e magari anche dagli italiani che nell’ultimo decennio si sono stabiliti in Argentina. Anche loro dovrebbero partecipare alla costruzione di quel progetto.
E’ una grande sfida, ma credo che se sarà accettata, la comunità italiana avrà un futuro. Anzi, un grande futuro.
Edda Cinarelli